Il caso
La pronuncia in esame origina da una controversia in materia di locazione. A seguito del mancato rinnovo del rapporto per volontà della proprietaria dell’immobile, quest’ultima veniva infatti convenuta in giudizio dinanzi al Tribunale di Pesaro per la condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria per non aver venduto l’immobile nei 12 mesi previsti dalla l. n. 431/1998. Il Tribunale rigettava la domanda affermando che il termine invocato decorreva dall’esaurimento della procedura di sfratto.
La Corte d’Appello dichiarava improcedibile l’impugnazione per omessa partecipazione personale dell’appellante alla procedura di mediazione di cui all’art. 8 d.lgs. n. 28/2010, vizio non rilevato dal giudice di prime cure.
I motivi di ricorso
Ha proposto ricorso per cassazione la proprietaria dell’appartamento sulla base di tre motivi.
Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 1 e 1 bis, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza e che nè controporte, nè tanto meno il giudice di primo grado, avevano sollevato alcuna eccezione sul punto.
Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che nessuna disposizione normativa impone la presenza personale della parte alla procedura di mediazione e che la volontà delle parti nella procedura era stata espressa per il tramite dei difensori delegati.
Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che il giudice di appello, nel caso ravvisi un’ipotesi di improcedibilità della domanda per mancato e/o errato esperimento della mediazione, ha facoltà di sanare il vizio rinviando le parti alla mediazione e comunque deve indagare sulla possibilità di consentire nuovamente la mediazione tenendo conto della natura della causa, dello stato dell’istruzione e del comportamento delle parti.
La soluzione della Corte
La Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha valutato unitamente il primo e terzo motivo ritenendoli fondati ed ha, pertanto, accolto il ricorso.
Il Collegio richiama, in primo luogo, la disposizione dell’art. 5 co. 1 bis del D.Lgs. n. 28 del 2010, la quale prevede: “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero i procedimenti previsti dal D.Lgs. 8 ottobre 2007, n. 179, e dai rispettivi regolamenti di attuazione ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’art. 187-ter del Codice delle assicurazioni private di cui al D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. A decorrere dall’anno 2018, il Ministro della giustizia riferisce annualmente alle Camere sugli effetti prodotti e sui risultati conseguiti dall’applicazione delle disposizioni del presente comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli artt. 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni”.
Come risulta evidente dalla disposizione l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado.
In tal senso si è anche espressa più volte la Corte di Cassazione (Cass. 13 novembre 2018, n. 29017; 13 aprile 2017 n. 9557; 2 febbraio 2017 n. 2703).
Da ciò ne consegue che in mancanza della tempestiva eccezione del convenuto, ove il giudice di primo grado non abbia provveduto al relativo rilievo d’ufficio, è precluso al giudice di appello rilevare l’improcedbilità della domanda.
Nel caso di specie, in particolare, sono mancati alla prima udienza del giudizio di primo grado sia l’eccezione della parte che il rilievo d’ufficio da parte del giudice.
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