Il nostro ordinamento diffida dall’ammissibilità delle alienazioni a scopo di garanzia, specie con riferimento al trasferimento del diritto di proprietà. Tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza hanno argomentato in senso positivo circa l’ammissibilità di taluni istituti in funzione di garanzia di un preesistente rapporto obbligatorio. L’assunto è da ricercare nel giudizio di proporzionalità delle alienazioni a scopo di garanzia quale tratto distintivo degli istituti meritevoli di tutela nell’ordinamento e quelli che, invece, presentano profili di elusione alla legge.
Indice
1. In cosa consiste il divieto del patto commissorio?
La perplessità sottesa a questo atteggiamento risiede nella previsione normativa di cui all’art. 2744 c.c., rubricato nel divieto del patto commissorio. Infatti, la norma sanziona con la nullità il patto con cui le parti convengono che, in caso di inadempimento da parte del debitore, la proprietà del bene si trasferisca nel patrimonio del creditore. La norma contempla, da un lato, il divieto del patto commissorio accessorio qualora il bene sia gravato da una garanzia reale tipica quale l’ipoteca o il pegno; dall’altro, il divieto del patto commissorio autonomo nelle ipotesi in cui l’inadempimento del debitore si risolva con efficacia direttamente traslativa nella sfera patrimoniale del creditore.
Quanto agli effetti, la nullità del patto commissorio accessorio è rilevante ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. per violazione di una norma imperativa di legge di cui all’art. 1343 c.c.; invece, il patto commissorio autonomo sarà nullo per violazione indiretta di una norma imperativa di legge ai sensi dell’art. 1344 c.c. Infatti, la causa di illeceità che rileva ai sensi dell’art. 1344 c.c. non ha tanto a che fare con una violazione diretta di una norma imperativa quanto piuttosto sull’abuso dei mezzi consentiti dalla legge che le parti perseguono per realizzare scopi illeciti mascherati.
I principali argomenti utilizzati dalla dottrina per dare un significato al divieto espresso dall’art. 2744 c.c. possono sintetizzarsi nel principio della par condicio creditorum; la tutela del debitore quale contraente debole; il divieto di autotutela esecutiva privata ed infine la creazione di garanzie reali atipiche. Il nostro ordinamento prevede alcuni istituti che, a differenza del patto commissorio, pur presentando delle evidenti affinità, sono autorizzati dall’ordinamento.
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2. L’ammissibilità del patto marciano
La giurisprudenza ha affrontato la questione con riferimento all’istituto della vendita con patto di riscatto, disciplinata dagli artt. 1500 e ss. c.c. muovendo dal presupposto di una necessaria distinzione tra il patto commissorio e il patto marciano.
Il patto marciano è uno schema negoziale atipico ammesso dalla giurisprudenza e dalla dottrina. Tale patto ha ad oggetto l’alienazione del bene, gravato da ipoteca o pegno, nel patrimonio del creditore a seguito dell’inadempimento del debitore con l’unica differenza che il creditore deve restituire l’eventuale eccedenza di valore in caso di sproporzione tra il debito e il credito preesistente.
L’avallo da parte dei giudici di legittimità riguarda la stima imparziale sul valore del bene effettuata a monte della pattuizione. L’istituto, difatti, presenta dei tratti affini con il pegno irregolare di cui all’art. 1851 c.c. per cui, in caso di inadempimento del debitore, il creditore potrà soddisfarsi con le cose fungibili ricevute in pegno, con la restituzione dell’eventuale eccedenza al debitore. La stima imparziale effettuata sul bene attraverso il ricorso a parametri oggettivi o ad un arbitro terzo ai sensi dell’art. 1349 c.c. consente di valutare correttamente le eccedenze che il creditore è tenuto a versare al debitore.
La vendita con patto di riscatto è un istituto disciplinato dall’art. 1500 c.c. il quale prevede una clausola che riserva al venditore la possibilità di riacquistare la proprietà del bene venduto dietro la restituzione e i rimborsi spesa al creditore. È una dichiarazione unilaterale del venditore che può esercitare il suo diritto potestativo entro il termine perentorio di due anni se si tratta di cose mobili e nel termine di cinque anni se si tratta di beni immobili.
