Il Garante privacy sulla protezione dei dati e la sicurezza sanitaria nei luoghi di lavoro nell’ambito dell’emergenza sanitaria da Covid-19

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Garante per la protezione dei dati personali: Audizione del Presidente del Garante per la protezione dei dati personali sull’affare assegnato atto n. 453 relativo al tema di Ricadute occupazionali dell’epidemia da Covid-19, azioni idonee a fronteggiare le situazioni di crisi e necessità di garantire la sicurezza sanitaria nei luoghi di lavoro – 13 maggio 2020

Premessa

il presidente del garante per la protezione dei dati personali è recentemente intervenuto in un’audizione presso la Commissione numero 11 del Senato per discutere sul tema della protezione dei dati rispetto alle conseguenze che la pandemia di coronavirus ha determinato sul lavoro e sulle sue modalità di svolgimento da parte dei dipendenti.

Preliminarmente, il presidente ha ricordato come i pericoli maggiori che derivano dalle situazioni emergenziali, come quella sanitaria che stiamo attualmente vivendo, è quello di non accorgersi o addirittura non curarsi del fatto che, in ragione della situazione emergenziale, i diritti e le libertà delle persone vengono compressi e limitati. Secondo il presidente, invece, in tale situazione, bisogna aver ben chiaro che i diritti possono essere limitati soltanto nella misura strettamente indispensabile e devono essere periodicamente valutati per verificare che le limitazioni imposte siano sempre necessarie e soprattutto proporzionali rispetto alla situazione emergenziale.

La protezione dei dati personali dei lavoratori assume, in tale contesto, una funzione significativa in considerazione del fatto che i lavoratori rappresentano una categoria vulnerabile e sono parti di un rapporto contrattuale con una controparte che assume una posizione più forte e quindi in grado di condizionare anche la loro volontà. Infatti, il lavoratore ha evidentemente una posizione più debole rispetto a quella del datore di lavoro e tale differenza di potere contrattuale spesso impedisce al lavoratore di compiere le proprie scelte in maniera effettivamente volontaria ed autonoma. In altri termini, secondo il presidente, occuparsi e preoccuparsi della tutela dei dati personali di tali categorie di soggetti deboli è certamente un modo per tutelare i diritti e le libertà dei cittadini anche durante la situazione emergenziale che stiamo vivendo.

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I controlli dei lavoratori per prevenire il contagio

Il primo aspetto preso in considerazione dal presidente del garante riguarda i controlli dei lavoratori effettuati sul luogo di lavoro e finalizzati a prevenire il contagio da Covid-19.

Il principio generale da tenere sempre in considerazione come criterio guida nella valutazione della legittimità di tali controlli è quello per cui il trattamento dei dati personali particolari (come quelli relativi allo stato di salute) è lecito, in presenza di esigenze di sanità pubblica, quando sussiste una previsione normativa dell’unione europea o dello Stato nazionale che individua l’ambito del trattamento e soprattutto le relative garanzie.

In una situazione di pandemia come quella in cui ci troviamo, potrebbe succedere che la necessità di intervenire con urgenza porti a non attendere o comunque a non voler considerare le regole che stabiliscono le garanzie del trattamento. Infatti, ricorda il presidente, che, nelle prime settimane della pandemia, lo stesso garante è dovuto ripetutamente intervenire, ammonendo i datori di lavoro che raccoglievano dati sui sintomi o sui contatti dei propri lavoratori in maniera sistematica e generalizzata, nonché ricordando loro che i principi in materia di protezione dei dati personali impongono al datore di astenersi da tale tipo di trattamento.

Tuttavia, secondo il presidente, rimane comunque l’esigenza di tutelare i lavoratori dal rischio del contagio. Per questo motivo le misure finalizzate a prevenire tale rischio devono garantire anche la protezione dei dati personali.

