Il diritto minorile

Santini Matteo 29/09/11
Il primo disegno di legge in materia di minori risale al 1909. Solo nel 1934, venne istituito un Tribunale specializzato in materia minorile “il Tribunale per i Minorenni”.

Nel 1925 la Società delle Nazioni promulgò la Dichiarazione dei diritti del fanciullo la quale prevedeva che il minore dovesse essere messo in grado di svilupparsi dal punto di vista materiale e spirituale; si affermava il diritto del minore ad essere nutrito, curato, stimolato, recuperato e soccorso in caso di bisogno; il diritto di essere messo in grado di guadagnare e protetto contro ogni sfruttamento.

Nel 1948 l’Assemblea Generale dell’ONU promulgò la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” in materia di protezione dell’infanzia sancendo il diritto di ogni persona ad una educazione diretta a promuoverne il pieno sviluppo.

Nel 1959, venne approvata dall’ONU la “Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo”. Alcuni importantissimi principi venivano affermati dalla suddetta dichiarazione tra cui, il diritto del fanciullo a godere di una speciale protezione e di facilitazioni, in modo da essere in grado di crescere sano sul piano fisico, intellettuale e morale, spirituale e sociale, in condizioni di libertà e dignità. Veniva altresì sancito il diritto ad una alimentazione, ad un alloggio, a svaghi e a cure mediche adeguate.

Particolarmente significativa è l’affermazione secondo la quale il bambino ha diritto a crescere sotto le cure e le responsabilità dei genitori e, in ogni caso in un’atmosfera d’affetto e di sicurezza materiale e morale.

I principi affermati dalle Dichiarazioni promulgate dall’ONU hanno senza dubbio valenza giuridica anche all’interno dei singoli Stati. In particolare, la Costituzione Italiana sancisce all’art. 10, comma 1, che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.” (principio peraltro ribadito anche dalla sentenza della Corte Costituzionale del 23 novembre 1967, n. 120).

Successivamente, nel 1989 veniva approvata la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia, ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991 n. 176. Essa oltre a contenere una serie di affermazioni di principio, impone agli Stati membri di attivarsi concretamente affinché al minore venga data un’assistenza effettiva che tenga conto della sua condizione di debolezza.

Di seguito elenchiamo i più importanti diritti sanciti dalla Convenzione del 1989:

  • il diritto innato alla vita;
  • il diritto ad un nome;
  • il diritto a conservare l’identità, la nazionalità, il nome e le relazioni familiari;
  • il diritto a non essere separato dai genitori, salvo che tale separazione sia nell’interesse superiore del fanciullo;
  • il diritto a formarsi una propria opinione; alla libertà di espressione, alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione;
  • il diritto all’educazione;
  • il diritto al riposo, allo svago ed al gioco;
  • il diritto ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e da qualsiasi tipo di lavoro rischioso;
  • il diritto ad essere protetto contro ogni forma di sfruttamento sessuale e violenza sessuale;
  • il diritto a non essere sottoposto a tortura, o a trattamenti e punizioni crudeli, inumani o degradanti;
  • il diritto a non partecipare a conflitti armati se di età tra i quindici e i diciotto;

Sotto il profilo del diritto interno la nostra Costituzione si occupa dei diritti dei minori sia all’art. 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’individuo, sia al’art. 30 che sancisce il dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli sia all’art. 31 che protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù.

Il nostro sistema penale prevede poi una serie di articoli del codice che contemplano figure di reati che possono essere commessi solo a danno dei minori (o comunque a danno di soggetti posti in una situazione di difficoltà e debolezza) quali ad esempio l’abuso di mezzi di correzione e di disciplina (art. 571 c.p.) la sottrazione di persone incapaci, la violazione degli obblighi di assistenza familiare, ecc.

Recentemente la Corte di Cassazione con sentenza n. 41142 del 2010, in materia di maltrattamenti in famiglia ha stabilito che per la sussistenza del reato è sufficiente l’esistenza di un “clima generalmente instaurato all’interno di una comunità, come conseguenza di atti di sopraffazione”.

Sotto il profilo civilistico innumerevoli sono le norme che sono state concepite e dettate in modo specifico per la tutela dei minori. Così come innumerevoli sono le disposizioni di carattere generico che spiegano gli effetti anche nei confronti dei minori (soprattutto a tutela degli stessi). Possiamo affermare che l’intero sistema civilistico è improntato sul principio del favor minoris. Basti pensare la disciplina sull’affidamento dei figli minori in caso di crisi della coppia, il regime dell’assegnazione della casa familiare al genitore presso i quale i figli minori vivono prevalentemente, il diritto del minore ad intrattenere rapporti con gli ascendenti, ecc.

Ritengo che, nonostante gli sforzi che sono stati compiuti dal legislatore e dalla giurisprudenza per garantire la massima tutela possibile al minore (sia in ambito civile che in quello penale), la normativa debba ancora evolversi nel senso di attribuire un maggiore peso, soprattutto sotto il profilo processuale, alla volontà del minore il quale, il più delle volte, viene considerato come soggetto da tutelare ma il cui parere e la cui volontà poco influisce sulla decisione del magistrato; e ciò sul presupposto che il minore viene generalmente ritenuto incapace di discernere il bene dal male prima dei 12 anni, salvo rari casi in cui il giudice ritenga il minore sufficientemente maturo per poter essere sentito anche in età inferiore.

La legge 54/2006 sull’affidamento condiviso ha previsto l’audizione del minore nei procedimenti di separazione e divorzio e nei procedimenti per l’affidamento dei figli naturali. Si tratta però pur sempre di un’audizione e non di un ascolto. Ascolto della volontà, delle esigenze e del punto di vista del minore. Diversamente, riferendosi al termine “audizione” la normativa ha inteso (o comunque questo è il risultato) attribuire all’attività di audizione un significato unicamente processuale e burocratico senza attribuire alcun rilievo alle conseguenze che il giudice deve trarre dalla suddetta audizione. In pratica, il Giudice, udito il minore, è libero di decidere anche in modo difforme rispetto alla volontà espressa dallo stesso (con l’unica limitazione rappresentata dalla necessità di indicare i motivi in base ai quali ha deciso di non recepire la volontà del minore). E’ certamente vero che la volontà del minore non sempre coincide con il Suo interesse ma è altrettanto vero che nella maggiore parte dei casi un bambino di 12 anni è in grado di valutare meglio di un estraneo (seppure adulto) quali soluzioni soddisfano maggiormente in suoi interessi.

Santini Matteo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento