L’articolo 50 del codice Zanardelli del 1889 dopo aver sancito all’art. 49 la non punibilità del fatto commesso per disposizione della legge e ordine dell’ Autorità, per legittima difesa o per stato di necessità, regolava l’ "eccesso scusabile", stabilendo: "Colui che, commettendo un fatto nelle circostanze prevedute dall’articolo precedente, ha ecceduto i limiti imposti dalla legge, dall’Autorità o dalla necessità, è punito con la detenzione per un tempo non inferiore a sei anni, ove la pena stabilita per il reato commesso sia l’ergastolo, e negli altri casi con la pena stabilita per il reato medesimo ridotto a misura non inferiore ad un sesto e non superiore alla metà, sostituita la detenzione alla reclusione e l’interdizione temporanea dai pubblici ufficii all’interdizione perpetua".
Il codice penale del 1889 considerava, dunque, l’eccesso come mera circostanza attenuante senza che rilevassero, ai fini della sua applicabilità, i possibili coefficienti psicologici, lasciando pertanto al giudice, nella latitudine della pena diminuita, la valutazione della maggiore o minore gravità del reato a seconda che l’eccesso fosse dovuto a dolo o colpa, o alla prevalenza dell’uno o dell’altro elemento nell’ipotesi di contestuale concorso.
I codici penali per l’esercito e la marina del 1869 d’altra parte prevedevano per il tempo di pace soltanto l’eccesso – sempre senza specificarne la causa – nella legittima difesa per l’insubordinazione (art. I26 c.p. esercito, I46 c.p. marina) e nella esecuzione di ordini o di consegne per i reati di omicidio, lesioni e percosse (art. I70 c.p. esercito, I92 c.p. marina).
La mancata definizione espressa dell’ambito soggettivo di applicazione della norma ha indotto l’elaborazione dottrinaria verso una circospezione della figura dell’eccesso scusabile ai casi di "esorbitanza colposa" dai limiti scriminanti, posto che "la causa di questo speciale e favorevole trattamento, sia nella quantità sia nella qualità della pena, risiede nel concetto, a cui si informano le ipotesi di questo eccesso, cioè che l’agente nel commettere o nell’omettere il fatto delittuoso manca di dolo, e l’azione o l’omissione sono piuttosto informate a colpa" (G. CRIVELLA, Il codice penale per il Regno d’Italia (approvato dal r.d. 30 giugno 1889, con effetto dal 1° gennaio 1890), Torino, 1890-1898, II, pp. 491ss).
Si escludevano, quindi, dalla disciplina dell’art. 50 i casi di eccesso doloso. Parimenti fuori dall’applicazione di tale norma restavano, secondo l’opinione generale fondata sul testo della Relazione ministeriale del 1887 (“ anche l’eccesso, però, deve andare impunito se non possa neanche imputarsi a colpa […] (Relazione ministeriale sul progetto del 22 novembre 1887)), le ipotesi di eccesso incolpevole.
Mancando ogni formale riferimento al titolo soggettivo d’imputazione del fatto commesso in eccesso e non essendo la (sia pure ridotta) punibilità della condotta eccessiva subordinata alla previsione legale espressa della corrispondente fattispecie colposa, la riduzione di pena ex art. 50 trovava il proprio fondamento nella ritenuta opportunità che a tale condotta si applicasse "la sanzione stabilita per il reato commesso […] mitigata sensibilmente in proporzione del carattere originariamente legittimo del fatto; ciò che meglio non potrebbe farsi se non diminuendo la pena di una frazione determinata" (Relazione ministeriale sul progetto del 22 novembre 1887). Il trattamento sanzionatorio disposto per il corrispondente reato doloso, la cui realizzazione risultava inizialmente giustificata, veniva mitigato, con parametri piuttosto larghi, dalla scusante dell’art. 50, al fine di non mandare impunito l’autore del fatto ”per l’azione eccedente i limiti di quanto era richiesto dal proprio dovere o dalla tutela del proprio o dell’altrui diritto" (Relazione ministeriale sul progetto del 22 novembre 1887)
L’eccesso colposo, così come adesso dettagliatamente disciplinato e previsto nell’art. 55 c.p., “può considerarsi un istituto penalistico senza veri e propri precedenti legislativi” (P. SIRACUSANO, Eccesso colposo, in Dig. Disc. Pen., IV, 1990, p. 180 ss.).
Nei lavori preparatori per il codice penale vigente fu chiaramente illustrato, stante la sottolineata mancanza di antecedenti codicistici, il concetto che l’eccesso si risolve in un abuso del diritto determinato da errore che “se dipendente da dolo, non è più errore, perché se uno erra dolosamente, non erra; se uno abusa dolosamente del suo diritto, non è più possibile parlare di errore: errore doloso è una contraddizione in termini… “(Verbali della relazione ministeriale n. 14); pertanto, le cause di giustificazione vennero integrate da una norma riguardante l’eccesso puramente colposo rispetto ai limiti per esse stabiliti dalla legge.
La Relazione ministeriale precisa la nozione di eccesso “colposo” nel senso di “errore… conseguente a condotta colposa”, e ribadisce, in definitiva: “l’avverbio colposamente… scolpisce il sistema, che può riassumersi cosi: fuori dell’ipotesi di colpa nell’eccesso, non trova applicazione l’articolo 55 (Relazione ministeriale sul progetto del codice penale,I , Roma, 1929, 99) ”. Stando al parere dei compilatori del codice vigente, dunque, “alla base dell’eccesso colposo vi sarebbe sempre, da parte dell’agente, un errore di valutazione della situazione che costituisce il presupposto delle cause di giustificazione”.
Esulano dalla previsione dell’art. 55 del codice Rocco le ipotesi di eccesso doloso (o volontario) e di eccesso dovuto a caso fortuito (o incolpevole).
L’eccesso doloso si realizza quando il soggetto agente è consapevole di superare i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità e ciononostante pone volontariamente in essere la condotta eccessiva.
La stessa legge penale in presenza di una causa di non punibilità dichiara giustificata la lesione di un interesse penalmente protetto: il dolo sta appunto nella coscienza di offendere oltre i limiti consentiti un bene giuridico.
In particolare, la responsabilità a titolo di dolo dovrà riconoscersi "non soltanto quando l’agente fosse consapevole del carattere esagerato o ultroneo rispetto ai presupposti a lui noti della scriminante (valutazione di mero fatto), ma anche quando l’agente abbia voluto l’evento causato ritenendo più ampi i confini legislativi della causa di giustificazione (irrilevanza dell’errore di diritto penale o errore sul divieto, art. 5 c.p.). Così, quando F abbia preso a pugni il ragazzino che gli stava rubando alcune albicocche dall’albero, verserà in eccesso doloso in legittima difesa sia che fosse consapevole della sufficienza, per difendere i suoi beni, di una reazione meno violenta, sia che ritenesse il suo comportamento autorizzato dall’ordinamento"(M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1995, p.500) (1).
La stessa legge penale in presenza di una causa di non punibilità dichiara giustificata la lesione di un interesse penalmente protetto: il dolo sta appunto nella coscienza di offendere oltre i limiti consentiti un bene giuridico.
L’eccesso dovuto a caso fortuito s’identifica, invece, in quelle ipotesi caratterizzate dalla dipendenza del comportamento oggettivamente eccessivo da un errore – non importa se intervenuto nella fase formativa della volontà ovvero nella fase attuativa della condotta – incolpevole, ossia tale da non poter essere evitato neppure da un ipotetico agente modello, che si fosse trovato ad operare nelle medesime circostanze.
L’eccesso è dovuto ad errore, e non è quindi rappresentato e voluto dal soggetto; poiché l’errore è imputabile a caso fortuito non può sorgere responsabilità penale nemmeno a titolo di colpa.
Si pensi al caso dell’aggredito che abbia indirizzato correttamente lo sparo verso parti non vitali dell’aggressore e ne abbia, tuttavia, causato la morte per effetto di un improvviso ed imprevedibile spostamento della vittima ( l’esempio è riportato da T. PADOVANI, Difesa legittima, in Dig. Disc. pen., III, Torino, 1989. p. 496 ss.).
E’ stato rilevato, però, che simile giudizio relativo alla natura dell’errore, cui si deve l’eccesso, va formulato avendo riguardo non solo alla situazione obiettiva, ma anche alle caratteristiche soggettive dell’agente concreto, dovendosi valutare con maggiore rigore la condotta di coloro che sono specificamente addestrati a gestire situazioni di
(1) In giurisprudenza rilevano, fra le tante, le sentenze Cass. pen., sez. I, 15-4-1981, MP, 1981, n. 148.407, secondo cui l’eccesso consapevole e volontario, non rientrante nello schema legale dell’art. 55 c.p., «si inserisce occasionalmente nel rapporto difesa-offesa, che utilizza per la propria affermazione»; analogamente Cass. pen., sez. V, 9-12-1981, MP, 1981, n. 151.230; Cass. pen., sez. V, 5-10-1982, MP, 1982, n. 155.353; Cass. pen., sez. V, 24-1- 1983, MP, 1983, n. 157.035, che ravvisa l’eccesso doloso nel caso di “scelta deliberata di una determinata condotta re attiva, che superi dolosamente, ossia con coscienza e volontà, i limiti imposti…)” ed ancora Cass. pen., sez. I, 5-12-1984, MP, 1984 n. 166.950; Cass. pen.. sez. I. 6-7-1988, MP. 1988. n.. 178.811; Cass. pen.. sez. 1, 26-10-1988. MP. 1988, n. 179.559.
pericolo (per es. agenti di pubblica sicurezza) rispetto a quella di chi si trovi solo eccezionalmente ad affrontare simili situazioni (S. MALIZIA, Eccesso colposo, cit., pp. 119-120) (2).
L’eccesso colposo è caratterizzato, invece, da un errore colposo in conseguenza del quale l’agente ritiene di agire entro i limiti di ciò che è consentito: l’oggetto della sua rappresentazione è una situazione lecita; poiché si tratta di rappresentazione erronea colposa, la sua responsabilità non viene meno quando il fatto è preveduto come delitto colposo.
Nel codice attuale l’art. 55 c.p. è “l’unica norma che si occupa specificamente dell’eccesso nelle scriminanti” (ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, 1987, 497ss.) (3). Le due varianti psicologiche dell’eccesso dai limiti di una causa di giustificazione, doloso ed incolpevole, non avendo una disciplina ad hoc nel vigente assetto legislativo, saranno trattati come un qualunque caso di responsabilità dolosa il primo, e come una qualunque ipotesi di condotta incolpevole il secondo.
Un’altra questione è quella relativa alla necessità dell’effettiva esistenza della causa di giustificazione, ammettendo o negando che la medesima possa essere anche solo
putativa. Il soggetto agente può, dunque, eccedere colposamente i limiti di una scriminante effettivamente esistente od anche solo creduta per errore esistente; agendo, cagiona un evento più grave diquello che la situazione supposta avrebbe legittimato (es.,ritiene che un aggressore minacci la sua integrità fisica;potendo difendersi ferendo l’aggressore, sbaglia maldestramente il colpo e cagiona la morte dell’aggressore).
(2) La diversità di regime giuridico tra eccesso doloso, colposo e incolpevole è riconosciuta in giurisprudenza. Cfr.: Cass. pen., sez. I, 5 luglio 1991. in Cass. pen. 1993, p. 820; Cass. pen., sez. I, 5 agosto 1992, in Giust. pen., 1993, Il, c. 299; Cass. pen., sez. I, 24 settembre 1997, n. 4781, ivi, 1998, Il, c. 261.
(3) S’intende nel diritto penale comune. Una figura di eccesso colposo molto simile a quella prevista nell’art. 55 c.p. è disciplinata nell’art. 45 c.p.m.p..
