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Onere della prova nel contenzioso bancario
Questo nuovissimo Manuale esamina l’onere della prova nell’ambito della complessa materia del contenzioso bancario e la diversa funzione, a seconda che riguardi la banca o il correntista, alla luce della più recente giurisprudenza di settore e delle ultime decisioni del Collegio di coordinamento. Di taglio operativo, il testo chiarisce l’onere probatorio che deve essere soddisfatto in giudizio per provare il proprio credito, sia che riguardi la banca che il correntista e fornisce risposte ai problemi pratici e alle questioni giuridiche, come ad esempio le patologie che danno luogo a nullità ed azionano il meccanismo ripetitorio. Nel caso di onere probatorio della banca, la trattazione esamina la regola del saldo zero, in considerazione della necessità dell’istituto bancario di fornire la prova del proprio credito, tipicamente in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; nel caso del correntista, il volume ricostruisce la disciplina sostanziale e processuale dell’azione di indebito oggettivo esperita dal cliente bancario nei confronti del proprio istituto di credito. In tal senso, si esaminano i motivi di censura che il correntista può rivolgere alla banca, come anatocismo, usura, giochi valuta.Andrea Agnese, Già avvocato in Milano con master in Giurista di Impresa. Autore di numerose pubblicazioni.
Andrea Agnese | 2017 Maggioli Editore
24.00 €
La vicenda alla base della controversia decisa dalla Suprema Corte
Con l’ordinanza n. 742, pubblicata in data 16 gennaio 2020, la Sesta Sezione della Suprema Corte ha preso posizione in merito alla qualificazione della persona fisica che rilasci una fideiussione, per scopi estranei ad un’attività professionale, in favore di un soggetto che non possa ritenersi consumatore.
Prima di inquadrare la questione, appare anzitutto opportuno ricostruire succintamente la vicenda in esame, focalizzando l’attenzione sulle sole circostanze rilevanti per la presente trattazione.
Nel corso dell’anno 2015, un istituto di credito chiedeva al Tribunale di Fermo di emettere un decreto ingiuntivo nei confronti di due persone fisiche, vale a dire: (i) la titolare di una ditta individuale (avente ad oggetto un’attività di cartolibreria), in relazione a debiti derivanti da un mutuo chirografario, e da uno scoperto di conto corrente; e (ii) il marito della debitrice, in ragione della fideiussione che aveva rilasciato, in favore della moglie, per i predetti debiti.
Al termine del procedimento monitorio, il Giudice accoglieva l’istanza, emettendo l’invocato decreto ingiuntivo in favore della banca.
Successivamente, entrambi gli ingiunti proponevano opposizione, eccependo preliminarmente l’incompetenza del Tribunale di Fermo, sulla base di clausole di deroga del foro territoriale, contenute nei distinti contratti sottoscritti con la banca. Tali contratti contenevano infatti delle clausole di elezione del foro[1].
Nelle pagine che seguono si tratterà soltanto della previsione contenuta nel contratto di fideiussione, essendo più direttamente rilevante per quanto qui interessa. Ebbene, la clausola in esame stabiliva che: “per qualunque controversia con soggetti che non rivestano la qualifica del consumatore ai sensi del d.lgs. n. 206/2005 (codice del consumo) [[2]] il foro competente è in via esclusiva quello nella cui giurisdizione si trova la sede della banca”[3].
Alla luce di quanto precede, giova chiarire che il fideiussore risiedeva in un luogo ricadente nel circondario del Tribunale di Fermo, vale a dire proprio il Giudice dinanzi al quale l’istituto di credito aveva proposto il ricorso per decreto ingiuntivo in parola.
Per contro, il fideiussore nell’atto di opposizione al decreto eccepiva l’incompetenza del predetto Tribunale, sostenendo tra l’altro che la controversia dovesse essere devoluta al Giudice territorialmente competente per il luogo ove la banca aveva la propria sede (vale a dire, nel caso di specie, il Tribunale di Ascoli Piceno)[4].
