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Sommario: 1. Spunti etimologici. – 2. I divieti negoziali nella pratica. – 3. I divieti legali di alienare. – 4. Cenni storici. – 5. La questione dogmatica. – 6. Le direttive fondamentali contenute nell’art. 1379 c.c. – 7. Norma di principio o norma residuale? – 8. La pretesa «efficacia reale» di alcuni divieti negoziali di alienare: a) Il divieto di cessione dell’usufrutto. – 9. (Segue) b) Il divieto di cessione del credito. – 10. (Segue) c) Il divieto di cedere la quota di s.r.l. – 11. (Segue) d) I divieti condominiali. – 12. Il requisito dell’interesse apprezzabile nelle «opzioni» previste dalla legge. – 13. Conclusione: l’art. 1379 c.c. richiama principi inderogabili. – 14. Il significato dell’interesse apprezzabile. – 15. I convenienti limiti di tempo. – 16. Ulteriori problemi di validità della clausola. – 17. L’inadempimento del divieto. – 18. Soggezione di altre figure negoziali alla regola dell’art. 1379 c.c.
Spunti etimologici
Il significato più antico del termine «alienare» comprenderebbe, secondo una indagine etimologica, sia il concetto di «trasferire ad altri», sia quello di «togliere da sé» e quindi, conseguentemente, «dismettere, abbandonare, rinunciare, distruggere».
Si tratta, comunque, di un atto che si compie «in vita» del soggetto, restando escluso dal concetto di alienazione ogni atto mortis causa, che rientra, piuttosto, nella nozione, certamente più ampia, di «disporre», termine che comprende, come è noto, oltre al concetto di trasferire ad altri, anche quello di dettare regole, di utilizzare e godere, ma anche quello di rinunziare e privarsi.
Nel linguaggio giuridico tradizionale, tuttavia, il termine «alienare» significa essenzialmente «trasferire», non solo come atto di chi cede ad altri, ma anche come sintesi degli effetti del trasferimento derivativo in cui la privazione di un soggetto e dell’altro sono visti come termini inscindibili.
L’esame testuale ha portato a concludere che non vi è, nel codice, un uso preciso e ben definito del termine «alienare», il quale, di conseguenza, andrebbe interpretato secondo la specifica finalità che assume in ciascun istituto.
Fanno parte dell’uso corrente le distinzioni fra alienazione «totale o parziale», «a titolo gratuito e a titolo oneroso», «traslativa e costitutiva».
A tutte è riferibile, salvo prova contraria, la regola dell’art. 1379 c.c.: Il divieto di alienare, stabilito per contratto, ha effetto solo tra le parti e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde ad un apprezzabile interesse di una delle parti.
Si è detto che l’art. 1379 dovrebbe interpretarsi secondo il significato etimologico più ampio, sino al punto di comprendere e disciplinare anche l’interesse al «non depauperamento» del patrimonio dell’obbligato, comunque esso avvenga, anche a prescindere, pertanto, da un effetto traslativo a favore dei terzi.
I divieti negoziali nella pratica
Qualche cenno ai casi più rilevanti nella pratica varrà a sottolineare l’estensione del campo di indagine, tenendo presente che si può fare riferimento, in proposito, non solo ai divieti di alienare «tout-court», ma anche ai divieti di alienare «a certe condizioni» o «in assenza di taluni requisiti».
S’intende come, in tal modo, si allarghi di molto l’ambito della discussione, che arriva a comprendere i divieti, talora imposti dalle case automobilistiche agli acquirenti, di non rivendere le vetture nuove di fabbrica prima di alcuni mesi, i contratti di finanziamento agevolato, le convenzioni urbanistiche fra Comune e privato in tema di piani di lottizzazione, i vincoli di condominio, in cui si vieta la vendita frazionata di determinate porzioni e il patto di restare in comunione, i sindacati di blocco e le clausole di gradimento nelle società, i patti di prelazione e di opzione, i patti di non far concorrenza con determinati prodotti su determinati mercati o di non vendere al di sotto di determinati prezzi (c.d. di ricarica minima o di prezzo imposto), fino a toccare il patto di esclusiva, i patti di non donare o di non alienare «a una determinata persona», i patti di boicottaggio in genere e, infine, il divieto testamentario di alienazione.
