La ratio della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. .
Il principio di responsabilità patrimoniale è sancito, all’interno del nostro ordinamento, dagli artt. 2740 e 2910 c.c., i quali prevedono – rispettivamente – il vincolo imposto sul patrimonio del debitore e il potere di coazione riconosciuto al creditore.
Nel dettaglio, l’assetto obbligatorio è retto dal principio secondo il quale il debitore debba rispondere, nel caso di inadempimento della prestazione, con tutti i suoi beni presenti e futuri, che potranno divenire persino oggetto di espropriazione, secondo le norme sancite dal codice di procedura civile.
Il creditore, dal canto suo, potrà esigere la costituzione di una garanzia su uno o più beni del debitore e godere di prelazione, in sede di esecuzione forzata, nella vendita dei beni de quibus (art. 2741 c.c.).
Il combinato disposto di tali norme impone il pedissequo rispetto della c.d. garanzia patrimoniale generica, alla quale si affiancano l’insieme di obblighi accessori, preordinati ad assicurare l’adempimento delle obbligazioni, rafforzando così l’aspettativa del creditore (garanzia patrimoniale specifica).
Ferma la garanzia a favore del creditore, vige il principio di diritto secondo il quale il debitore non debba essere posto nelle condizioni di essere sfavorito nel rapporto obbligatorio, così da assicurare la corretta par condicio tra le parti.
La corretta par condicio tra le parti: il divieto di patto commissorio.
Difatti il codice del ’42 assicura una tutela adeguata alle esigenze del contraente più debole, impegnato nell’adempimento della prestazione e negando la possibilità di stipulare il c.d. Patto commissorio, ex art. 2744 c.c.. Esso è disciplinato anche dall’art. 1963 c.c., che sancisce la nullità di qualunque patto, concepito anteriormente o posteriormente al contratto di anticresi, con il quale le parti concordano che, in caso di mancato pagamento del debito, la proprietà dell’immobile passi al creditore.
Si sostanzierebbe, difatti, in quel particolare tipo di accordo volto all’acquisizione della proprietà del bene, oggetto di rapporto negoziale, da parte del creditore, in assenza del pagamento del debito. Il nostro ordinamento commina – in caso di esplicazione di un atteggiamento di tal guisa – la nullità del rapporto, posto che un tale divieto tenderebbe a soddisfare, in via del tutto preferenziale, il creditore, mediante la creazione di una causa di prelazione atipica, inammissibile in virtù del numero chiuso dei diritti reali ed eludendo una norma imperativa, quella dell’art. 2744 c.c. .
Invero si paventerebbe una forma convenzionale di soddisfacimento del credito, che mirerebbe alla tutela di un “principio di ordine pubblico economico”, legittimando così il ricorso a forme di autotutela inammissibili in termini civilistici.
Il divieto di patto commissorio assurge a principio generale, volto quindi a sanzionare l’illiceità di un determinato risultato, tanto sul fronte della garanzia reale tipica gravante su un determinato bene, quanto nell’ambito di alienazioni di garanzia sottoposti a condizione risolutiva o sospensiva.
Ammettere accordi in tal senso significherebbe rendere legittimo un negozio avente come unica funzione quella di garanzia, meramente preparatoria al reale scopo del negozio, quello di scambio tra le prestazioni. Una causa del genere è contraria ai principi cardine dell’assetto civilistico e ciò provocherebbe l’elusione di un divieto assoluto, in termini di causa e funzionalità dell’accordo negoziale. Il trasferimento della proprietà al creditore sarebbe, quindi, nel patto commissorio, sospensivamente o risolutivamente condizionato al mancato adempimento della prestazione nel termine prestabilito; contrariamente, nelle alienazioni a scopo di garanzia lecite, l’effetto traslativo verrebbe prodotto immediatamente.
Diversamente dal patto commissorio, per il quale è sancita la nullità ex art. 1344 c.c., il patto marciano viene considerato pacificamente lecito. Si sostanzierebbe nel trasferimento della proprietà del bene, oggetto di garanzia, al creditore, nel caso di inadempimento da parte del debitore, fermo restando la valutazione da parte di un terzo dell’effettivo valore del bene de quo rispetto al credito, oggetto di rapporto. Nel caso venga riscontrata un’eccedenza di valore del bene, il creditore dovrà versare al debitore la differenza tra l’ammontare del credito e l’eventuale maggior valore del bene. Si tratta di una convenzione non solo ammissibile, ma anzi vantaggiosa per il debitore, dal momento che l’espropriazione e la vendita coattiva del bene realizzano, nella prassi, un valore inferiore a quello effettivo del bene. Invero il terzo onerato di un tale compito agisce in maniera del tutto imparziale ed è esterno rispetto al rapporto: non è posto un divieto da parte dell’ordinamento giuridico, in quanto tale strumento è utile al fine di evitare ogni tipo di discriminazione in termini patrimonalistici.