All’esito del giudizio di opposizione, il Tribunale di Fermo accoglieva la tesi degli opponenti, ritenendosi incompetente ad emettere il decreto ingiuntivo opposto, e dichiarando la nullità dello stesso.
Nel motivare tale decisione, il Tribunale marchigiano statuiva, tra l’altro, che: (a) la mutuataria, “titolare dell’omonima ditta individuale”, aveva agito nell’ambito della sua attività professionale (non potendo quindi essere ritenuta consumatrice); (b) sebbene il fideiussore (marito della mutuataria) avesse veste di consumatore persona fisica, nondimeno, “quando si tratta di fideiussione che accede a contratti bancari, la qualità del debitore principale attrae quella del fideiussore ai fini dell’individuazione del soggetto che deve rivestire la qualità di consumatore”.
Il Tribunale ha quindi ritenuto di non poter applicare la tutela relativa al consumatore. Per tale ragione, ha concluso che il Giudice competente per l’emissione del decreto ingiuntivo dovesse essere il Tribunale di Ascoli Piceno, all’interno del cui circondario si trovava la sede della banca.
Avverso tale pronuncia, l’istituto di credito ha proposto apposita istanza per regolamento di competenza dinanzi alla Corte di cassazione, ex art. 47 c.p.c.
Il contrasto relativo alla discussa teoria del “professionista di riflesso”
Per quanto qui interessa, il quesito giuridico in esame può essere così sintetizzato: deve essere considerata “consumatore” la persona fisica che – operando al di fuori dell’ambito di sue eventuali attività professionali – presti una fideiussione a garanzia di un soggetto che non è consumatore?
Ove si concordi con la ricostruzione adottata in primo grado dal Tribunale di Fermo, il fideiussore – marito della debitrice principale – non potrebbe essere ritenuto consumatore, dovendo essere invece considerato come professionista “di riflesso” (o “di rimbalzo”). Tale tesi non è però universalmente condivisa, essendo stata oggetto, nel corso del tempo, di pronunce contrastanti.
L’iter decisionale seguito dalla Corte di cassazione
Nella pronuncia in esame la Suprema Corte esegue anzitutto una ricognizione dei “dati di base” della controversia, tra i quali preme evidenziare: (i) la circostanza che il fideiussore è intervenuto nella vicenda in ragione del “non contestato rapporto di coniugio” con la debitrice principale, vale a dire “per fini estranei a ogni eventuale sua attività professionale”; (ii) il fatto, anch’esso non contestato, che il fideiussore risiedeva in un luogo ricadente nella competenza territoriale del Tribunale di Fermo.
La Corte si è quindi dedicata all’esame di due ricostruzioni differenti, ed alternative, in relazione alla dibattuta teoria del “professionista di riflesso”.
In primo luogo, il Giudice di legittimità ripercorre l’orientamento tradizionale, secondo il quale la persona fisica, che presti fideiussione per la garanzia di un debito gravante su un soggetto “professionale”, non rivestirebbe lo status di consumatore.
Con riferimento a tale tesi, la Corte richiama una nutrita serie di precedenti, soffermandosi in particolare sulla propria sentenza del 29 novembre 2011, n. 25212 (ove era a sua volta richiamata un’importante pronuncia della Corte di Giustizia[5]).
In tale precedente, la Cassazione, facendo perno sul carattere di accessorietà dell’obbligazione fideiussoria, aveva prima di tutto evidenziato l’esistenza di un collegamento “necessario, unilaterale e funzionale” tra il debito principale e la fideiussione[6]. Sulla base di tali premesse, aveva poi affermato che il rapporto debitorio principale sarebbe l’inevitabile punto di riferimento per l’indagine circa l’applicazione (o meno) della normativa disciplinata dal Codice del consumo.
