Il caso: un tale si era impossessato di un paio di scarpe da ginnastica sottraendole dal punto vendita calzature e, dopo averle occultate nella felpa che aveva indosso, aveva oltrepassato la barriera antitaccheggio facendo scattare l’allarme e dandosi alla fuga; era stato però notato da un Carabiniere che, libero dal servizio, si trovava in abiti civili nel predetto centro era riuscito a bloccarlo e ad arrestarlo.
I giudici di prime cure condannavano il predetto per furto aggravato, ex artt. 624-625 n.2 c.p., perché aveva sottratto un bene mobile, sottraendolo all’esercizio commerciale, utilizzando un mezzo fraudolento, in quanto le scarpe venivano occultate dentro la felpa. La Corte territoriale riteneva, altresì, rituale la querela presentata dal responsabile dell’esercizio commerciale pur sprovvisto di poteri di rappresentanza del proprietario dell’esercizio stesso, osservando che si trattava di questione superflua avuto riguardo alla procedibilità di ufficio del reato in virtu’ dell’aggravante contestata e ritenuta sussistente.
Ricorreva in Cassazione, l’imputato sostenendo che l’aggravante in argomento richiederebbe un quid pluris rispetto alla mera sottrazione in quanto l’ occultamento della res sottratta rientrerebbe nelle ordinarie modalità di esecuzione del furto. Inoltre, si affermava che una volta esclusa l’aggravante ci si troverebbe in presenza di reato perseguibile a querela. Orbene, ad avviso del ricorrente, non sarebbe stata presentata idonea e rituale querela in quanto proposta dal responsabile del punto vendita sprovvisto di procura speciale rilasciata dal gestore dell’attività commerciale.
L’occultamento della merce rubata al di sotto di un comune capo di abbigliamento non è idoneo ex se ad integrare l’aggravante in parola, alla luce del principio enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui “L’aggravante dell’uso di mezzo fraudolento di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, n. 2, delinea una condotta, posta in essere nel corso dell’iter criminoso, dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza; volta a sorprendere la contraria volontà del detentore ed a vanificare le difese che questi ha apprestato a difesa della cosa. Tale insidiosa non si configura nel mero occultamento sulla persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita a self service, trattandosi di banale, ordinario accorgimento che non vulnera in modo apprezzabile le difese apprestate a difesa del bene” (SS. UU., n. 40354 del 18/07/2013).
Pertanto, nella condotta fraudolenta deve individuarsi un tratto specializzante rispetto alle modalità ordinarie del furto, costituito dalla maggiore gravità della straordinarietà dell’azione, improntata a scaltrezza e astuzia con le quali vengono aggirati i mezzi di tutela apprestati dal possessore del bene. Alla luce di come si sono svolti i fatti, l’aggravante al caso de quo era da escludere.
Circa la ritualità della querela da parte del responsabile dell’esercizio commerciale, le Sezioni Unite con la medesima sentenza n. 40354 del 18/07/2013 già sopra citata, si stabiliva che “il bene giuridico protetto dal reato di furto è costituito non solo dalla proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche dal possesso, inteso nella peculiare accezione propria della fattispecie, costituito da una detenzione qualificata, cioè da una autonoma relazione di fatto con la cosa, che implica il potere di utilizzarla, gestirla o disporne”.
Sulla base di quanto premesso, ne discende in caso di furto di una cosa esistente in un esercizio commerciale, persona offesa legittimata alla proposizione della querela sia anche il responsabile dell’esercizio stesso, quando abbia l’autonomo potere di custodire, gestire e alienare la merce.
Gli Ermellini, sulla scorta della infrascritte considerazioni, annullavano con rinvio la sentenza limitatamente al riconoscimento della circostanza aggravante.
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