L’art. 55 c.p., secondo parte della dottrina (GROSSO, C.F., L’errore sulle scriminanti, Milano, 1961, 250 ss.; AZZALI, G., L’eccesso colposo, 1965, 15 ss.; contra MALIZIA, S., 119; in giurisprudenza: Cass. pen., 10 luglio 1967, in Cass. pen. Mass., 1968, 524; Cass. pen., 18 novembre 1971, ivi, 1973, 745), prevedendo la commissione di “alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 51, 52, 53 e 54”, e di eccesso dai “limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità”, sembra fare riferimento a situazioni reali. Se ciò è vero, dal suo ambito di applicazione dovrebbero essere escluse tutte le ipotesi di eccesso nei confronti di situazioni meramente putative, ed alla sua stregua rilevare soltanto le situazioni di eccesso rispetto ad esimenti che esistono nella realtà.
Il discrimen rispetto all’ipotesi di cui all’art. 59, u.c., c.p. dell’erronea supposizione di una scriminante di fatto non esistente sarebbe ravvisabile, appunto, nella effettiva esistenza della causa di giustificazione nell’ipotesi di cui all’art. 55 c.p..
A ben vedere, l’eccesso rappresenta una evoluzione del comportamento dell’agente da una situazione scriminante che assume rilevanza ex se sia essa oggettivamente esistente o anche solo soggettivamente esistente.
Per il soggetto agente il comportamento è consentito e il fine dal medesimo voluto lecito. Pertanto nulla osta a che la scriminante di fatto non esista purché il soggetto si determini all’azione sul presupposto erroneo della sua esistenza. L’art. 55 disciplina l’evolversi di siffatto comportamento e del fine non voluto eccedente il consentito e quindi ingiustificatamente lesivo, che l’agente avrebbe potuto evitare.
La questione è risolvibile facendo ricorso alle norme che regolano in generale il dolo e l’errore. “Se il soggetto suppone per errore colposo presente una causa di giustificazione, l’evento cagionato, sia esso coperto dalla esimente ritenuta erroneamente presente, o ecceda, invece, i limiti della situazione erroneamente considerata presente, verrà addebitato a titolo di colpa ai sensi dell’art. 59, ult. cpv., 2ª pt., c.p.; sarà, invece, imputato a titolo di dolo se il soggetto era consapevole della reazione in eccesso rispetto al putativo (es., supposizione erronea colposa di una aggressione che giustificherebbe una blanda reazione contro l’aggressore; l’aggredito, pur rendendosi conto che il pericolo giustificherebbe soltanto tale reazione, decide di sfruttare l’occasione per uccidere il presunto aggressore, suo acerrimo nemico)” ( C.F. GROSSO, Eccesso colposo, in Enc. Giur. Treccani, XII, 1989, p. 1ss). Qualora, invece, l’erronea supposizione degli estremi della causa di giustificazione sia scusabile, l’evento verrà addebitato a titolo di colpa ove l’eccesso rispetto al putativo sia dovuto a colpa. La consapevolezza dell’agente integra, invece, un’imputazione a titolo di dolo e di non addebitabilità del fatto qualora sia dovuto ad errore scusabile e pertanto all’agente non rimproverabile.
La contraria opinione condurrebbe all’assurdo o di mandare impunito l’agente, nonostante l’eccesso colposo in una causa di non punibilità putativa, oppure di equipararlo a chi agisce indipendentemente dall’opinione di versare in una causa di non punibilità (Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che l’eccesso colposo si verifica anche in presenza di una causa di giustificazione putativa, salvo le seguenti eccezioni: DE MARSICO, Questioni in tema di legittima difesa putativa di eccesso di difesa, in Riv. Pen., 1949, I, 545; ALIMENA F., Tentativo e colpa, in Giust. Pen., 1943, II, 262).
Sia in presenza dei presupposti oggettivi di una causa di esclusione della punibilità, sia nelle ipotesi di esimente erroneamente supposta ex art. 59.4, dunque, può accadere che l’agente, nel dar corso all’azione, superi involontariamente i limiti richiamati dalle cause giustificatrici: o per un errore nell’uso dei mezzi nella fase esecutiva (errore-inabilità), o per un errore di valutazione della situazione di fatto (errore-motivo) dipendenti da difetto colpevole di conoscenza da parte dell’agente o da altre inosservanze di norme di condotta in cui può manifestarsi la colpa secondo l’art. 43 c.p..