Così conclusa la disamina dell’orientamento più risalente, la Corte passa poi in rassegna la tesi opposta, enunciata in decisioni più recenti, ivi compresa la n. 32225 del 13 dicembre 2018. Il Giudice di legittimità non manca di sottolineare che anche tale pronuncia è stata “ispirata” dalla Corte di Giustizia[7], evidenziando che:
– “le «regole uniformi concernenti le clausole abusive devono applicarsi a “qualsiasi contratto” stipulato tra un professionista e un consumatore»”, essendo quindi irrilevante l’oggetto del contratto stesso;
– “«è dunque con riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell’ambito della loro attività professionale, che la direttiva n. 93/13 [in materia di clausole abusive nei contratti con i consumatori] definisce i contratti ai quali essa si applica»”;
– questo criterio corrisponde all’idea che il consumatore si trovi, rispetto alla controparte, in una situazione di inferiorità. Anzi, secondo tale ricostruzione, la tutela approntata dalla legge risulta particolarmente importante proprio nel caso di contratto di garanzia o fideiussione stipulato tra un istituto bancario e un consumatore. Inoltre, la Corte afferma che, dal punto di vista delle parti, tale contratto è distinto rispetto a quello che ha dato origine al debito, essendo stato stipulato da contraenti diversi rispetto a quelli dell’accordo principale; e, ciò, nonostante le caratteristiche di accessorietà della fideiussione[8]–[9].
La soluzione adottata dalla Suprema Corte
Così riepilogati i termini della questione, la Corte decide di dare seguito al secondo orientamento.
Il Giudice di legittimità, infatti, ritiene che il carattere accessorio dell’obbligazione fideiussoria non possa incidere sulla qualificazione dell’attività (professionale o meno) di una delle parti contraenti; e che, tanto meno, tale accessorierà possa far diventare il terzo garante “il duplicato” di un altro soggetto (vale a dire, il debitore principale).
La Corte esclude quindi la rilevanza dell’attività svolta dal debitore principale, ai fini della qualificazione della posizione del fideiussore, quale consumatore.
Fermo tale rilievo, la pronuncia in commento sottolinea che: “le citate decisioni della Corte di Giustizia indicano – quale criterio per la positiva identificazione di un fideiussore nell’ambito della categoria del consumatore – la «valutazione se il rapporto contrattuale» di cui alla fideiussione nel concreto rientri, oppure no, «nell’ambito di attività estranee» all’esercizio della eventuale professione specificamente svolta dal soggetto che ha prestato la garanzia”.
Tale valutazione deve essere effettuata sulla base della nozione generale racchiusa nell’art. 3, c. 1, lett. a), del Codice del consumo, ai sensi del quale è consumatore “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, eventualmente svolta”. Ed anzi, tale nozione è centrale, nell’impostazione interpretativa della Corte, la quale sottolinea che non vi è ragione per utilizzare, nella fattispecie in esame, criteri differenti da quelli generali e comuni.
Il principio di diritto
Alla luce degli argomenti sopra riportati, la Corte giunge alla conclusione per cui deve essere considerato consumatore “il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità non inerenti allo svolgimento di tale attività, bensì estranee alla stessa”. Si deve quindi trattare di un atto “non espressivo di questa [attività], né strettamente funzionale al suo svolgimento (c.d. atti strumentali in senso proprio)”.
In applicazione di tale principio, la Cassazione ritiene pertanto che nel caso di specie sussistesse, in relazione alla posizione del “fideiussore e consumatore” de quo, la competenza del Tribunale di Fermo.
Così sintetizzate le risultanze della decisione in esame, resta a questo punto da verificare quali saranno gli sviluppi successivi, ed in particolare se l’interpretazione di cui si è detto troverà seguito presso la giurisprudenza e la dottrina.
[1] Il contenuto delle clausole presenti nei vari contratti non era identico, il che ha portato la Corte a dover svolgere considerazioni di tenore differente. Sia concesso rimandare, sul punto, alla lettura della decisione in commento.