Oltre ai casi sin qui accennati vale la pena ricordare le questioni poste da alcune norme in tema di enfiteusi, art. 965 c.c., usufrutto, art. 980 c.c., cessione del credito, art. 1260 c.c., quote di comunione, locazione, art. 1594 c.c., quote di s.r.l., art. 2479 c.c., quote o azioni di società cooperative, art. 2523 c.c., concernenti, direttamente o indirettamente, speciali divieti negoziali di disporre, da tempo oggetto di attenzione da parte degli studiosi, impegnati nel tentativo di giustificare il fondamento e di tracciare una teoria, per quanto possibile, unitaria, di tale disciplina.
I divieti legali di alienare
Poiché il tema in oggetto si riferisce ai limiti di fonte negoziale o pattizia, posti alla facoltà di alienare o di disporre, è appena il caso di accennare a quelli che sono, invece, i divieti legali di disporre. In questo campo vale la pena di ricordare sinteticamente i tentativi di tipizzazione già da tempo proposti dalla dottrina, con l’avvertenza che la materia mal si presta ad essere schematizzata.
Si distinguono, in proposito, i casi di esclusione della facoltà di disporre per indisponibilità oggettiva del diritto autonomamente considerato dai casi di incapacità giuridica per divieto soggettivo di acquistare da parte di certe persone.
Ulteriori categorie comprendono la sospensione temporanea della facoltà di disporre nel permanere di una determinata situazione di pubblico interesse e, ancora, talune ipotesi di ostacolo a disporre, in mancanza di un elemento ulteriore che può essere l’autorizzazione dell’autorità, o un adempimento del soggetto, un consenso altrui, l’esistenza o l’assenza di una previsione regolamentare o pattizia precedente.
Si parla, infine, di vincoli di indisponibilità, derivanti dalla soggezione alla responsabilità patrimoniale. La denominazione appare impropria, e dovrebbe preferirsi quella di inopponibilità perché non si tratta di limiti alla circolazione del diritto, ma piuttosto di conseguenze derivanti da un potere altrui di determinare l’inefficacia relativa dell’atto attraverso l’esercizio di appositi rimedi.
L’esigenza di fissare i requisiti soggettivi e oggettivi e gli effetti del contratto suggerisce di abbandonare la prospettiva tradizionale, dei limiti alla circolazione o all’esercizio libero del diritto, per indagare in merito alla inefficacia, assoluta o relativa, o alla invalidità del negozio. Si possono distinguere, infatti, vincoli legali che determinano la nullità per indisponibilità assoluta del diritto, per incapacità del soggetto dante causa o avente causa e per impossibilità giuridica dell’oggetto, ovvero l’annullabilità, per un difetto nella capacità di agire o per conflitto d’interesse e, infine, l’inefficacia relativa.
Cenni storici
Sulle origini del divieto negoziale di alienare si diffonde, innanzitutto, la dottrina pandettistica. Sembra accertata l’esistenza di un principio del diritto romano classico secondo cui il divieto aveva efficacia meramente obbligatoria (una actio ex vendito, diretta ad ottenere il risarcimento del danno) a patto che sussistesse il requisito di un interesse meritevole di protezione. Giustiniano contrappose un nuovo indirizzo in cui si sanciva l’efficacia reale del patto contrattuale, equiparandolo alle altre possibili fonti, legale e testamentaria.
Nel diritto intermedio si conosce una rilevante utilizzazione del divieto, principalmente al fine di mantenere il patrimonio nell’ambito familiare, ma anche, talora, per scopi di garanzia, onde tutelare il creditore in modo migliore.
L’attenzione dei glossatori, a quanto pare, era tutta dedicata al problema della causa, cioè della esistenza e della espressione della causa prohibendi, al fine di evitare che la regola imposta dalla volontà privata, di solito testamentaria, apparendo come nudum praeceptum, dovesse considerarsi invalida.
La storia dell’istituto si intreccia, ovviamente, con quella del fedecommesso e dei suoi limiti.