Perché ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 55 è necessario che ricorrano i presupposti oggettivi di una causa di giustificazione, ovvero quelli richiesti per l’applicazione dell’art. 59.4; che l’autore agisca nella consapevolezza di realizzare una condotta corrispondente a quella prevista dalla norma permissiva; che egli cagioni una lesione di beni, più grave di quella strettamente funzionale alla realizzazione del fine contemplato nell’ipotesi giustificatrice (difesa, adempimento di un dovere, salvaguardia della propria incolumità); che tale eccesso dai fini dell’azione giustificata gli si possa addebitare a titolo di colpa.
L’eccesso configurato dall’art. 55 c.p. – riguardato sotto il profilo obiettivo – consiste
“nel fatto che, dall’ambito della circostanza scriminante, sconfina in quello della norma incriminatrice” (AZZALI, L’eccesso colposo, 1965).
Codesto sconfinamento dalla sfera del penalmente giustificato a quella del penalmente illecito è stata spiegata da parte della dottrina elaborando la c.d. teoria delle 2 fasi. Il fatto, cioè, attraverserebbe due fasi diverse e distinguibili, almeno logicamente, se non sempre in senso strettamente cronologico.
“Nell’eccesso ci troviamo in presenza di un fatto che, fino ad un certo punto del suo svolgimento, è sorretto da una causa di giustificazione in realtà esistente” (M. GALLO, Colpa penale, in Enc. Dir., 1960, 250 ss.). In una prima fase il comportamento sarebbe strutturalmente riconducibile agli estremi tipologici e fattuali di una causa di giustificazione.
In concomitanza con l’esaurimento di codesta prima fase si perviene ad una seconda fase l’apertura della quale sancirà che da questo momento in poi il comportamento in questione non potrà più considerarsi “coperto dalla scriminante e, proprio in quanto non più giustificato, diviene antigiuridico (illecito)” (ROMANO, Commentario, cit.).
Una delle maggiori critiche sollevate avverso la concezione bifasica della struttura oggettiva-fenomenica del fatto eccessivo consiste nell’esser stata plasmata sul modello con la più alta frequenza statistica in tema di eccesso colposo, cioè la legittima difesa. “[…] perché si abbia eccesso colposo nella difesa occorre che il fatto sia stato cominciato nelle circostanze presupposte dalla difesa legittima” (MANZINI, Trattato, 368 ss.), in un secondo momento, poi, il comportamento difensivo-reattivo va fuori misura, diventa sproporzionato, esuberante; “eccessivo” rispetto ad una “situazione aggressiva” (PADOVANI, Difesa legittima, p. 501) con determinate connotazioni di intensità offensiva e di estensione temporale. In particolare, è stato rilevato che nella legittima difesa l’eccesso colposo “può presentarsi come eccesso intensivo (superamento della misura della necessità di difesa o proporzione), o come eccesso estensivo (superamento dei limiti cronologici dell’attualità dell’offesa)” (ROMANO, Commentario, cit., p.501).
“Dal punto di vista subiettivo possono individuarsi due distinte «forme» di eccesso colposo” ( V. P. NUVOLONE, Le due forme dell’eccesso colposo, in Trent’anni di diritto e procedura penale, I, 1969, 613 ss.). La prima forma -in definitiva coincidente con quella prospettata nella tesi monistica- sarebbe caratterizzata da un errore di valutazione e si verifica allorché l’agente valuta erroneamente la situazione, ritenendo così di rientrare nella scriminante, e, pertanto, vuole l’evento più grave. “Si difende ad esempio il diritto ingiustamente aggredito uccidendo l’aggressore senza che ricorrano i requisiti della necessità e della proporzione” (AZZALI G., L’eccesso colposo, 1965, 17 s.,).
La seconda forma, connotata invece dalla “colpa quale viene comunemente intesa”, sarebbe riconducibile allo “schema dell’errore di esecuzione, che importa una responsabilità colposa per quanto cagionato fuori o al di là del voluto” (così ancora NUVOLONE, op. loc. ult. cit.).
