Il giudicato amministrativo di accoglimento riguarda, in via esclusiva, solo i motivi esaminati dal giudice e vagliati fondati con la sentenza di annullamento.
Il giudicato amministrativo di rigetto, invece, preclude la possibilità di proporre nuovi motivi d’impugnativa in caso di rigetto del ricorso, poiché il giudicato copre sia il dedotto che il deducibile.
Tale limite non riguarda però gli eventuali cointeressati estranei al giudizio ai quali è riconosciuta la possibilità di impugnare l’atto oggetto del ricorso rigettato, sia per gli stessi motivi dal giudice ritenuti infondati e sia per motivi diversi non dedotti nel ricorso stesso.
Il giudicato amministrativo esplica due tipi di effetti:
1) effetto preclusivo: è precluso qualsiasi nuovo giudizio che ha ad oggetto la stessa questione decisa nella sentenza (efficacia negativa del giudicato). In qualsiasi altro giudizio che ha un diverso oggetto, inoltre, il giudice è vincolato al punto deciso con la sentenza passata in giudicato (efficacia positiva del giudicato);
2) effetto costitutivo: il giudicato amministrativo crea una nuova situazione giuridica indipendentemente dalla conformità o dalla difformità di questa rispetto alla situazione giuridica preesistente. L’autorità amministrativa, parte in giudizio, rimane vincolata al giudicato nel senso che la sua ulteriore attività deve conformarsi ad esso, pena la violazione del giudicato. Anche il giudice amministrativo rimane vincolato alla sentenza, se l’atto che ne ha formato oggetto sia sottoposto al suo sindacato (c.d. giudicato amministrativo interno) [1]. Si ha elusione del giudicato amministrativo quando la Pubblica Amministrazione adotti un provvedimento solo formalmente ottemperativo, ma che lascia sostanzialmente insoddisfatto l’interesse riconosciuto meritevole di tutela [2].
Il Consiglio di Stato ha stabilito che nel giudizio di ottemperanza può essere dedotta come contrastante con il giudicato non solo l’inerzia della pubblica amministrazione, cioè il non facere (inottemperanza in senso stretto), ma anche un facere, cioè un comportamento attivo, attraverso cui si realizzi un’ottemperanza parziale o inesatta ovvero ancora la violazione o l’elusione attiva del giudicato [3]. Il nuovo atto emanato dall’amministrazione, dopo l’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento illegittimo, può essere considerato adottato in violazione o elusione del giudicato solo quando da quest’ultimo derivi un obbligo assolutamente puntuale e vincolato, così che il suo contenuto sia integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza, con la conseguenza che la verifica della sussistenza del vizio di violazione o elusione del giudicato implica il riscontro della difformità specifica dall’atto stesso rispetto all’obbligo processuale di attenersi esattamente all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire. Si avrà, elusione del giudicato se l’amministrazione, pur provvedendo formalmente a dare esecuzione alle statuizioni della sentenza, persegue sostanzialmente l’obiettivo di aggirarle, fraudolentemente allo stesso esito già ritenuto illegittimo.
La violazione del giudicato è configurabile, invece, quando il nuovo atto riproduca gli stessi vizi già censurati in sede giurisdizionale ovvero quando si ponga in contrasto con precise e puntuali prescrizioni provenienti dalla statuizione del giudice [4].
1. Giudicato amministrativo formale e sostanziale, limiti oggettivi e limiti soggettivi
Il giudicato amministrativo formale indica lo stato di ogni sentenza avverso la quale siano stati esperiti gli ordinari mezzi d’impugnazione, o si sia verificata la decadenza dagli stessi, implicando una immutabilità relativa della sentenza, dal momento che nei suoi confronti possono ancora esperirsi i mezzi straordinari d’impugnazione (la sentenza diventa perciò incontestabile in giudizio ad opera delle parti e immodificabile per effetto di una successiva decisione giurisdizionale).
Il giudicato amministrativo formale è da considerarsi il necessario presupposto per il formarsi del giudicato amministrativo sostanziale [5].
Il giudicato amministrativo sostanziale indica, invece, che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, imponendo alle parti l’obbligo di osservare quanto stabilito dal giudice ed attiene alle sole sentenze di merito.
Per quanto concerne i limiti oggettivi, nel giudizio di legittimità, gli effetti del giudicato amministrativo sono circoscritti all’atto amministrativo impugnato, per cui è esclusa la sua applicazione ad un atto diverso; sono, però, travolti dal giudicato amministrativo tutti gli atti consequenziali a quello impugnato, anche se non abbiano formato oggetto di ricorso; gli effetti del giudicato amministrativo sono circoscritti ai soli motivi posti a base della decisione (nei casi di giurisdizione esclusiva, invece, il giudicato amministrativo investe il dedotto ed il deducibile).
