Il lavoro a tempo parziale

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Indice:

  1. Il campo di applicazione della disciplina del part-time
  2. La disciplina dei tempi di lavoro
  3. Forma e contenuti del contratto di lavoro e regime sanzionatorio
  4. Il lavoro supplementare e il lavoro straordinario
  5. Le clausole elastiche
  6. Volume consigliato
  7. Il campo di applicazione della disciplina del part-time

La previgente disciplina[1] del lavoro a tempo parziale è stata abrogata dalla novella legislativa [2] del 2015.

L’attuale corpus normativo del part-time, oggi trasfuso nel decreto legislativo n. 81 del 2015, fissa un unico regime di applicazione, sia per quando riguarda il lavoro nel settore privato, sia per quanto attiene al lavoro nel pubblico impiego.

Grazie al decreto legislativo n. 81 del 2015, di fatti, è stato superato il problema dell’applicabilità della flessibilità temporale al settore pubblico che, precedentemente, con le modifiche operate dal c.d. decreto Biagi al d.lgs. n. 61 del 2001, [3] era limitata al solo settore privato.[4]

Orbene, con l’abrogazione del d.lgs. n. 61 del 2001 si pone fine, non solo “alla diversificazione regolativa tra lavoro privato e P.A.”, ma anche alla “stratificazione degli interventi normativi” avutasi dal 2001 in poi. [5]

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  1. La disciplina dei tempi di lavoro

La norma definitoria del tempo parziale è racchiusa nell’articolo 4 del d.lgs. n. 81 del 2015, secondo il quale: “Nel rapporto di lavoro subordinato, anche a tempo determinato, l’assunzione può avvenire a tempo pieno, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o a tempo parziale”.

Dunque, la disciplina legale definisce, unicamente, il tempo pieno rinviando a quanto stabilito dall’art. 3 del d.lgs. n. 66 del 2003.

Tuttavia, è fisiologico che per tempo parziale si debba intendere “l’orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui sia tenuto un lavoratore, che risulti comunque inferiore” [6] alle 40 ore di lavoro settimanali o ad altro orario settimanale ridotto dalla contrattazione applicata all’azienda o all’unità produttiva.

  1. Forma e contenuti del contratto di lavoro e regime sanzionatorio

Rispetto alla precedente impostazione normativa circa la forma e i contenuti del contratto di lavoro, l’unica rilevante modifica pare essere quella richiamata dall’art. 5 comma 3 del d.lgs. n. 81/2015, secondo cui: “Quando l’organizzazione del lavoro è articolata in turni, l’indicazione di cui al comma 2 può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite”.

Per il resto, viene confermata la forma scritta ai fini della prova e ribadito che nel contratto di lavoro deve essere data puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. Di fatti, si legge nei commi 1 e 2 dell’art. 5 del d.lgs. n. 81/2015 che: “Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova.

Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno”.

In difetto della prova scritta, su domanda del lavoratore, è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno. [7]

  1. Il lavoro supplementare e il lavoro straordinario

I lavoratori, sovente, utilizzano con promiscuità i concetti di lavoro supplementare e di lavoro straordinario. Sennonché è proprio la fonte legale a chiarire le idee e ad individuare, parimenti, la discrezionalità con la quale il datore può, o meno, richiedere lo svolgimento del lavoro supplementare e straordinario.

Anzitutto, il lavoro supplementare deve essere inteso quale l’insieme delle prestazioni “svolte oltre l’orario concordato fra le parti ai sensi dell’articolo 5, comma 2, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi”. [8]

Quindi, è bene dissipare ogni eventuale dubbio, chiarendo, una volta per tutte, come la richiesta da parte del datore a prestazioni di lavoro che, sì eccedono il tempo parziale contrattualmente convenuto, ma che non superano il normale orario di lavoro, [9] non possono essere – in nessuno modo – qualificate come attività di lavoro straordinario.

Tuttavia, e questo lo specificherò meglio nel prosieguo dell’articolo, sia il lavoro supplementare, sia il lavoro straordinario, vedono l’applicazione di una maggiorazione sulla retribuzione.

Il datore di lavoro, pertanto, può chiedere – discrezionalmente – prestazioni di lavoro supplementare? La risposta riposa nell’art. 6 del d.lgs. n. 81/2015. Di fatti, qualora la contrattazione collettiva non normi il lavoro supplementare, sarà facoltà del datore pretendere attività di lavoro supplementare[10] nella misura del 25 per cento delle ore settimanali concordate. Tuttavia, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale. Il lavoro supplementare è retribuito con una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti”.[11]

Il lavoro straordinario è invece quello prestato oltre l’orario normale di lavoro così come definito all’articolo 3 del d.lgs. n. 66/2003. È chiaro, pertanto, che se la contrattazione collettiva non disponga diversamente, le prestazioni che eccedono le 40 ore settimanali debbono considerarsi di lavoro straordinario. Tuttavia, è opportuno verificare, in tal senso, che la contrattazione non preveda la distribuzione dell’orario di lavoro su un determinato periodo (c.d. orario multiperiodale), giacché – in quest’ultimo caso – l’orario di lavoro dovrà determinarsi secondo la media dell’arco delle settimane di riferimento individuato dalla predetta contrattazione.

