Il divieto dei patti successori

Dario Rombolà 21/03/23
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Ambito applicativo – La nullità dei patti successori è disposta all’art. 458 c.c.

Indice

1. La nullità dei patti successori

La nullità dei patti successori è disposta all’art. 458 c.c., articolo collocato tra le disposizioni generali sulla successione.
Con tale articolo si è inteso limitare sia il potere dispositivo del testatore – al fine di donare centralità allo strumento testamentario- sia il potere dispositivo e rinunciativo dei futuri e potenziali eredi. Esso, dunque, limita fortemente la libera manifestazione di volontà di questi soggetti, in un ambito – quale è quello testamentario – in cui i rapporti tra autonomia privata e legge sono sempre complessi da bilanciare e descrivere. Ciò premesso è necessario indagare in modo analitico quale sia la ragione giustificativa di tale divieto, anche al fine di saggiarne la sua attualità e il suo ambito applicativo.
Il divieto dei patti successori, in termini descrittivi e alla luce della formulazione letterale della legge, può essere tripartito. Infatti possono esistere patti successori istitutivi, dispositivi o rinunciativi.
Il divieto del patto successorio cosí detto istitutivo si rivolge al testatore ed è un limite posto proprio a tutela dello stesso. Infatti la materia testamentaria è caratterizzata dalla centralità del testamento, quale atto unilaterale mortis causa che può essere sempre revocato. Tale facoltà si spiega in quanto si è inteso tutelare massimamente la volontà del testatore, quale unica volontà giuridicamente rilevante, senza contemplare l’interesse potenziale di altri soggetti. Appare sin da subito evidente che ciò non sarebbe stato possibile qualora la volontà testamentaria fosse stata espressa mediante un negozio giuridico bilaterale: infatti in questo caso il negozio sarebbe stato l’incontro di due differenti volontà, entrambe meritevoli di tutela e rilevanti nel momento esecutivo e interpretativo.
Invero, un filone interpretativo ha notato che anche con un negozio giuridico bilaterale sarebbe stato possibile donare preminente centralità alla volontà di un solo contraente, ad esempio prevedendo la possibilità in capo a quest’ultimo di recedere “ad nutum”. Questa soluzione, benchè suggestiva, tuttavia non è stata condivisa da un contrapposto filone ricostruttivo.
Infatti, aderendo a questa tesi, si finirebbe per disconoscere centralità al testamento, contravvenendo alla volontà legislativa e alla costruzione sistematica del libro II. Inoltre si è notato che un diritto di recesso “ad nutum”, in presenza di un negozio giuridico bilaterale, andrebbe esercitato secondo i canoni della buona fede (quindi contemperando la libera revocabilità del testatore con l’altrui affidamento). Infine si è evidenziato che la volontà del testatore, anche nel momento interpretativo, perderebbe la sua esclusività dovendosi bilanciare con la volontà espressa da controparte. Alla luce di ciò il divieto dei patti successori istitutivi sembra avere un solido fondamento ed una ragione giustificativa ancora attuale e pregnante: il testamento, infatti, in quanto strutturalmente unilaterale e sempre revocabile, consente al testatore di preservare la necessaria “solitudine” che un soggetto merita in un momento cosí particolare, quale è quello della disposizione dei suoi beni in un momento successivo alla morte.
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2. Distinzione della figura del patto successorio con i negozi “inter vivos con efficacia post mortem