Per quanto concerne la storia più recente della norma, è interessante osservare il diverso processo che ha portato, nel diritto francese, all’accoglimento del principio dell’efficacia reale del divieto, sanzionato dalla nullità o dalla risoluzione dell’atto di alienazione – secondo l’orientamento prevalente, purché limitato nel tempo e giustificato da un interesse serio – mentre al di qua delle Alpi, invece, ha portato a negare la efficacia reale e la opponibilità al terzo del pactum de non alienando.
Le differenti conclusioni sono, evidentemente, il riflesso di elementi culturali e metodologici caratterizzanti il pensiero giuridico italiano; ad esempio l’idea che il divieto si scontri in modo inaccettabile con il principio di ordine pubblico della libera circolazione dei beni e la convinzione che l’efficacia reale del patto contrasti col numero chiuso dei diritti reali, prospettando un nuovo, inammissibile, diritto erga omnes.
Quanto al Codice del 1865, esso taceva, come è noto, in merito alla limitazione della facoltà di alienare, ma la dottrina riteneva ammissibile, non senza qualche contrasto, un divieto anche convenzionale, purché limitato nel tempo e sufficientemente giustificato, negando, per lo più, che il patto potesse esprimere una efficacia reale.
La questione dogmatica
Fa parte, ormai, della storia dell’istituto anche la controversia dogmatica sulla natura del potere di disporre e sulla sua collocazione «all’interno» o «al l’esterno» del diritto di proprietà o del diritto soggettivo in generale.
Di fronte alla teoria che concepisce il potere di disporre come un potere autonomo, rispetto al diritto cui si riferisce, tanto da costituire un possibile oggetto di atti di disposizione, si contrapponeva, come è noto, una concezione contraria a tale autonomia, che configurava, piuttosto, la facoltà di disporre come una parte del diritto – non dissimile dalle facoltà di godimento in esso comprese – ancorché distinguibile per avere ad oggetto aspetti formali o giuridici anziché aspetti materiali.
In questa concezione, la forza produttiva del trasferimento era attribuita direttamente alla volontà del disponente e il potere di disporre veniva ricondotto alla capacità di agire.
Contro l’idea secondo cui la facoltà di disporre avrebbe rappresentato uno degli elementi costitutivi del diritto, quasi ad esprimere la massima facoltà di godimento in esso contenuta, altri dimostrava la diversa natura del potere di disporre, rispetto alla facoltà di mero godimento del bene, ricollegando, questo potere di disposizione del diritto alla capacità giuridica del soggetto stesso.
Secondo questa teoria, che sembra forse la più persuasiva, si tratterebbe, in sostanza, di due aspetti complementari della capacità: l’idoneità del soggetto, da un lato, a dismettere la titolarità di una situazione giuridica che gli appartiene, e, dall’altro, a divenire titolare di una situazione giuridica nuova, senza che l’una e l’altra facoltà debbano necessariamente ricollegarsi alla capacità di agire, dato che possono, ovviamente, esercitarsi anche in nome di chi ne è privo.
In definitiva, si dovrebbe concludere che il potere di disposizione non è mai autonomo, tanto se lo si colloca all’interno, quanto se lo si colloca all’esterno del diritto soggettivo.
L’inefficacia reale del divieto di disporre, pattuito contrattualmente, dimostrerebbe, appunto, che la facoltà (o potere) di disporre non può essere, essa stessa, oggetto di un autonomo atto di disposizione e cioè che il soggetto non può privarsi di tale facoltà, ma può solo – entro certi limiti –obbligarsi ad esercitarla in un certo modo.
L’atto di attribuzione patrimoniale, compiuto in dispregio al divieto, resta pertanto valido ed efficace, ancorché violi un obbligo inter partes, in quanto si fonda sulla irrinunciabile idoneità del soggetto a dismettere una situazione giuridica (disponibile) di cui è titolare.
Le direttive fondamentali contenute nell’art. 1379 c.c.
È abitudine diffusa sottolineare la natura composita della disposizione in esame, sia per la molteplicità dei valori giuridici che appaiono in essa riassunti, sia per la pluralità di regole giuridiche e direttive sistematiche che vi trovano espressione, tanto che se ne è giustamente sottolineato il sapore pleonastico.