Il lavoratore, quindi, è obbligato a sottoporsi al lavoro straordinario? Stante la lettura del c.d. testo unico sull’orario di lavoro la risposta è negativa. È necessario il previo accordo tra datore e lavoratore. In ogni caso, le prestazioni straordinarie non potranno eccedere le 250 ore annuali. Pur tuttavia, la contrattazione collettiva[12] può diversamente disporre.

  1. Le clausole elastiche

Il d.lgs. n. 61/2001 realizzava un’opera di discernimento tra le clausole flessibili, in ragione delle quali il datore poteva variare la collocazione temporale della prestazione, e quelle elastiche, secondo le quali il datore di lavoro poteva richiedere una variazione in aumento della prestazione di lavoro.

Il decreto legislativo del 2015, che come già accennato abroga la previgente disciplina, raccoglie le due tipologie di clausole in unico tipo: le clausole elastiche.

Pertanto, secondo l’attuale panorama legislativo, quando ci riferiamo alle clausole elastiche, dobbiamo intendere la disciplina che consente al datore sia di variare la collocazione temporale della prestazione, sia di richiederne un aumento della durata.

Le clausole elastiche, nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, possono essere pattuite per iscritto. In ogni caso, “il prestatore di lavoro ha diritto a un preavviso di due giorni lavorativi, fatte salve le diverse intese tra le parti, nonché a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme determinate dai contratti collettivi”. [13]

La fonte legale[14] – supplendo ad un’eventuale carenza della disciplina pattizia nella regolamentazione delle clausole elastiche – prevede che le stesse possano essere stipulate per iscritto davanti alle commissioni di certificazione e che la variazione dell’aumento della prestazione non può eccedere il “25 per cento della normale prestazione annua a tempo parziale”.[15]

Posto, dunque, che è facoltà del prestatore stipulare per iscritto le clausole elastiche alle condizioni sopra evocate, è possibile – una volta sottoscritte le predette – revocarle per quanto di seguito indicato:

  1. in caso di lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui  una  ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli  effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria  locale  territorialmente;[16]
  2. in caso   di   patologie   oncologiche   o   gravi   patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli  o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché  nel  caso  in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale  e  permanente  inabilità  lavorativa  con  connotazione   di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della  legge  5  febbraio 1992, n. 104, che abbia necessità di assistenza continua  in  quanto non  in  grado  di  compiere  gli  atti  quotidiani  della  vita; [17]
  3. in caso di lavoratori o lavoratrici, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 104 del 1992; [18]
  4. in caso di lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali. [19]

Il rifiuto del lavoratore di concordare la variazione dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento.

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Note:

[1] D.lgs. 25 febbraio 2000 n. 61

[2] L’art. 55, comma 1, lett a) del d.lgs. n. 81/2015 ha abrogato le disposizioni del d.lgs. n. 61 del 2000

[3] D.lgs. n. 276/2003

[4] Cfr. V. Pinto, Lavoro subordinato flessibile e lavoro autonomo nelle amministrazioni pubbliche. Politiche legislative e prassi gestionali, Cacucci, Bari, 2013, p. 182 ss.

[5] Così L. Fiorillo – M. Lamberti – A. Lassandari – V. Leccese – F. Lunardon – A. Perulli – P. Tullini, I contratti di lavoro Subordinati e autonomi, G. Giappichelli Editore, 2021,

[6] Cfr. la lett. b), dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 61 del 2001, oggi abrogato.

[7] L’art. 10 del d.lgs. n. 81/2015 recita il seguente: “1. In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese.

Qualora nel contratto scritto non sia determinata la durata della prestazione lavorativa, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla pronuncia. Qualora l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno.

[8] Art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015

[9] Quest’ultimo è di 40 ore secondo il disposto del d.lgs. n. 66/2003 o altra soglia fissata dalla contrattazione applicata al rapporto di lavoro

[10]  L’articolo 6, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015, prevede che: “Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non disciplini il lavoro supplementare, il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate… Il lavoro supplementare è retribuito con una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.

[11] Così l’art. 6 comma 2 del d.lgs. n. 81/2015

[12] L’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015, in proposito, riconosce che il rinvio ai contratti collettivi può essere operato nei confronti del contratto collettivo nazionale, territoriale o aziendale stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e i contratti aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali (ex art. 19 Legge n. 300/1970) ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie (oggi normate dal testo unico sulla rappresentanza del 2014).

[13] Vedi il comma 5 del decreto legislativo n. 81/2015

[14] Funzione di supplenza che viene esercitata anche con riferimento al lavoro supplementare

[15] Vedi il comma 6 del decreto legislativo n. 81/2015

[16] Vedi il comma 3 dell’art. 8 del d.lgs. n. 81/2015

[17] Vedi il comma 4 dell’art. 8 del d.lgs. n. 81/2015

[18] Vedi il comma 5 dell’art. 8 del d.lgs. n. 81/2015

[19] Vedi il comma 1 dell’art. 10 della legge 20 maggio 1970 n. 300

Dott. Domenico Giardino

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