L’analisi del divieto del patto successorio istitutivo, cosí come sopra descritta, impone di distinguere tale figura con i negozi “inter vivos” con efficacia “post mortem”. In questi casi, infatti, non si rientra nell’ambito applicativo di cui all’art. 458 c.c. in quanto la causa del contratto non è la morte del testatore: essa ne rappresenta semplicemente l’evento che ne condiziona sospensivamente l’efficacia. Esempio di tali contratti sono desumibile dagli arti. 1412 e 1920 c.c. In altri termini in questi casi il negozio ben può essere strutturalmente bilaterale non ricorrendo la causa di morte e dunque non rappresentandosi la necessità di far operare il divieto di cui all’art. 458 c.c.
Differenti problematiche, invece, sono poste dal divieto di patto successorio dispositivo.
Deve essere sin da subito chiarito che tale seconda declinazione del divieto non si rivolge al testatore, bensí riguarda il potenziale e futuro erede, che diventerà erede attuale solo al momento dell’apertura della successione.
La ragione giustificativa di tale divieto è stata lungamente indagata e discussa. Secondo un filone interpretativo con tale disposizione l’ordinamento avrebbe voluto evitare che il futuro erede disponesse anticipatamente dei beni ancora appartenenti al testatore, covando il desiderio dell’altrui morte, rappresentando l’evento morte di quest’ultimo la condizione per donare efficacia ai negozi dispositivi già posti in essere.
Tale ragione giustificativa è stata criticata da un gran numero di interpreti. Si è notato infatti che un desiderio di tale fatta, benchè moralmente deprecabile, non sarebbe sufficiente per comprimere in maniera cosí decisa l’autonomia privata. Inoltre si è evidenziato, altresí, che sono presenti nel nostro ordinamento numerosi istituti che potrebbero far sorgere il desiderio dell’altrui morte. Si pensi, in termini esemplificativi, a colui che ha acquistato la nuda proprietà di un bene immobile concedendo ad un terzo il diritto reale perpetuo di usufrutto: in questa ipotesi non si dubita della validità del negozio benchè il nudo proprietario non possa che aspettare la morte dell’usufrutturario per godere pienamente della sua proprietà.
Si pensí altresí, per invocare un istituto collocato nel libro II del codice civile, alla sostituzione fidecommissaria. In questo caso il sostituto fidecommissario potrà appropriarsi dei beni dell’istituito solo se si sarà preso cura di quest’ultimo e unicamente al momento della sua morte. Tuttavia non si nega la validità di tale negozio, previsto espressamente dalla legge.
In altri termini si ritiene che invocare una ragione meramente morale (o moralistica) per comprimere l’autonomia negoziale  privata- che ha un fondamento costituzionale alla luce dell’art. 41 Cost.- non sia sufficiente.
Alla luce di tali considerazioni, allora, un differente filone interpretativo si è sforzato di rintracciare una ragione giustificativa ulteriore a fondamento del divieto di patto successorio dispositivo.
Si è ritenuto che tale divieto si ponga principalmente a tutela dello stesso futuro erede. Infatti, esso, è un erede meramente potenziale sino all’apertura della procedura successoria. Solo dopo la morte del testatore, quindi, egli avrà piena consapevolezza del lasciato ereditario attribuitogli dal de cuius cosí da poterne disporre con cognizione. Tale divieto quindi comprime comunque l’autonomia negoziale, tuttavia non per soddisfare ragioni morali ma per evitare che il futuro erede disponga della sua potenziale eredità senza una piena consapevolezza.
Vi è da notare, tuttavia, che anche questa ricostruzione non ha convinto la unanimità degli interpreti. Infatti scalzato l’argomento moralistico, tale filone interpretativo giustifica comunque la compressione dell’autonomia negoziale con un argomento fortemente paternalistico e, secondo taluno, inattuale e in contrasto con la rilevanza costituzionale dell’iniziativa privata.
Quale terzo esempio di patto successorio vietato dal nostro ordinamento, infine, è invocabile il patto successorio rinunciativo.
Anche questo divieto si rivolge al futuro erede e stigmatizza l’ipotesi in cui esso rinunci al futuro lascito testamentario ancor prima dell’apertura della procedura successoria. Anche in questo contesto si è dibattuto per rintracciare la ragione giustificativa. Secondo un filone interpretativo, in questo caso l’intenzione del legislatore sarebbe quella di tutelare il futuro erede dalla sua eccessiva prodigalità o da scelte poco ponderate. Infatti, egli avrà contezza della qualità e della quantità del lasciato ereditario solo a seguito della morte del de cuius: qualora rinunciasse prima rischierebbe di adottare una decisione senza piena consapevolezza.
Invero tale argomento replica in gran parte quello sopra descritto in tema di divieto di patto successorio dispositivo. Anche in questo contesto, quindi, è possibile invocare gli argomenti critici fatti propri da una parte della dottrina: la compressione dell’autonomia negoziale e della libera iniziativa privata non potrebbe essere giustificata da ragioni paternalistiche e protettive, ma dovrebbe operare solo al fine di impedire negozi immeritevoli di tutela o lesivi di interessi generali.
