Per approfondire leggi “Immigrazione, asilo e cittadinanza” a cura di Paolo Morozzo della Rocca
Il problema (o uno dei problemi) è che quasi sempre essi finiscono nelle mani di organizzazioni criminali che, lungi dall’avere un qualche interesse per la loro vita, li fa imbarcare su battelli del tutto fatiscenti, in cambio di cospicue somme di denaro, con il risultato che, molto spesso, essi finiscono col naufragare[1].
Il nostro Paese è da sempre impiegato, come leader, su tale versante, soprattutto in operazioni in ambito internazionale (si ricorderanno Mare Nostrum, Triton, o Eunavfor Med Sophia, per fare degli esempi): ebbene, tralasciando le valutazioni sulla qualità della politica intrapresa dall’attuale governo nazionale al riguardo (o di quella dell’Unione Europea nel suo insieme), e sull’opportunità o meno di adibire alla attività di soccorso le nostre navi militari, quel che può risultare interessante può essere, allora, l’analisi del c.d. obbligo di salvataggio in mare della vita umana che, derivante da una consuetudine marittima risalente nel tempo, è posto a fondamento di numerose convenzioni internazionali.
Tra di esse, assumono importanza la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS- Safety of Life at Sea, Londra, 1974), la Convenzione sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, (SAR- International Convention on Maritime Search and Rescue, Amburgo, 1979) e la Convenzione ONU sul Diritto del Mare (UNCLOS – United Nations Convention on the Law of the Sea, Montego Bay, 1982).
Da tale framework normativo emerge, dunque, che il suddetto principio sia posto tanto in capo ai singoli comandanti di navi, sia in capo agli stessi Stati (oltre ad alcuni limiti, di cui si darà cenno più oltre): sotto il primo profilo, infatti, a mente dell’art. 98.1 della UNCLOS e del Cap. V, Reg. 33(1) della SOLAS, il comandante di una nave ha l’obbligo di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita ed è, altresì, tenuto a procedere- con tutta rapidità- all’assistenza di persone in pericolo in mare, di cui abbia avuto informazione.
Sotto il secondo profilo, invece, l’Art. 98.2 della UNCLOS prevede l’obbligo, per gli Stati Parte, di istituire e mantenere un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso, relativo alla sicurezza in mare e, ove necessario, di sviluppare, in tale ambito, una cooperazione attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi, ponendo le basi per l’esecuzione di accordi multilaterali (quali, ad es., i Protocolli di Palermo del 2000) e bilaterali (quali, ad es., l’accordo tra Italia e Libia del 2007 ed il successivo Trattato di amicizia del 2008).
La Convenzione SAR, dal canto suo, impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare ed il dovere di sbarcare i naufraghi in un luogo sicuro: in tale ottica, proprio per far fronte ai problemi legati all’ottenimento del consenso di uno Stato allo sbarco delle persone tratte in salvo, gli Stati membri dell’IMO (International Maritime Organization), nel 2004, hanno adottato emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR, in base ai quali gli Stati parte devono coordinarsi e cooperare per far sì che i comandanti delle navi siano sollevati dagli obblighi di assistenza delle persone tratte in salvo, con una minima ulteriore deviazione, rispetto alla rotta prevista. A tal fine, le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) dispongono che il governo responsabile per la regione S.A.R. in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito.
Per l’Italia, inoltre, valgono gli obblighi derivanti dal Regolamento UE n.656/2014 e, a livello nazionale, dal Codice della navigazione, dal Piano Nazionale per la Ricerca ed il Salvataggio in mare[2] (DPR 662/1994, attuativo della Convenzione SAR) e dal Decreto Interministeriale 14/07/2003, che ripartisce le competenze alle autorità preposte ai controlli in mare[3].
Naturalmente, anche per l’obbligo di soccorso esistono dei limiti: essi sono previsti dall’art. 98 della UNCLOS (ove l’intervento ponga in pericolo la nave, l’equipaggio o i passeggeri, o se, considerate le circostanze del caso, non appare ragionevole aspettarsi una simile iniziativa)[4], dall’art. 489 del Codice della Navigazione (“…in quanto possibile senza grave rischio della nave soccorritrice, del suo equipaggio e dei suoi passeggeri …”, o, ancora, “a meno che sia a conoscenza che l’assistenza è portata da altri in condizioni più idonee o simili a quelle in cui egli stesso potrebbe portarla…”)[5] poc’anzi richiamato e dalla Reg. 33/V della SOLAS (“se la nave che riceve il segnale di pericolo non è in grado o, in base alle specifiche circostanze, considera non ragionevole o non necessario procedere alla loro assistenza, il comandante deve registrare nel giornale nautico i motivi giustificativi della mancata assistenza, tenendo in considerazione le raccomandazioni dell’organizzazione ed informare di conseguenza il competente servizio di ricerca e soccorso”).