Per quanto riguarda i limiti soggettivi, la decisione giurisdizionale ha efficacia solo nei confronti delle parti del giudizio in forza del principio di cui all’articolo 2909 c.c..
Il giudicato amministrativo non esplica efficacia rispetto ai soggetti che, pur trovandosi nella stessa posizione del ricorrente (i cointeressati), non abbiano agito a difesa delle loro posizioni nei termini stabiliti.
La Pubblica Amministrazione può, però, estendere il giudicato ai soggetti che si trovano in una situazione analoga a quella dei ricorrenti.
Al principio di efficacia inter partes del giudicato sono previste due eccezioni relative agli atti indivisibili (i provvedenti in modo unitario nei confronti di un complesso di individui) ed ai regolamenti (l’annullamento giurisdizionale dei quali ha efficacia erga omnes trattandosi di norme generali ed astratte).
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2. Il giudicato amministrativo in contrasto con il diritto sovranazionale
Il giudice amministrativo, civile e penale è vincolato sia al diritto sovranzionale, sia a quello consuetudinario, il quale, ai sensi dell’articolo 10 della Costituzione, detta il recepimento automatico nel nostro ordinamento, sia a quello pattizio, che necessita di un apposito atto di recepimento [6].
Il diritto dell’Unione Europea ha effetti diretti e immediati che prevalgono sul diritto interno, salvi i controlimiti costituiti dai principi fondamentali della Carta costituzionale: tutto ciò deriva dalla cessione di sovranità che l’Italia e gli altri Stati membri dell’Unione Europea hanno compiuto aderendo ai trattati europei.
La revocazione è uno strumento che la legge mette a disposizione delle parti per impugnare le sentenze pronunciate in grado di appello o in un unico grado nei casi indicati dall’articolo 395 c.p.c..
La revocazione ordinaria si ha quando l’azione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza.
La revocazione straordinaria, invece, è quella che viene proposta dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
L’articolo 395 c.p.c. stabilisce che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in un unico grado, possono essere impugnate per revocazione:
1) se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra;
2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;
3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario;
4) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare;
5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;
6) se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
Nel processo amministrativo non vige l’istituto della revocazione; a tale deficit di tutela la giurisprudenza ha risposto affermando che sia possibile il ricorso in Cassazione per eccesso di potere giurisdizionale [7].
Sarebbe, dunque, opportuno evitare i contrasti tra le statuizioni del giudice amministrativo e il diritto sovranazionale.
Il privato può impugnare una sentenza definitiva di primo grado e l’Autorità giudiziaria ha il dovere di conformarsi ad essa, sollevando la questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia per violazione del diritto dell’Unione Europea, o la questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta per contrasto con il diritto internazionale.
Lo stabilizzarsi di sentenze in contrasto con il diritto sovranazionale rappresenta un fallimento dei due metodi esposti [8].
Se fosse violato il diritto internazionale nell’ambito di un processo penale, la dichiarata illegittimità costituzionale dell’articolo 630 cpp, laddove non consente la revocazione per contrasto con la CEDU, ha reso possibile l’esperibilità del detto rimedio.
Non vi è, però, strumento omologo all’interno del processo amministrativo, nel quale la questione di legittimità costituzionale non è stata accolta sulla scorta della profonda diversità dei due processi: in quello non penale non vi è, infatti, l’obbligo di riaprire il processo stesso (gli Stati membri sono stati esortati a farlo, ma non obbligati).
Il Consiglio di Stato, in caso di violazione del diritto dell’Unione Europea, invece, sostiene che vi siano già gli strumenti per evitare giudicati anticomunitari, ossia il giudizio di ottemperanza, che rappresenta un giudicato a formazione progressiva, in quanto il giudice può integrare e completare il giudicato con statuizioni aderenti al diritto europeo, e specificare la portata e gli effetti del detto giudicato, in modo da impedire conseguenze anticomunitarie.
Anche la Cassazione ha tentato di offrire uno strumento di soluzione al possibile contrasto tra giudicato amministrativo e diritto euopeo: la Suprema Corte ha, infatti, sostenuto la impugnabilità delle sentenze del Consiglio di Stato per grave e manifesta violazione del diritto europeo e ha chiesto alla Corte di Giustizia se osti al diritto unionale un diritto processuale interno che non consenta il ricorso in Cassazione avverso pronunce del supremo organo di giustizia amministrativa contrastante con il diritto europeo.
La Costituzione, infatti, all’articolo 111 comma 8 dispone che “Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”, e ciò difformemente dalle sentenze di tutti gli altri organi che possono essere impugnate dinanzi alla Suprema Corte anche per violazione di legge.