[2] Come si tornerà a dire, la definizione di consumatore è attualmente enunciata dall’art. 3, c. 1, lett. a), del D. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cd. Codice del consumo). In forza di tale norma, è qualificabile come consumatore “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, eventualmente svolta”.
[3] Per completezza si rammenta che, ai sensi dell’art. 33, c. 2, lett. u) del Codice del consumo, si presume vessatoria, fino a prova contraria, la clausola che ha per oggetto, o per effetto, di “stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore”.
[4] Si rinvia alla decisione in commento per quanto concerne le difese formulate dalla debitrice principale, la cui posizione era differente rispetto a quella del fideiussore, sia per evidenti ragioni fattuali, sia per il diverso testo contrattuale della clausola di deroga del foro.
[5] Sentenza del 17 marzo 1998, causa C-45/96.
[6] Ciò, (anche) alla luce degli artt. 1939, 1941 e 1945 c.c., che disciplinano, rispettivamente: la validità della fideiussione (che non sussiste “se non è valida l’obbligazione principale […]”); i limiti della fideiussione (che non può eccedere “ciò che è dovuto dal debitore […]”); e, infine, le eccezioni opponibili dal fideiussore (il quale può “opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella derivante dall’incapacità”).
[7] Ordinanza del 19 novembre 2015, causa C-74/15 (“Tarcău”); e Ordinanza del 14 settembre 2016, causa C- 534/15.
[8] Si riporta qui di seguito la massima della citata decisione: “I requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), dando rilievo – alla stregua della giurisprudenza comunitaria – all’entità della partecipazione al capitale sociale nonché all’eventuale qualità di amministratore della società garantita assunto dal fideiussore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva escluso la qualità di consumatore in capo al fideiussore detentore del 70% del patrimonio sociale della società garantita, ancorché non amministratore della stessa, ed in assenza di prove idonee ad escludere il collegamento tra la fideiussione e lo svolgimento dell’attività professionale)”.
[9] A titolo di raffronto, appare utile richiamare anche il Coll. Coord. ABF 5368/2016, che ha parimenti tenuto in considerazione la già richiamata Ordinanza della Corte di Giustizia del 19 novembre 2015 nella causa “Tarcău”. In quell’occasione, il Collegio ABF ha enunciato il seguente principio di diritto: “nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata”. In applicazione di tale principio, l’ABF ha ritenuto che non sussistessero elementi per qualificare il ricorrente come consumatore; ciò, tra l’altro, perché in quel caso si poteva ipotizzare che la garanzia – avente ad oggetto un’apertura di credito ipotecaria a favore di una cooperativa edilizia – fosse stata rilasciata anche nell’interesse mutualistico del fideiussore a diventare proprietario di un immobile.
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Questo nuovissimo Manuale esamina l’onere della prova nell’ambito della complessa materia del contenzioso bancario e la diversa funzione, a seconda che riguardi la banca o il correntista, alla luce della più recente giurisprudenza di settore e delle ultime decisioni del Collegio di coordinamento. Di taglio operativo, il testo chiarisce l’onere probatorio che deve essere soddisfatto in giudizio per provare il proprio credito, sia che riguardi la banca che il correntista e fornisce risposte ai problemi pratici e alle questioni giuridiche, come ad esempio le patologie che danno luogo a nullità ed azionano il meccanismo ripetitorio. Nel caso di onere probatorio della banca, la trattazione esamina la regola del saldo zero, in considerazione della necessità dell’istituto bancario di fornire la prova del proprio credito, tipicamente in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; nel caso del correntista, il volume ricostruisce la disciplina sostanziale e processuale dell’azione di indebito oggettivo esperita dal cliente bancario nei confronti del proprio istituto di credito. In tal senso, si esaminano i motivi di censura che il correntista può rivolgere alla banca, come anatocismo, usura, giochi valuta.Andrea Agnese, Già avvocato in Milano con master in Giurista di Impresa. Autore di numerose pubblicazioni.
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