Fin dalle prime analisi della nuova normativa del codice civile e già nei commenti al progetto preliminare, era stato sottolineato come, al di là del principio generico della «libera commerciabilità dei beni», si possono, in sostanza, distinguere tre fondamentali indirizzi del sistema privatistico che trovano nella disposizione in esame una singolare occasione di collegamento.
In primo luogo il principio che richiede un interesse apprezzabile, tale da giustificare il riconoscimento giuridico del patto intervenuto fra i privati; orientamento del legislatore che trova la sua espressione più significativa nella previsione del requisito causale, che, formulato forse incompiutamente nel l’art. 1322, c. 2°, riaffiora in altre disposizioni dove si richiede la valutazione di un interesse privato (basti citare, ad esempio, gli artt. 1174 e 1411 c.c.).
Occorre, tuttavia, stabilire la effettiva portata di tale requisito.
In secondo luogo viene in considerazione la regola per cui l’obbligo di non alienare vale esclusivamente entro convenienti limiti di tempo; regola che esprime, a sua volta, un principio di sfavore verso la perpetuità dei vincoli obbligatori, già altrove ampiamente riconosciuto.
In terzo luogo opera la previsione di effetti esclusivamente inter partes, principio che, come è noto, dipende dagli strumenti messi a disposizione dell’autonomia privata e cioè, da un lato, dalla impossibilità giuridica di configurare il diritto del promissario come un diritto erga omnes, essendo il numero dei diritti reali limitato a quelli tipici previsti dalla legge, e, dall’altro, dalla tipica efficacia propria del contratto, secondo il noto principio della relatività degli effetti sancito nell’art. 1376 c.c.
Norma di principio o norma residuale?
Appare interessante, da un punto di vista storico e comparatistico, verificare come gli aspetti più propriamente tecnici di tale disciplina si sovrappongano rispetto a quelle che sono considerate – in varia collocazione gerarchica, secondo i tempi e le ideologie – come esigenze fondamentali dell’ordinamento e della società: ad esempio, il valore dell’autonomia privata e della volontà (salvo la necessità di difenderla. anche da sé stessa) la garanzia nella circolazione dei diritti, la tutela della sicurezza del traffico, la certezza dei terzi aventi causa, così come può essere utile integrare la prospettiva culturale con i risultati di una analisi economica del diritto.
Il problema fondamentale circa il significato che l’art. 1379 assume nell’ordinamento positivo sembra ancora fermo alla alternativa se tale norma costituisca o meno un principio di carattere generale, arrivando, secondo taluno, ad esprimere addirittura un principio di ordine pubblico.
Inutile sottolineare l’importanza delle conseguenze che si traggono dalla soluzione cercata. È in gioco l’interpretazione e l’applicazione di numerosi istituti in ragione del rapporto intercorrente fra l’art. 1379 e le altre norme.
Una conseguenza rilevante potrà essere, ad esempio, la necessità di integrare le singole disposizioni che prevedono l’ammissibilità di limitazioni negoziali con la norma che pone i requisiti generali di validità del divieto, così in tema di limiti alla circolazione delle azioni, art. 2355, c. 3°, o di prelazione nel contratto di somministrazione.
Si tratta anche di vedere se, là dove la legge consente ai privati di vietare la cessione di un diritto (ad esempio, l’usufrutto o il diritto di credito) si debba esercitare un controllo circa l’esistenza di un «interesse apprezzabile» di una delle parti, applicando una direttiva generale sancita nell’art. 1379, o se ne debba prescindere, immaginando che la legge regoli in modo autonomo siffatte ipotesi e sottintenda un interesse sussistente in re ipsa, proprio perché essa nulla dice in merito a tale requisito.
Si pone poi il problema se rientri nella disponibilità dei privati prevedere una disciplina sanzionatoria per la violazione del divieto, quale la previsione della nullità del contratto o della sua risoluzione.
Altrettanta influenza può esplicare la questione accennata sulla ammissibilità di soluzioni «alternative» al divieto di alienare, ma che ottengono un effetto analogo, come può essere, ad esempio, l’inserimento di una condizione risolutiva della vendita qualora il compratore, violando il divieto, ceda, a sua volta, il bene. Sono in gioco gli effetti reali propri della condizione, che, come è noto, è opponibile ai terzi.