In ragione di tale finalità, il garante ha dunque suggerito di limitare i trattamenti dei dati, nell’effettuazione dei controlli sui lavoratori, nei seguenti termini:

  • la temperatura corporea dei dipendenti può essere rilevata al momento di accesso presso la sede, ma può essere registrato soltanto il dato relativo al superamento della temperatura soglia, per documentare e giustificare il motivo per cui al lavoratore non è stato permesso l’ingresso al luogo di lavoro;
  • il datore di lavoro può acquisire informazioni circa il fatto che il lavoratore provenga da aree a rischio oppure ha avuto contatti con soggetti che potrebbero essere potenzialmente contagiati da coronavirus, ma tale dato deve essere acquisito senza che vi sia alcun riferimento a soggetti terzi identificati o identificabili; in ogni caso, detto dato deve essere acquisito solo se strettamente necessario per la finalità di prevenzione del contagio e l’ampiezza dell’informazione acquisita deve essere proporzionata a tale finalità;
  • nel caso in cui il medico del lavoro individui l’opportunità che un determinato lavoratore sia utilizzato, in ragione delle proprie condizioni di salute, per svolgere un’attività lavorativa meno esposta al rischio infettivo, dovrà segnalare tale opportunità al datore di lavoro, ma non potrà riferire a quest’ultimo la patologia eventualmente riscontrata sul lavoratore;
  • il datore di lavoro ha il dovere di comunicare all’autorità sanitaria i nominativi dei propri dipendenti che sono stati contagiati dal virus, ma non può comunicare tale contagio al rappresentante dei lavoratori e agli altri suoi dipendenti.

 

Per quanto riguarda, poi, la conoscenza e il trattamento delle informazioni relative al contagio dei dipendenti, il presidente ha ricordato che il datore di lavoro, per assolvere ai propri obblighi di garantire l’incolumità dei suoi dipendenti, non è necessario che conosca l’eventuale patologia degli stessi, ma è sufficiente che abbia notizia soltanto della idoneità o meno del lavoratore a svolgere la prestazione lavorativa (in modo da poter prendere le conseguenti decisioni). Pertanto, soltanto il medico del lavoro potrà conoscere la patologia o i relativi sintomi e conseguentemente stabilire che il lavoratore debba essere sottoposto a particolari analisi diagnostiche, anche quelle che possono essere utili per prevenire o contenere il contagio da coronavirus (quindi anche nel caso di effettuazione di test sierologici).

Con riferimento proprio ai test sierologici, il presidente del garante ricorda che, oltre ad essere disposti su indicazione del medico del lavoro, soltanto quest’ultimo potrà conoscere i risultati (che, quindi, non possono essere portati a conoscenza del datore di lavoro).

 

Il tracciamento dei contatti.

Il secondo aspetto preso in considerazione dal presidente del garante privacy è quello relativo al tracciamento dei contatti.

In primo luogo, viene ribadita la natura esclusivamente volontaria dell’adesione al sistema di tracciamento dei contatti. In altri termini, per poter adottare un sistema di tracciamento nei confronti di un soggetto, quest’ultimo dovrà necessariamente aderire in maniera volontaria al sistema stesso.

In secondo luogo, viene ricordata la necessità che, in caso di rifiuto da parte del soggetto, questi non subisca alcuna conseguenza pregiudizievole. Ciò significa che la decisione se aderire o meno al sistema di tracciamento non può essere condizionata dal fatto che l’interessato possa avere paura di subire delle conseguenze negative a causa della eventuale mancata adesione al tracciamento stesso.

Lo smart working.

Infine, il presidente analizza le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa c,d, “smart”, cioè attraverso sistemi informatici.

Infatti, il distanziamento sociale imposto dalla situazione di pandemia ha portato i datori di lavoro a utilizzare sempre di più il sistema di smart working ed a farlo in maniera repentina, molto spesso senza preventiva adeguata organizzazione del sistema e senza che gli stessi lavoratori fossero adeguatamente formati su tale modalità.

Sul punto, il presidente ha ricordato che l’uso di tale sistema non può essere un modo per monitorare e controllare lo svolgimento dell’attività lavorativa del dipendente, né un modo per controllare dove quest’ultimo si trova.

Infine, il Presidente ha evidenziato come deve essere riconosciuto al lavoratore in smart working il diritto alla disconnessione, cioè ad avere i necessari tempi e spazi per la propria vita privata anche quando svolge la propria prestazione lavorativa in modalità “smart” da casa.

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Allegato

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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