Estensione del dolo
In base all’art. 42 c.p. “nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge”. Il dolo, quindi, è il principale criterio di imputazione soggettiva nei delitti.
In base all’art. 43 c.p. il delitto “è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.
Il nocciolo essenziale del dolo è, come si vede, l’intenzionalità, che è data dalla previsione (o rappresentazione) e dalla volontà dell’evento.
D’altra parte, occorre rilevare come la definizione di dolo offerta dall’art. 43 c.p. sia sicuramente parziale, in quanto riferisce il dolo unicamente alla verificazione dell’evento dannoso o pericoloso. Si ritiene, in realtà, che il dolo debba essere inteso come coscienza e volontà non solo dell’evento, ma dell’intero fatto tipico contemplato dalla fattispecie delittuosa.
Tale impostazione è confortata, del resto, da molteplici dati normativi.
In base all’art. 47, comma 1, c.p., infatti, “l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.
Ancora, in base all’art. 59, comma 4, c.p. “se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.
La combinazione dell’art. 43 c.p. con queste disposizioni normative induce a sostenere che il dolo sia rappresentazione e volontà non soltanto dell’evento consumativo ma dell’intero fatto tipico contemplato dalla norma incriminatrice. Il dolo deve così ricadere anche sulla condotta e sul nesso causale.
Non occorre, invece, che siano oggetto di rappresentazione e volizione le circostanze attenuanti di cui all’art. 59, comma 1, c.p. In base a quest’ultima disposizione, infatti, “le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute o da lui per errore ritenute inesistenti”.
Del pari, non devono essere coperte da dolo le condizioni obbiettive di punibilità di cui all’art. 44 c.p.: “quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto”.
Dolo colpito a mezza via da errore
Al tema relativo all’estensione dell’oggetto del dolo è riconducibile la questione del trattamento penale da riservare nei casi di c.d. dolo colpito a mezza via da errore.
L’ipotesi del dolo colpito a mezza via da errore ricorre quando l’agente pone in essere una condotta “primaria” dolosa con la quale mira alla realizzazione dell’evento dannoso o pericoloso incriminato (ad es. esempio l’omicidio), ma l’evento in realtà si verifica come effetto di una condotta “secondaria” colposa che l’agente ha posto in essere nell’erronea convinzione che l’evento si sia già verificato.
Così accade, ad esempio, quando l’omicida strangoli la vittima (condotta dolosa primaria) e, ritenendo erroneamente che la vittima sia deceduta, per liberarsi del corpo lo seppellisce (condotta colposa secondaria), cagionando solo a questo punto l’evento morte.
In queste ipotesi dottrina e giurisprudenza si sono sempre interrogate su come sia opportuno qualificare la fattispecie e quale sia il criterio soggettivo (dolo o colpa) a cui fare riferimento. In proposito, si sono registrati due orientamenti.
In passato, prevaleva la tesi del dolus generalis. In base a tale impostazione ogni volta sia dato ravvisare dolo nell’azione primaria, è possibile imputare a titolo di dolo generale anche l’evento derivante dall’azione colposa secondaria. Ciò in quanto l’unica cosa che conta è che l’agente abbia oggettivamente causato l’evento che ha voluto.
Come si vede, tale impostazione opera attraverso una fictio iuris che comporta la trasposizione dell’elemento soggettivo della condotta primaria sulla condotta secondaria, senza attribuire alcun rilievo all’errore in executivis.
Ciò comporta, innanzitutto, una lesione del principio di colpevolezza. In secondo luogo, la tesi in discorso introduce nel nostro sistema una nozione di dolo (generale) che contrasta con la definizione di dolo pacificamente accolta. Abbiamo rilevato supra, infatti, che l’oggetto del dolo deve riguardare tanto l’evento consumativo quanto il fatto interamente considerato, incluso il nesso causale. Come si è visto, però, nelle ipotesi di dolo colpito a mezza via da errore la condotta secondaria non è connotata dalla rappresentazione e dalla volontà dell’evento e del nesso causale tipiche del dolo (tornando all’esempio: si voleva seppellire un uomo già morto e non uccidere seppellendolo).
Una preferibile e più recente tesi è dunque pervenuta a trattare le ipotesi di dolo colpito a mezza via da errore attraverso una scomposizione dei casi di dolo colpito a mezza via da errore in due “sottofattispecie”: (i) una fattispecie tentata con riferimento alla condotta primaria dolosa; (ii) una fattispecie colposa con riferimento alla condotta secondaria.
Occorre però accertare che l’agente abbia effettivamente maturato la erronea certezza della verificazione dell’evento. Solo in questo caso l’azione secondaria può essere considerata come sorretta da un comportamento solo colposo e non doloso. Viceversa, qualora il soggetto abbia maturato (non l’erronea certezza ma) solo un dubbio circa la verificazione dell’evento, l’azione secondaria deve ritenersi sorretta (non da colpa, bensì) da dolo alternativo.
Con il concetto di dolo alternativo ci si riferisce all’atteggiamento psicologico del soggetto che vuole realizzare due eventi in rerum natura alternativi tra loro (giacché, sul piano naturalistico, la verificazione di uno esclude la verificazione dell’altro), essendo indifferente che si verifichi l’uno o l’altro degli eventi voluti.
Dunque, se l’agente rimasto nel dubbio circa l’intervenuta morte per strangolamento ha poi posto in essere la sepoltura mosso da tale dubbio, il reo ha in realtà voluto provocare la morte anche tramite la condotta secondaria (essendo indifferente per lui che l’evento morte sia conseguente allo strangolamento o alla sepoltura). Ci si trova così in presenza di una fattispecie unitaria connotata da dolo.
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Sul punto: “Dolo eventuale e tentativo“
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