Il gestore di una piattaforma online non è tenuto a comunicare al titolare del diritto di proprietà intellettuale violato l’indirizzo IP dell’utente che ha commesso la violazione

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Avv. Pier Paolo Muià – Dott.ssa Ludovica Giancola

Sentenza della Corte Europea, sez. V, 9 luglio 2020, Constantin Film Verleih v. YouTube LLC. E Google Inc.

 

Il fatto

La pronuncia della Corte Europea oggetto di commento scaturisce da un contenzioso che ha visto coinvolti, da un lato, la società tedesca di distribuzione di film Constantin Film Verleih GmbH e, dall’altro, YouTube LLC e Google Inc (la seconda quale controllante della prima), in merito a violazioni dei diritti di proprietà intellettuale commessi a danno della prima società da utenti registrati alla piattaforma YouTube.

In particolare, la Constantin Film Verleih GmbH, che detiene in Germania i diritti di sfruttamento esclusivi su talune opere cinematografiche, tra queste «Parker» e «Scary Movie 5», lamentava che dette opere, tra il 2013 e il 2014, fossero state oggetto di caricamento (“upload”) nella piattaforma Youtube, consentendo in tal modo agli utenti di visualizzarle migliaia di volte e così violando conseguentemente i diritti di proprietà intellettuale della società tedesca.

A seguito e in considerazione delle predette violazioni, la Constantin Film Verleih GmbH avanzava delle pretese nei confronti delle due società americane, richiedendo loro soprattutto – per quanto qui di interesse – la comunicazione di informazioni relative agli utenti responsabili del caricamento delle opere cinematografiche sulla piattaforma Youtube. In particolare, le informazioni che erano state richieste dalla titolare dei diritti di proprietà intellettuale, come presupposto per tutelare i propri diritti, non riguardavano semplicemente il nome, l’indirizzo e la data di nascita dell’utente che aveva effettuato l’upload, bensì sia gli indirizzi di posta elettronica e i contatti telefonici sia gli indirizzi IP utilizzati dagli stessi al momento dell’accesso e del caricamento dei video online. Le due società americane che gestiscono la piattaforma Youtube, pur riconoscendo che la violazione dei diritti di proprietà intellettuale si era realizzata a danno della società tedesca, tuttavia non ritenevano che a detta società spettassero delle informazioni così dettagliate sugli utenti della piattaforma.

Tale rifiuto induceva la società tedesca titolare dei diritti di sfruttamento economico delle opere cinematografiche caricate sulla piattaforma ad introdurre la controversia giudiziale finalizzata a tutelare, si sensi tanto del diritto tedesco quanto di quello dell’Unione, il proprio diritto alla proprietà intellettuale. In particolare, la Constantin Film instaurava un primo procedimento dinanzi al Tribunale del Land tedesco che, con sentenza 3 maggio 2016, respingeva la domanda di detta società. Non soddisfatta del risultato, tuttavia, la società tedesca proponeva appello dinanzi al Tribunale superiore del Land, il quale, con sentenza del 22 agosto 2018, accoglieva, seppur parzialmente, la domanda formulata dalla Constantin Film e condannava YouTube LLC e Google Inc a fornire esclusivamente gli indirizzi di posta elettronica degli utenti coinvolti.

In considerazione della parziale soccombenza, le due società americane hanno proposto ricorso dinanzi alla Corte federale di giustizia tedesca che ha deciso di sospendere il procedimento e di rimettere alla Corte Europea la questione affinché chiarisse il concetto di «indirizzo» ex art. 8, par. 2, lett. A) della Direttiva 2004/48/CE e ponesse così le basi per la risoluzione della controversia.

 

Le questioni pregiudiziali e la decisione della Corte Europea

Il citato art. 8, par. 2, lett. a), della Direttiva 2004/48/CE stabilisce che gli Stati membri dell’UE, nel contesto dei procedimenti riguardanti la violazione di un diritto di proprietà intellettuale e per far fronte a una richiesta giustificata e proporzionata del richiedente, debbono assicurare che l’autorità giudiziaria competente possa ordinare che l’autore della violazione e/o ogni altra persona che fornisca o comunque sia implicata nella distribuzione di merci o nella fornitura di servizi in violazione del diritto di proprietà intellettuale, fornisca al titolare del diritto le informazioni sull’origine e sulle reti di distribuzione dei prodotto o servizi che violano detto diritto, precisando che dette informazioni comprendono anche nome e “indirizzo” dei produttori, dei fabbricanti, dei distributori, dei fornitori e degli altri precedenti detentori dei prodotti o dei servizi.