I rapporti tra il divieto di patto commissorio e lo schema “eventualmente” tipico del sale and lease back.
Da sempre al centro di un acceso dibattito circa la liceità dei suoi connotati è il c.d. contratto di sale and lease back. Oggetto di diversi orientamenti, in dottrina come in giurisprudenza, si è sempre discusso circa la possibilità di annoverare tale tipologia contrattuale all’interno del divieto ex art. 2744 c.c. , a causa dei suoi fantomatici punti di contatto con il patto commissorio.
Più specificamente, il sale and lease back è quel contratto bilaterale, di origine anglosassone, per mezzo del quale un’impresa è un contratto di origine anglosassone, con il quale un’impresa commerciale vende beni di sua proprietà ad un imprenditore finanziario che ne diventa proprietario pagando un corrispettivo e contestualmente lo cede in leasing alla stessa venditrice, che versa periodicamente dei canoni per una certa durata, con facoltà di riacquistare la proprietà dei beni venduti, corrispondendo al termine di durata del contratto il prezzo stabilito per il riscatto.
Tale figura negoziale, che si contrappone al leasing finanziario per il suo carattere non trilatero, ma bilatero, presenterebbe, prima facie, una circostanza fraudolenta, assimilabile a quella tipica del patto commissorio – e quindi alle alienazioni a scopo di garanzia, vietate dal nostro ordinamento – ossia il fatto che il bene venduto rimanga in ogni caso nella disponibilità del venditore iniziale, il quale potrebbe anche esercitare il diritto di opzione sul bene stesso.
Occorre premettere che il lease back è un’operazione complessa e funzionale ad un’esigenza tipicamente imprenditoriale, ossia quella del venditore- utilizzatore di ottenere con immediatezza liquidità mediante l’alienazione del suo bene strumentale, conservandone l’uso senza soluzione di continuità e con facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto. Una situazione di tal guisa è utile al fine di smobilizzare precedenti investimenti, sfruttando i il valore di scambio degli strumenti di impresa, al fine di avvalersi della liquidità così’ ottenuta per finanziare acquisizioni di nuovi impianti tecnologici, continuando ad usare, in leasing il bene strumentale alienato, riservando alla fine del rapporto la scelta tra il riacquisto o la sua restituzione.
Uno schema negoziale così delineato non tenderebbe a far dubitare sulla propria ratio applicativa: tale vendita non sarebbe piegata allo scopo di garanzia, ma costituirebbe il presupposto necessario per la concessione del bene in leasing: si tratterebbe di vendita a scopo di leasing, non a scopo di garanzia.
L’orientamento giurisprudenziale e la dottrina prevalenti tendono a considerare la validità dello strumento negoziale del sale and lease back, in quanto presenta uno schema negoziale socialmente tipico, quale contratto d’impresa, con caratteri peculiari oggettivi e soggettivi, che non consentono di ritenere che lo stesso costituisca un negozio fraudolento sanzionabile ai sensi degli artt. 1344 e 2744 c.c. (o se considerato negozio atipico, in virtù della funzione concreta della causa, sanzionabile ai sensi degli artt. 1343 per violazione di norma imperativa ex art 2744 c.c.) .
Risulta in ogni doveroso valutare – caso per caso – se tale schema negoziale, seppur socialmente tipico, possa produrre violazione o elusione del divieto di patto commissorio.
A tal fine è necessario procedere a riscontrare l’eventuale sussistenza di alterazioni dello schema negoziale de quo, sintomatici di frodare la legge, come
- la presenza di una situazione di credito e debito tra il concedente e l’impresa venditrice, preesistente o contestuale alla vendita;
- la presenza di difficoltà economiche, che potrebbero legittimare un approfittamento della propria condizione di debolezza;
- la sproporzione tra il valore del bene e il corrispettivo versato dall’acquirente, che confermi il sospetto di approfittamento.
Il concorso di tali situazioni può fondare la presunzione che il lease back possa essere impiegato per eludere il divieto di patto commissorio e sia pertanto nullo perchè in frode alla legge.
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