Quanto, infine, alle sanzioni previste, in caso di omissione di assistenza a navi o persone in pericolo, con particolare riguardo all’ordinamento giuridico italiano, occorre ricordare quanto previsto dall’art. 1158 del Codice della Navigazione, prima richiamato, secondo cui il comandante di una nave, nazionale o straniera, “che ometta di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio” nei casi in cui ne abbia l’obbligo (alla luce di quanto previsto dallo stesso Codice), debba essere punito con la reclusione fino a due anni (la pena sarà invece della reclusione da uno a sei anni, se dal fatto sia derivata una lesione personale; da tre ad otto se ne sia derivata la morte).
[1] Uno dei recenti episodi di salvataggio in mare salito alla ribalta mediatica, risale al 30 Giugno scorso, quando la nave Diciotti della Guardia Costiera italiana ha tratto in salvo 108 migranti nel Canale di Sicilia, in condizioni di mare molto difficoltose.
[2] Ai fini del D.P.R. n. 662 del 1994 si intende per “soccorso marittimo”, tutte le attività finalizzate alla ricerca e al salvataggio della vita umana in mare; si stabilisce inoltre – che:
a) il comando generale del corpo delle capitanerie di porto è l’organismo nazionale che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo (i.m.r.c.c. – italian maritime rescue coordination center);
b) le direzioni marittime costituiscono i centri secondari di soccorso marittimo (m.r.s.c. – maritime rescue sub center); c) i comandi di porto costituiscono le unità costiere di guardia;
d) le unità navali e gli aeromobili del servizio di guardia costiera del corpo delle capitanerie di porto, appositamente allestiti, costituiscono le unità di soccorso marittimo. Per ciò che concerne il soccorso ad aeromobili in pericolo, gli organismi indicati svolgono i seguenti compiti:
– il comando generale del corpo delle capitanerie di porto, quale centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo (i.m.r.c.c.), assicura l’organizzazione generale dei servizi marittimi di ricerca e salvataggio, coordina le operazioni di ricerca e salvataggio nell’ambito dell’intera regione di interesse italiano sul mare e tiene contatti con i centri di coordinamento del soccorso degli altri stati.
– le direzioni marittime, quali centri secondari di soccorso marittimo (m.r.s.c.), assicurano il coordinamento delle operazioni marittime di ricerca e salvataggio, secondo le direttive specifiche o le deleghe del centro nazionale (i.m.r.c.c.) nel proprio settore, individuato dalle acque marittime di interesse nazionale ed internazionale che si estendono in profondità dalla linea di costa delle rispettive giurisdizioni, così come specificato all’articolo 6 e riportato nella rappresentazione grafica allegata al presente regolamento di cui fa parte integrante.
– i comandi di porto, quali unità costiere di guardia (u.c.g.), dispongono l’intervento delle unità di soccorso marittimo da essi dipendenti dislocate nella loro giurisdizione e ne mantengono il controllo operativo, salvo che l’i.m.r.c.c. disponga diversamente.
– le unità di soccorso marittimo intervengono nelle operazioni di soccorso secondo le pianificazioni delle unità costiere di guardia, redatte e disposte dai centri secondari di soccorso marittimo (m.r.s.c.) per l’impiego di mezzi disponibili nelle aree di propria giurisdizione.
[3] Essa è stata il primo Paese del Mediterraneo a delimitare le proprie zone di competenza S.A.R., accettate nell’apposita Conferenza IMO di Valencia del 1995 dagli altri Stati frontisti, con l’eccezione di Malta, la quale, oltre a reclamare unilateralmente una vastissima zona S.A.R., coincidente con la propria Flight information Region (F.I.R.) ed in parte sovrapposta alla zona S.A.R. italiana, non ha ancora ratificato gli emendamenti suddetti, con la motivazione che la sua ridotta consistenza territoriale non le consentirebbe di mantenere gli impegni che ne conseguirebbero.
[4] Article 98- Duty to render assistance:””1. Every State shall require the master of a ship flying its flag, in so far as he can do so without serious danger to the ship, the crew or the passengers: (a) to render assistance to any person found at sea in danger of being lost; (b) to proceed with all possible speed to the rescue of persons in distress, if informed of their need of assistance, in so far as such action may reasonably be expected of him; (c) after a collision, to render assistance to the other ship, its crew and its passengers and, where possible, to inform the other ship of the name of his own ship, its port of registry and the nearest port at which it will call.
2. Every coastal State shall promote the establishment, operation and maintenance of an adequate and effective search and rescue service regarding safety on and over the sea and, where circumstances so require, by way of mutual regional arrangements cooperate with neighbouring States for this purpose”.”.
[5] Articolo 489 – Obbligo di assistenza: “L’assistenza a nave o ad aeromobile in mare o in acque interne, i quali siano in pericolo di perdersi, è obbligatoria, in quanto possibile senza grave rischio della nave soccorritrice, del suo equipaggio e dei suoi passeggeri, oltre che nel caso previsto nell’articolo 485, quando a bordo della nave o dell’aeromobile siano in pericolo persone.
Il comandante di nave, in corso di viaggio o pronta a partire, che abbia notizia del pericolo corso da una nave o da un aeromobile, è tenuto nelle circostanze e nei limiti predetti ad accorrere per prestare assistenza, quando possa ragionevolmente prevedere un utile risultato, a meno che sia a conoscenza che l’assistenza è portata da altri in condizioni più idonee o simili a quelle in cui egli stesso potrebbe portarla”.
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