Nell’ipotesi di errore-inabilità il soggetto valuta esattamente, come è nella realtà, la situazione di fatto nella quale si trova ad agire ma per errore di esecuzione cagiona un evento più grave di quello voluto.
Se nella prima forma di eccesso per errore-motivo “non vi è volontà dell’evento, la cui realizzazione viene ritenuta necessaria ai fini di allontanare il pericolo”; nella seconda per errore-inabilità “vi è la colpa quale viene comunemente intesa” essendo tale ipotesi connotata dalla “[…] volontà della condotta, mentre l’evento non è voluto e si verifica per imprudenza, negligenza, imperizia nell’esecuzione della condotta” medesima (NUVOLONE, op. loc. ult. cit.).
Secondo parte della dottrina, però, l’eccesso colposo di cui all’art. 55 c.p. si esaurirebbe ai soli casi di eccesso dovuto ad errore sulle scriminanti (tesi monistica). In particolare, l’art. 55 disciplinerebbe specificamente una ipotesi di supposizione erronea della presenza di una causa di giustificazione, che si differenzierebbe da quella prevista dall’art. 59, ult. cpv., c.p. perché se l’errore disciplinato da quest’ultimo articolo presuppone la mancanza degli estremi oggettivi della esimente, quella contemplata dall’art. 55 c.p. presuppone invece l’esistenza di una causa di giustificazione, sia pure in una dimensione diversa da quella oggetto di rappresentazione da parte dell’agente. “Di qui la prova che il legislatore ha verosimilmente pensato all’eccesso colposo con riferimento al caso specifico dell’eccesso dovuto ad errore sulle scriminanti, ed in questa prospettiva ha tracciato con precisione la linea di demarcazione fra gli artt. 59, ult. cpv., e 55 c.p. “ (C.F. GROSSO, op. ult. cit.).
“Il tema della struttura colposa dell’eccesso, in realtà, si propone e si riassume là dove la norma contempla il fatto quale commesso colposamente” (AZZALI F., L’eccesso, cit., 118) ed, in particolare, con riferimento alle ipotesi di eccesso colposo dovuto ad errore-motivo.
In questo caso, infatti, l’eccesso è determinato da un errore evitabile di rappresentazione sui presupposti fattuali (descrittivi o normativi extrapenali) della scriminante, tale da indurre il soggetto agente a volere il comportamento tipico (eccessivo), credendolo giustificato dall’ordinamento. Ciò appare, evidentemente, in contrasto con la definizione codicistica del delitto colposo come delitto “contro l’intenzione”, connotato dall’involontarietà dell’evento.
In questa ipotesi "vi è la volontà della condotta e la volontà dell’evento, la cui realizzazione viene per errore ritenuta necessaria ai fini di allontanare il pericolo". Si tratta, pertanto, di una "volontà viziata, tuttavia, da un errore di valutazione" (NUVOLONE, op. loc. ult. cit.).
La giurisprudenza e la dottrina prevalente sono propense ad affermare la natura sostanzialmente colposa anche dell’eccesso dovuto ad errore-motivo.
L’esclusione del dolo viene spiegata con la considerazione secondo cui, in simili ipotesi, a determinare la volontà del soggetto non è l’evento eccessivo, bensì la tutela di un bene giuridico che l’agente ritiene erroneamente di poter realizzare per mezzo, proprio, di tale evento.
“La volontà che si dirige all’evento è dovuta ad una negligenza che si instaura sul processo volitivo dell’azione, operando in modo da far travisare al soggetto i limiti entro i quali può contenersi… È in base a tale negligenza che egli aggredisce illecitamente gli altrui diritti” ( PETTOELLO MANTOVANI, Il concetto ontologico del reato, 187). Con riferimento all’ipotesi di eccesso colposo in legittima difesa “involontario nell’eccesso colposo non è l’evento, ma soltanto l’eccesso, il rapporto cioè di sproporzione fra l’offesa e la difesa” (DELITALA, Legittima difesa e reato colposo, 461).