Quanto alla via per giungere ad una soluzione, occorre, in primo luogo, sottolineare che non sempre il metodo seguito in dottrina appare corretto.
Anche volendo escludere, ad esempio, che la disposizione in esame garantisca, di per sé la «libera circolazione dei beni» – infatti, secondo una parte della dottrina, essa esprimerebbe piùttosto una mera «esigenza economica» anziché un principio di ordine pubblico – non si può trascurare l’importanza che assumono gli altri fondamentali principi posti alla base della disposizione.
Soltanto ove si dimostrasse che nessun principio fondamentale si nasconde dietro l’art. 1379 si aprirebbe la via per una interpretazione riduttiva della norma.
Seguendo una strada diversa si è cercato, invece, di dimostrare che la norma avrebbe soltanto un limitato ambito di applicazione, movendo dalla considerazione che i divieti convenzionali di alienare specificamente previsti dalla legge e principalmente il divieto di cedere l’usufrutto (art. 980 c.c.) e il credito (art. 1260 c.c.) sarebbero del tutto autonomi, rispetto alla disciplina dell’art. 1379.
Quest’ultima norma si riferirebbe, in definitiva, al solo divieto di alienare la proprietà, senza neppure comprendere tutte le ipotesi possibili e quindi non potrebbe esprimere alcuna portata generale.
Poiché tale impostazione riscuote un certo consenso in dottrina ed assorbe ogni altra configurazione dell’istituto, appare necessario verificare, per prima cosa, proprio l’assunto che ne sta alla base, secondo cui talune previsioni legislative sarebbero del tutto autonome rispetto alla regola dell’art. 1379 c.c (segue. ).
(*) Queste pagine sono parte di capitolo di un volume collettaneo (AA.VV. Gli effetti del contratto,Torino 2002 ) compreso nel Trattato di diritto privato in corso di pubblicazione presso l’editore Giappichelli ,volume dove sono svolti gli argomenti che risultano dal circostanziato indice dell’opera.
indice
Parte Prima
EFFETTI DEL CONTRATTO
Capitolo I
LA vincolatività
(di Giuseppe Vettori)
1. Forza di legge e contratto giusto
2. I contratti dei consumatori
3. I contratti fra imprese
4. Il contratto usurario
5. Un nuovo ordine in formazione
Capitolo II
IL mutuo consenso allo scioglimento del contratto
(di Massimo Franzoni)
1. Premessa
2. Struttura e natura del mutuo dissenso: eliminazione giuridica dell’atto da sciogliere o cancellazione dei suoi effetti?