Cosí tripartito il divieto dei patti successori e individuato il suo ambito applicativo, anche alla luce delle critiche di parte degli interpreti, è utile interrogarsi rispetto alla presenza nel nostro ordinamento di istituiti che derogano l’art. 458 c.c.
In tal senso appare utile invocare l’articolo 768-bis c.c., menzionato in premessa dallo stesso articolo 458 c.c.
L’articolo 768-bis si pone in apertura del capo V bis -titolo IV – libro II, dedicato al patto di famiglia. Questo è un contratto formale con cui l’imprenditore (e non un qualsiasi testatore) trasferisce in tutto o in parte l’azienda o quote societarie. Al contratto dovranno partecipare il coniuge e tutti coloro che rivestirebbero il ruolo di eredi legittimari se al momento della stipula di tale negozio si aprisse la successione dell’imprenditore. In questo caso gli assegnatari dell’azienda o delle quote imputeranno tali beni alla loro quota di legittima, invece i non assegnatari verranno liquidati in denaro o in natura.
Secondo una prima ricostruzione interpretativa, quindi, gli articoli 768-bis e seguenti c.c. rappresentano il più importante esempio di deroga al divieto di patto successorio. A comprova di tale assunto si invocano numerosi argomenti. In primo luogo questo traspare dalla formulazione dello stesso articolo 458 c.c. che sembra intendere espressamente il patto di famiglia quale eccezione al divieto di patto successorio. In secondo luogo il patto di famiglia è – alla luce della definizione data dal legislatore – un contratto con cui l’imprenditore dispone dell’azienda o di partecipazioni societarie, a cui dovranno partecipare tutti i potenziali legittimari. Infine, come terzo argomento, si evidenzia come i non assegnatari dovranno imputare quanto ottenuto mediante contratto alla quota di legittima, mentre entrambe le categorie di soggetti non potranno agire con lo strumento della collazione o della riduzione verso quanto ottenuto. È evidente, si ritiene, che mentre l’imprenditore dispone di beni mediante contratto in deroga al divieto del patto successorio istitutivo, i potenziali eredi dispongono dei beni ereditari in deroga al divieto di patto successorio dispositivo e rinunciativo.
A questa prima lettura, tuttavia, se ne contrappone una seconda che giunge a soluzioni antitetiche. Infatti, secondo una ricostruzione differente, l’articolo 768 bis e seguenti non rappresenterebbero una deroga espressa al divieto di patto successorio di cui all’art. 458 c.c., divieto che manterebbe intatta la sua importante rilevanza sistematica. Questa lettura utilizza in termini eguali e contrari gli argomenti poco sopra descritti.
Si è notato infatti che il semplice richiamo di tale istituto da parte dell’art. 458 c.c. non è sufficiente per intendere il patto di famiglia quale deroga al divieto dei patti successori. Infatti tale patto è un contratto inter vivos (e non un negozio mortis causa), sin da subito valido ed efficace laddove si rispettano le accortezze formali e sostanziali imposte dalla legge. In secondo luogo, questa caratteristica -che acquista una importanza notevole-, non è scalfita dal fatto che i contraenti debbano essere tutti i potenziali legittimari. Infatti, quanto disposto, è utile semplicemente a consentire una tutela piena ed effettiva delle parti coinvolte, evitando che il contratto in esame, visto il suo oggetto, possa essere poi aggredito alla morte del de cuius. Quest’ultimo aspetto, infine, pare essere confermato da quanto disposto dall’art. 768-quater c.c. ultimo comma che preclude ai contraenti di agire in collazione o in riduzione verso quanto attribuito o ricevuto.
Aderire alla prima o alla secondo ricostruzione ha un impatto sistematico notevole. Infatti, al di là della struttura e degli effetti del patto di famiglia, se si ritiene questo un istituto apertamente derogatorio all’art. 458 c.c. si delimiterebbe l’ambito applicativo del divieto del patto successorio, indebolendo ulteriormente la sua ragione giustificativa, già messa in discussione, come visto, da buona parte degli interpreti.
Comunque sia, al di là della ricostruzione a cui si intendesse aderire, si è visto come l’art. 458 c.c. ha ragioni giustificative piuttosto solide quando si discorre di patto successorio istitutivo. Invece appaiono più deboli le ragioni che fondano il divieto di patto successorio dispositivo e rinunciativo. Le ricostruzioni esposte, comunque sia, si sforzano di trovare un punto di incontro equilibrato nella ricostruzione di un divieto – quale è quello di cui all’art. 458 c.c. – che è crocevia di plurime questioni problematiche in quanto intreccia la disciplina testamentaria con la libera esplicazione dell’autonomia privata.

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Dario Rombolà

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