Le questioni che la Corte federale di giustizia tedesca ha sottoposto all’attenzione della Corte Europea con riguardo all’interpretazione dell’art. 8, par. 2, lett. a), della Direttiva 2004/48/CE sono sostanzialmente due:

  • con il primo interrogativo, viene richiesto preliminarmente se nella nozione di «indirizzo», di cui al citato articolo, debbano rientrare più genericamente le nozioni di indirizzi e-mail, numeri di telefono e indirizzi IP utilizzati dagli utenti dei servizi per caricare file lesivi di un diritto, nonché l’ora esatta del caricamento;
  • con il secondo, invece e soltanto in caso di soluzione affermativa della prima questione, viene domandato se le informazioni da fornire riguardino altresì l’ultimo indirizzo IP utilizzato dall’utente per accedere alla piattaforma YouTube, nonché l’ora esatta dell’accesso effettuato.

Rispetto alle questioni avanzate dal giudice del rinvio, la Corte Europea ha ritenuto di poterle trattare congiuntamente al fine di chiarire l’interpretazione della normativa europea e, in assenza di una definizione normativa espressa della nozione di «indirizzo», dare così una interpretazione autonoma ed uniforme in tutto il territorio dell’Unione del diritto europeo. In considerazione di ciò, la Corte ha articolato la sua decisione ricostruendo la nozione di «indirizzo» e servendosi di diversi elementi quali il senso del termine utilizzato nel linguaggio corrente, la genesi della normativa, il contesto in cui essa viene utilizzata e le finalità con cui è stata prevista dal legislatore.

In primo luogo, con riguardo alla determinazione del senso abituale riconosciuto nel linguaggio corrente al termine «indirizzo», la Corte ha ritenuto che con esso si faccia sostanzialmente riferimento all’indirizzo postale ovvero al luogo domicilio o residenza del soggetto. Conseguentemente, ha concluso nel senso che, in assenza di ulteriori precisazioni nella Direttiva 2004/48/CE, il termine non possa ritenersi comprensivo della nozione di indirizzo di posta elettronica, numero di telefono e indirizzo IP.

In secondo luogo, in considerazione dell’iter che ha condotto all’approvazione della Direttiva in questione, i giudici hanno valutato tanto i lavori preparatori quanto le varie proposte che l’hanno preceduta, senza riscontrare alcuna indicazione da cui desumere che il termine «indirizzo» debba interpretarsi in maniera estensiva.

In terzo luogo, la Corte ha riflettuto sul contesto in cui tale nozione è utilizzata, richiamando altresì altri atti di diritto dell’Unione e ritenendo che da nessuno di essi emerga che il termine «indirizzo» possa riferirsi anche alle nozioni più ampie di indirizzo di posta elettronica, numero di telefono e indirizzo IP.

Infine i giudici europei hanno proceduto alla valutazione delle finalità e degli scopi sottesi alla Direttiva 2004/48/CE ed in particolare, all’art. 8, par. 2, lett. A) della stessa. A tal riguardo, hanno osservato preliminarmente che in sede di adozione della Direttiva il legislatore europeo ha prediletto un’armonizzazione minima in materia; difatti, seppur la normativa nasca con lo scopo di ricercare un equilibrio tra il titolare del diritto di proprietà intellettuale e i diritti fondamentali degli utenti, oltre all’interesse generale, non sussiste alcun obbligo particolare di cautela in capo agli Stati Membri. Allo stesso modo, con riguardo specifico all’art. 8, par. 2, lett. A) ove si riconosce e tutela il diritto di proprietà intellettuale, è chiara l’esigenza di conciliare il diritto di informazione con la tutela dei dati personali dei soggetti coinvolti, senza però che esso possa considerarsi fonte normativa dell’obbligo previsto per gli Stati Membri di prevedere delle procedure e degli organi competenti atti a concedere ai titolari del diritto di proprietà intellettuale, qualora leso, delle informazioni dettagliate, come nel caso di specie indirizzi di posta elettronica, numero di telefono e indirizzo IP, rimanendo questa una mera facoltà.

In conclusione, dopo aver passato in rassegna i vari elementi su cui fondare una corretta interpretazione, la Corte europea ha ritenuto che la nozione di «indirizzo» non debba interpretarsi estensivamente e che conseguentemente l’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, dev’essere interpretato nel senso che la nozione di «indirizzo» ivi contenuta non si riferisce, per quanto riguarda un utente che abbia caricato file lesivi di un diritto di proprietà intellettuale, al suo indirizzo di posta elettronica, al suo numero di telefono nonché all’indirizzo IP utilizzato per caricare tali file o all’indirizzo IP utilizzato in occasione del suo ultimo accesso all’account utente.

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