2.1. Le diverse tesi sul mutuo dissenso: il contrarius actus ed il contrarius consensus
2.2. La soluzione più rispettosa dell’art. 1372, c. 1º, c.c.
3. Mutuo dissenso: effetti ex tunc oppure ex nunc
4. Il mutuo dissenso di un contratto invalido, inefficace, risolubile, rescindibile o revocabile
5. L’opponibilità ai terzi dello scioglimento di un contratto invalido
5.1. Il mutuo dissenso di donazione confermata: art. 799 c.c.
6. Il mutuo dissenso di contratti ad effetti reali
7. Il regime di pubblicità del mutuo dissenso
8. La forma del mutuo dissenso
8.1. Il mutuo dissenso mediante distruzione materiale del contratto da sciogliere e la forma richiesta per fini diversi dalla validità
9. Le parti del mutuo dissenso
10. Il mutuo dissenso o la modifica dei contratti associativi
11. La capacità di contrattare nel mutuo dissenso
12. Le vicende del mutuo dissenso: il ripristino conseguente allo scioglimento dell’atto
13. L’opponibilità ai terzi del mutuo dissenso
14. Casistica sul mutuo dissenso: il contratto concluso dal falsus procurator, per persona da nominare, la cessione del contratto, il contratto a favore di terzo
15. Il mutuo dissenso nei contratti con rilevanza verso i terzi: la cessione del credito, la locazione
16. Il mutuo dissenso e la prelazione legale
17. Il mutuo dissenso e la simulazione
17.1. La simulazione assoluta
17.2. La simulazione relativa
Capitolo III
GLI Effetti del contratto nei confronti dei terzi
(di Giuseppe Vettori)
1. Il c. 2° dell’art. 1372
2. Rilevanza ed opponibilità
3. La responsabilità del terzo per violazione del contratto
Capitolo IV
I contratti ad effetti reali
(di Giuseppe Vettori)
1. Premessa
2. La circolazione dei beni: le soluzioni adottate negli ordinamenti europei. La tensione verso soluzioni uniformi
3. L’acquisto di cose mobili e la Convenzione di Vienna
4. L’acquisto dei titoli di credito
5. Gli acquisti di cose immobili e la trascrizione: gli atti trascrivibili e la trascrizione del preliminare
6. Principio consensualistico e autonomia privata
7. Effetto traslativo e individuazione
8. Il ruolo del contratto nell’assetto dei beni: obbligazioni reali e vincoli di destinazione
Capitolo V
Rilevanza ed opponibilità del contratto nel fallimento
(di Massimo Franzoni)
1. Premessa
2. Il fallimento come terzo avente causa
3. L’inopponibilità dei contratti che presuppongono l’esercizio di un’impresa
4. L’inopponibilità dei contratti personali e fiduciari
5. L’inopponibilità dei contratti la cui esecuzione è incompatibile con una procedura concorsuale
6. L’inopponibilità dei contratti privi di interesse per la massa dei creditori
7. L’inopponibilità e la rilevanza dell’appalto
8. Opponibilità e rilevanza della locazione
9. L’opponibilità dell’assicurazione contro i danni
10. Opponibilità ed inopponibilità di altri contratti
10.1. L’inopponibilità dell’arbitrato o della clausola arbitrale al fallimento
11. Efficacia ed opponibilità, quando la scelta di subentrare è effettuata a posteriori: i contratti a prestazioni corrispettive, ineseguiti
12. Il fallimento del compratore
13. Il fallimento del venditore
14. Opponibilità e rilevanza del contratto preliminare
15. L’opponibilità della vendita a rate con patto di riservato dominio e con patto di riscatto
16. L’opponibilità nella vendita di cosa mobile
17. Opponibilità e rilevanza del contratto di somministrazione
18. Gli artt. 72 e 74 l. fall. sono espressioni del principio generale di opponibilità nei rapporti giuridici pendenti
19. L’art. 45 l. fall.: l’opponibilità mediante la trascrizione
20. L’art. 45 l. fall. e gli atti non soggetti a trascrizione: quale regola per l’opponibilità nel trasferimento dei titoli di credito e delle quote di società?
21. L’art. 45 l. fall. e l’art. 1519 c.c
22. Il fallimento e la data certa delle cambiali: l’opponibilità negli atti unilaterali
23. L’inopponibilità del contratto simulato al fallimento
Parte Seconda
condizione, termine e modo
(di Maria Costanza)
Capitolo VI
condizione, termine e modo
1. Premessa
2. L’evento deducibile in condizione
3. L’evento deducibile in condizione e la deducibilità dell’adempimento
4. Condizione sospensiva e risolutiva
5. La condizione unilaterale
6. La condizione illecita
7. Vitiatur et vitiat e nullità parziale
8. L’invalidità della condizione apposta ad una singola clausola
9. La norma dell’art. 1355 c.c.
10. Condizione meramente potestativa e condizione potestativa
11. La condizione potestativa risolutiva
12. La pendenza della condizione
13. Gli atti conservativi
14. Condizione risolutiva e atti conservativi (rinvio)
15. Atti di disposizione
16. Il comportamento delle parti in pendenza della condizione
17. La finzione di avveramento
18. La causa imputabile
19. Ambito di applicazione della norma e la finzione di non avveramento
20. La retroattività
21. Il limite della retroattività
22. Limiti di opponibilità della condizione
23. Condizione legale
24. Termine
25. Modo
Parte Terza
Recesso dal contratto
(di Federico Roselli)
Capitolo VII
Il recesso dal contratto
1. Nozione
2. Il recesso quale atto impeditivo dell’adempimento
3. Recesso successivo all’adempimento
4. Figure contigue e variazioni terminologiche
5. Irrevocabilità del recesso
6. Recesso e forza legale del contratto
7. L’inizio dell’esecuzione del contratto
8. Efficacia temporale del recesso
9. Le funzioni del recesso
10. I presupposti del recesso
11. Il recesso come negozio giuridico
Parte Quarta
contratto e terzi
(di Aldo Checchini)
Capitolo VIII
il divieto contrattuale di alienare (art. 1379 c.c.)