Il patto di riscatto ha efficacia reale e consente al venditore legittimato di riacquistare la proprietà del bene senza nessun ulteriore atto di ritrasferimento. La funzione di garanzia, in esso riservata, permette al venditore di tornare proprietario del bene solo se il prezzo conseguito e gli eventuali rimborsi sono restituiti all’acquirente entro il termine perentorio. Tale istituto è considerato lecito a patto che le parti non intendano eludere la legge dando luogo ad un accordo illecito integrante il patto commissorio.
La giurisprudenza ha chiarito la portata elusiva dell’istituto di vendita con patto di riscatto qualora la stessa integri un patto commissorio che, come tale, è sproporzionato; viceversa, l’ordinamento appresta tutela nel caso in cui le parti si accordino per la restituzione effettiva di quanto dato in adempimento all’obbligazione preesistente.
3. È ammissibile il contratto di “sale and lease back”?
Le considerazioni in merito al contratto di “sale and lease back” permettono di illustrare alcune problematiche con il divieto del patto commissorio. Il contratto di sale and lease back, definito anche come locazione finanziaria di ritorno, è uno strumento con cui il proprietario di un bene stipula un contratto di compravendita con l’acquirente e quest’ultimo, una volta versato il prezzo, concede il bene in leasing all’originario proprietario. L’originario proprietario, a sua volta, versa dei canoni periodici all’acquirente, con la facoltà di riscattare il bene al termine di scadenza del leasing.
La giurisprudenza di legittimità non ha mancato di rilevare i confini del contratto di sale and lease back con il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c. Non a caso, i giudici di legittimità hanno elaborato dei criteri oggettivi che ricorrono quante le volte tale contratto nasconda degli intenti fraudolenti. Gli indici possono essere scomposti in tre postulati: l’esistenza di un rapporto obbligatorio preesistente tra la società finanziaria e l’impresa utilizzatrice, la debolezza economica dell’impresa utilizzatrice e la sproporzione tra il valore del bene e il corrispettivo versato dalla società finanziaria. Ove ricorra almeno uno di questi indici rivelatori si può essere in presenza di un contratto posto in frode alla legge ed in quanto tale nullo per illeceità della causa ex art. 1343 c.c.
L’art. 2 del D.L. 3 maggio 2016, n. 59, convertito con modificazioni nella legge 30 giugno 2016, n. 119, ha introdotto il nuovo art. 48 bis del TUB che disciplina il finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di un bene immobile sospensivamente condizionato. Si tratta di un’alienazione di garanzia che introduce la possibilità del trasferimento di un bene immobile a favore del soggetto finanziatore nel caso di inadempimento sospensivamente condizionato del soggetto finanziato. L’art. 48 del TUB, nell’intento di evitare raggiri che possano equiparare l’istituto di nuova introduzione al patto commissorio, ha introdotto un comma quarto, volto alla necessità di considerare l’adozione di una clausola marciana per atto notarile.
Affinché l’immobile possa essere trasferito in capo al creditore è necessario che si verifichi la condizione sospensiva d’inadempimento di cui al comma quinto.
La peculiarità dell’istituto è ancora una volta il trasferimento immobiliare accordato al creditore non sproporzionato. Il secondo comma dell’art. 48 bis TUB, infatti, stabilisce che il creditore debba versare l’eventuale eccedenza tra il valore del bene e il debito inadempiuto all’originario proprietario.
La conclusione che si pone al dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa l’ammissibilità delle alienazioni a scopo di garanzia muove dall’assunto di una ragionevole proporzionalità nei trasferimenti patrimoniali per l’inadempimento del debitore.
Il legislatore ha previsto a monte una serie di disposizioni codicistiche che mirano ad evitare forme di abuso mascherato a danno del debitore, solo perché inadempiente. Questo non deve limitare la potenzialità dello strumento delle alienazioni a scopo di garanzia affinché siano soddisfatte le pretese creditorie, purché ciò avvenga con giudizio di equità, ragionevolezza e proporzionalità tra la prestazione e l’entità del credito.
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