Dal divieto di ammissione della prova testimoniale non discende la inammissibilità della prova per presunzioni, non applicabile nel contenzioso tributario.
Anche il contribuente può introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni, e tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi.
Decisione: Ordinanza n. 24531/2019 Cassazione Civile – Sezione 5
Nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dall’art. 7, decreto legislativo n. 546/1992, si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice.
Dal divieto di ammissione della prova testimoniale non discende la inammissibilità della prova per presunzioni, ai sensi dell’art. 2729, comma secondo, cod. civ., secondo il quale le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova testimoniale – poiché questa norma, attesa la natura della materia ed il sistema dei mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari, non è applicabile nel contenzioso tributario.
Al pari dell’Amministrazione finanziaria, anche il contribuente può introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni, e tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi.
Osservazioni
La Suprema Corte ha affrontato il cas di un contribuente, esercente attività di costruzioni, nei confronti del quale erano state accertate operazioni asseritamente inesistenti.
Il ricorso presentato dal contribuente veniva accolto in primo grado, e l’Agenzia delle Entrate appellava; la Commissione Tributaria Regionale riteneva tardivo, e quindi inammissibile, l’appello incidentale del contribuente, accogliendo l’appello principale dell’Ufficio e ritenendo provata la fittizietà delle operazioni.
Ricorreva per la cassazione della decisione il contribuente.
Nell’accogliere il ricorso, il Collegio precisa alcuni aspetti in tema di utilizzabilità delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario, anche da parte del contribuente.
Anzitutto, richiamandosi a precedenti decisioni, ricorda che «questa Corte ha precisato che, nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dall’art. 7, decreto legislativo n. 546/1992, si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento che, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice».
Poi il Collegio precisa che «dal divieto di ammissione della prova testimoniale non discende la inammissibilità della prova per presunzioni, ai sensi dell’art. 2729, comma secondo, cod. civ., secondo il quale le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova testimoniale – poiché questa norma, attesa la natura della materia ed il sistema dei mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari, non è applicabile nel contenzioso tributario».
Ne discende che «al fine di evitare che l’ammissibilità di tali dichiarazioni possa pregiudicare la difesa del contribuente ed il principio di uguaglianza delle parti, è necessario riconoscere che, al pari dell’Amministrazione finanziaria, anche il contribuente possa introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni e tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi».
Relativamente alla possibilità di introdurre le dichiarazioni di terzi nel processo tributario, ricorda che «come rilevato da questa Corte, “nel pieno rispetto della “parità di armi” tra fisco e contribuente, il diritto vivente ammette l’introduzione indiziaria nel processo tributario di dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale, sebbene esse non siano assunte o verbalizzate in contraddittorio da nessuna norma richiesto”».
Precisa, infine, che «l’attribuzione di valenza indiziaria delle dichiarazioni dei terzi anche in favore del contribuente non contrasta, d’altro canto, con l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva dalla L. 4 agosto 1955, n. 848, atteso che la Corte Europea dei diritti dell’uomo, a tal proposito, ha chiarito che “l’assenza di pubblica udienza o il divieto di prova testimoniale nel processo tributario sono compatibili con il principio del giusto processo solo se da siffatti divieti non deriva un grave pregiudizio della posizione processuale del ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile”».
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