Oggetto del rimprovero non è di aver voluto l’evento (che l’agente ha del resto voluto in costanza di una rappresentazione erronea…), bensì di averlo imprudentemente, negligentemente ecc.. causato. L’errore di valutazione determina l’agente alla condotta eccessiva e a volere l’evento ulteriore. Usando l’ordinaria diligenza questo sarebbe stato evitato. L’errore in quanto evitabile diventa inescusabile ed al soggetto rimproverabile. La volontarietà dell’evento è qui viziata da un errore inescusabile che si converte in una falsa rappresentazione dei confini entro i quali è consentito agire; mancando l’esatta conoscenza della situazione concreta, esula l’elemento del dolo.
In definitiva in questa forma di eccesso ricavabile dall’art. 55 c.p. può, quindi, dirsi sussistente il dato strutturale psicologico-normativo “colpa”.
Una rilevante conseguenza che si trae da tale spiegazione è il venir meno della distinzione tra colpa propria caratterizzata dalla mancanza di volontà dell’evento e colpa impropria nella quale ultima si fanno tradizionalmente rientrare i casi di eccesso colposo nelle cause di giustificazione (art. 55), di erronea supposizione colposa di una scriminante (art 59, u.c.) e di errore di fatto determinato da colpa ( art. 47). L’ipotesi di colpa impropria si configurerebbe eccezionalmente nonostante la volizione dell’evento.
Da quanto sopra sostenuto tutte queste ipotesi sono strutturalmente colpose: nonostante la volizione in senso psicologico dell’evento il dolo non è configurabile per la mancanza della coscienza e volontà dell’intero fatto tipico, stante l’erronea rappresentazione di elementi non corrispondenti alla realtà. Non si rimprovera all’agente di aver voluto l’evento, ma di averlo cagionato per negligenza o imperizia.
Inoltre ,e da altro punto di vista, la contraddizione tra la definizione legale di delitto colposo incentrata sulla non volizione di un simile evento, e l’ipotesi eccesso colposo per errore-motivo nella quale esso risulta voluto, appare superabile ove si intenda il termine evento adoperato nell’art. 43.1 come offesa dell’interesse protetto dalla norma penale, e non come risultato mero risultato materiale della condotta.
Nell’eccesso colposo per errore-motivo, infatti, mentre, da una parte, l’evento naturalistico può dirsi certamente voluto dall’agente, sia pure per un errore sugli elementi descrittivi o normativi extrapenali della scriminante, dall’altra, proprio per effetto di tale errore di rappresentazione, l’evento nella sua accezione giuridica, quale offesa ad interessi normativamente tutelati dal punto di vista penale, non può considerarsi oggetto dell’intenzione dell’agente, essendo questa animata, piuttosto, dal fine di realizzare un’ attività ritenuta, per errore colposo, giustificata, analogamente a quanto accade nel caso disciplinato dall’arto 59, ult. cpv., 2ª parte, c.p..
Il discrimen tra l’eccesso per errore colposo e il fatto colposo giustificato è ravvisabile proprio nella volontà dell’evento. L’eccesso colposo presuppone, infatti, un’azione intenzionalmente diretta a una lesione di beni che si concretizza nella realizzazione di un evento ulteriore, eccessivo rispetto al consentito ed alle necessità di tutela.
Nonostante non manchino contrasti in dottrina, si può affermare la applicabilità delle cause di giustificazione ai reati colposi sulla base delle seguenti considerazioni.
Non solo gli art. 50-54 c.p., infatti, non distinguono in alcun modo tra fatto doloso e fatto colposo; ma non vi è alcun dubbio che, anche in relazione a questi ultimi, l’antigiuridicità – “indiziata” dalla sussistenza del fatto tipico – possa risultare esclusa per il ricorrere dei presupposti di una causa di giustificazione.
Se, infatti, la presenza dei presupposti di una causa di giustificazione ha l’effetto di rendere non punibile la condotta dolosa che abbia cagionato una determinata lesione di beni, a maggior ragione gli stessi effetti giuridici dovranno conseguire, nell’ipotesi in cui, nelle medesime circostanze di fatto, quella lesione di beni si verifichi come conseguenza di una condotta colposa: una condotta, cioè, contrassegnata per definizione da un disvalore di azione meno intenso, rispetto a quella dolosa.
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