1. Spunti etimologici
2. I divieti negoziali nella pratica
3. I divieti legali di alienare
4. Cenni storici
5. La questione dogmatica
6. Le direttive fondamentali contenute nell’art. 1379 c.c.
7. Norma di principio o norma residuale?
8. La pretesa «efficacia reale» di alcuni divieti negoziali di alineare: a) Il divieto di cessione dell’usufrutto.
9. (Segue) b) Il divieto di cessione del credito
10. (Segue) c) Il divieto di cedere la quota di s.r.l.
11. (Segue) d) I divieti condominiali
12. Il requisito dell’interesse apprezzabile nelle «opzioni» previste dalla legge
13. Conclusione: l’art. 1379 c.c. richiama principi inderogabili
14. Il significato dell’interesse apprezzabile
15. I convenienti limiti di tempo
16. Ulteriori problemi di validità della clausola
17. L’inadempimento del divieto
18. Soggezione di altre figure negoziali alla regola dell’art. 1379 c.c.
Capitolo IX
il conflitto fra più diritti personali di godimento (art. 1380 c.c.)
1. Cenni introduttivi
2. L’interpretazione riduttiva
3. L’interpretazione giurisprudenziale «eversiva»
4. Il problema della natura dei diritti personali di godimento e la revisione critica delle categorie dogmatiche; cenni
5. I diritti personali di godimento come categoria autonoma: a) L’attribuzione del godimento e la conseguente soggezione del dante causa
6. (Segue) b) Le vicende del diritto personale di godimento e la necessità di una legittimazione a disporre; critica
7. La distinzione in base al criterio della opponibilità: la pretesa natura reale di alcuni diritti personali di godimento
8. La critica alla tesi realistica e la riaffermazione della natura relativa dei diritti personali di godimento
9. La distinzione che fa capo alla disciplina del possesso e dell’acquisto a titolo originario
10. L’ambito di applicazione dell’art. 1380 c.c.
11. Il conflitto e l’acquisto del godimento
12. La soluzione del conflitto secondo la dottrina e le questioni dogmatiche irrisolte: il c. 1° dell’art. 1380. c.c.
13. (Segue) Il c. 2° e 3° dell’art. 1380 c.c.
14. L’art. 1380 c.c. e le azioni spettanti al concessionario
Capitolo X
la promessa del fatto del terzo (art. 1381 c.c.)
1. Il codice attuale e le vicende precedenti
2. Le questioni principali da chiarire
3. Fattispecie non regolate dall’art. 1381 c.c.: promessa di fare, promessa in nome altrui, promessa di un indennizzo
4. Le giustificazioni dogmatiche: norma interpretativa; conversione legale
5. Teorie tradizionali
6. L’indennizzo garantisce l’oblato per ciò che rischia nell’interesse del promittente
7. L’obbligazione di adoprarsi, intesa come «cura sine effectu», quale conseguenza eventuale della promessa
8. Il significato della promessa è quello di un impegno negoziale di protezione dell’oblato
9. La promessa del fatto altrui garantisce che l’utilità della prestazione fornita al promissario non sarà inferiore al sacrificio dal lui affrontato
10. Il significato dell’affidamento
11. Il fatto promesso
12. La ricostruzione dell’istituto, le lacune dell’art. 1381 c.c. e la tesi della Cassazione
13. Questioni in tema di indennizzo
14. Cenni sulla struttura del negozio
Parte Quinta
clausola penale e caparra
(di Federico Roselli)
Capitolo XI
Clausola penale e caparra
1. La clausola penale. Nozione
2. Funzione risarcitoria e funzione sanzionatoria della clausola penale
3. Aspetti pratici della disputa circa la funzione, risarcitoria o sanzionatoria, della clausola penale
4. Accessorietà della clausola penale all’obbligazione
5. Imputabilità dell’inadempimento sanzionato con la clausola penale
6. L’oggetto della clausola penale
7. Penale per il ritardo nell’inadempimento (pena moratoria)
8. Divieto di cumulo della prestazione principale con la penale
9. Riduzione della penale