Sul punto è ritornata, con una pronuncia molto recente (la sentenza n. 19598 del 2020), la Corte di Cassazione, che ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale con riferimento a tale questione ai sensi e per gli effetti dell’articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
Alla domanda, quindi, se l’eventuale violazione del diritto dell’Unione imputabile al Consiglio di Stato sia o meno censurabile con ricorso per Cassazione, la Corte risponde ripercorrendo la propria giurisprudenza ante e post la sentenza n. 6 del 2018.
Sino a tale pronuncia, infatti, la Corte ha ritenuto sussistente la possibilità di sindacare le sentenze del giudice amministrativo, come pure quelle degli altri giudici, per la nozione evolutiva del concetto di giurisdizione che, passando da una interpretazione basata sui presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, è approdata al contenuto di quel potere e alle forme attraverso cui lo stesso potere si estrinseca [9].
Lo spartiacque rappresentato dalla sentenza n. 6 del 2018 è, senza dubbio, un freno all’evoluzione della nozione di giurisdizione, particolarmente forte poiché la violazione attiene alle norme dell’Unione.
I giudici, con la predetta sentenza, bloccano il controllo sull’effettivo potere esercitato dai giudici amministrativi e scrivono un orientamento che sarà seguito nelle successive pronunce [10], escludendo espressamente dalle ipotesi estreme quelle di contrasto delle sentenze del Consiglio di Stato alle sentenze della Corte di Giustizia e cancellando ogni ipotesi di ricorso per cassazione per travalicamento dei limiti esterni della giurisdizione.
La violazione del diritto europeo da parte dei giudici amministrativi ammetterebbe, secondo tale nuova impostazione, la sola via indiretta della risarcibilità del danno per responsabilità dello Stato, nessun rimedio potendosi ipotizzare per evitare il cristallizzarsi della decisione.
Mettendo in risalto il ruolo che ha avuto sul tema la sentenza numero 6 del 2018 della Corte Costituzionale, che ha costituito uno spartiacque tra il precedente orientamento costituzionale e quello successivo, la Corte sottolinea come l’impossibilità di promuovere il giudizio di cassazione per le sentenze del Consiglio di Stato determini, nelle materie disciplinate dal diritto dell’Unione e nei casi in cui il giudice amministrativo non applichi tale diritto e non ne applichi l’interpretazione fattane dalla Corte di Giustizia, “… il consolidamento della violazione di tale diritto ed espone lo Stato (e gli organi giurisdizionali) a responsabilità”.
Attualmente, quindi, l’unico rimedio esperibile è l’azione risarcitoria da potere giurisdizionale.
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Note
[1] Per un approfondimento sul tema si veda, tra i tanti, Giudicato amministrativo, Enciclopedia Giuridica, disponibile all’indirizzo.
[2] Ibidem.
[3] Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza numero 2002 del 20 aprile 2015.
[4] Il Supremo Consesso rileva che il riesercizio del potere da parte della pubblica amministrazione a seguito del giudicato soggiace a precisi limiti e vincoli, basati sull’esigenza di eseguire secondo buona fede la statuizione del giudice della cognizione, senza porre in essere atti o comportamenti soprassessori ed inutili, essendo irrilevante la circostanza che il nuovo provvedimento da emanare possa implicare l’esercizio di poteri discrezionali, incombendo sull’amministrazione l’obbligo di leale cooperazione per la concreta attuazione della sentenza. Sul presupposto che la funzione essenziale e tipica del giudizio di ottemperanza consista nell’adeguamento della realtà giuridica e materiale al giudicato, il Consiglio di Stato ha altresì evidenziato che nessuna specifica attività incomba sull’amministrazione solo se quell’adeguamento costituisce un effetto automatico, diretto ed immediato dello stesso giudicato, senza necessità di alcuna ulteriore attività amministrativa.
[5] Il giudicato amministrativo implicito si forma, invece, su quelle questioni che riguardano il processo e che rappresentano il presupposto logico necessario della decisione, sebbene non esaminate nella sentenza (le questioni di giurisdizione o le questioni di competenza rispetto ad una sentenza sul merito). Tali questioni sono proponibili in un nuovo processo, qualora non siano dirette a rimettere in discussione il giudicato entro i suoi limiti oggettivi (soggetti, petitum e causa petendi).
[6] Per un approfondimento si veda, tra i tanti, M. Gerardo e A. Mutarelli, Questioni di giurisdizione ed ambito del ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato, Judicium, 26 Ottobre 2021, disponibile all’indirizzo.
[7] R. Mangino, Giudicato amministrativo in violazione del diritto sovranazionale, 10 luglio 2021, disponibile all’indirizzo .
[8] Ibidem.
[9] Alla Corte è data la possibilità di verificare se il giudice amministrativo eroghi correttamente il potere che la legge gli attribuisce.
[10] La Corte apprezza come abnorme il potere esercitato dal giudice, responsabile dell’adozione di una decisione da caso estremo per errores in iudicando o in procedendo tali da dar luogo al superamento del limite esterno.
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