10. Se la riduzione possa essere disposta dal giudice d’ufficio
11. Riducibilità della clausola nei contratti stipulati con la pubblica amministrazione
12. Se la clausola penale possa essere compresa tra le clausole vessatorie
13. La caparra confirmatoria. Nozione
14. Funzione della caparra confirmatoria
15. Accessorietà e realità del patto di caparra confirmatoria
16. Effetti della consegna della caparra
17. La caparra e la multa penitenziale
Parte Sesta
Simulazione
(di Aurelio Gentili)
Capitolo XII
simulazione e teoria giuridica
1. Il compito della teoria giuridica in materia di simulazione
2. L’oggetto della teoria e la definizione della fattispecie
3. Metodo descrittivo e metodo prescrittivo nella ricostruzione della disciplina
4. Teoria e dottrine della simulazione: teoria della nullità e teoria dell’inefficacia dell’atto simulato
Capitolo XIII
la simulazione nella storia del pensiero giuridico: la teoria della nullità e la teoria dell’inneficacia
1. La simulazione nelle codificazioni ottocentesche
2. Dalla pandettistica al B.G.B.: la teoria della simulazione in Germania
3. La teoria volontaristica di F. Ferrara
4. La teoria dichiarativistica di G. Messina
5. La teoria precettivistica di E. Betti
6. La teoria causale di S. Pugliatti
7. L’eclettismo della metà del secolo
8. La teoria dell’inefficacia per inesecuzione preordinata nel pensiero di S. Romano
9. La simulazione tra «fattispecie» ed «autoregolamento» nel pensiero di A. Auricchio
10. La simulazione nella dottrina francese
Capitolo XIV
La nozione giuridica della simulazione del contratto
1. Premesse metodologiche
2. Volontà, dichiarazione, causa nel contrasto fra contratto simulato e accordo simulatorio
3. Nozione dell’accordo simulatorio e delle controdichiarazioni in senso sostanziale e loro natura negoziale
4. Simulazione totale e parziale
5. Simulazione soggettiva e oggettiva: l’interposizione
6. Simulazione assoluta e relativa: il contratto dissimulato
7. Causa simulandi, illiceità, frode, falso
8. Simulazione e riserva mentale
9. Simulazione e fiducia: inconsistenza della distinzione tradizionale
Capitolo XV
simulazione, invalidità, inefficacia
1. Incoerenza e inutilità della tesi della nullità
2. Nel contratto simulato non manca la «volontà» nel senso rilevante per la validità
3. Nel contratto simulato non manca la causa, né rileva per la validità un intento contrastante
4. Soggetti e oggetto: la natura strutturale del «vizio» di simulazione
5. Diversità di disciplina tra simulazione e nullità
6. Duplice significato e inconsistenza della tesi della inefficacia
7. Simulazione e inesistenza
8. L’«inefficacia» del contratto simulato
Capitolo XVI
Le regole di soluzione dei conflitti
1. Regole di prevalenza e conflitti fra le parti
2. Il conflitto con il subacquirente di buona fede
3. I conflitti con i creditori e gli altri terzi
4. La disciplina delle situazioni «fiduciarie»
5. Sintesi della regola di prevalenza
Capitolo XVII
La simulazione nelle ipotesi diverse dal contratto di scambio
1. La simulazione oltre i confini del contratto a prestazioni corrispettive
2. La simulazione nella materia delle società
3. Sull’ammissibilità logica di una simulazione del contratto di società e l’inammissibilità della simulazione dell’ente
4. La simulazione nel sistema delle impugnative della società fissato nel codice
5. La simulazione del matrimonio nell’opinione tradizionale e la riforma del diritto familiare
6. La disciplina della simulazione del matrimonio
7. Simulazione ed atti unilaterali
Capitolo XVIII
il giudizio di simulazione
1. Premesse
2. L’azione di simulazione: natura, interesse, legittimazione, irrilevabilità d’ufficio, litisconsorzio
3. La sanatoria
4. La prescrizione
5. La prova
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