Nonostante la manifestata volontà di semplificare le procedure in genere e,ovviamente, anche quelle relative al rapporto di lavoro, sembrerebbe che di fatto i nostri legislatori si muovano in senso contrario.
Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n. 23 ( Decreto Renzi) si trovano a convivere due sistemi sanzionatori del licenziamento illegittimo, quello appunto del predetto Decreto e quello introdotto dalla Legge 28 giugno 2012 n.92 ( c.d. Legge Fornero).
Il primo che riguarda il c.d. contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, si applica ai lavoratori assunti dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 23/2015, il 7 marzo 2015;il secondo si applica a tutti gli altri lavoratori già in forza.
Considerate le difficoltà interpretative del dettato normativo tanto dell’uno quanto dell’altro provvedimento legislativo, che vedremo in prosieguo, si genera un appesantimento operativo non di poco peso.
Dall’emanazione dei provvedimenti legislativi, sono intervenuti provvedimenti giudiziari, soprattutto per la legge Fornero, che hanno mostrato le diverse letture possibili e le difficoltà di un esatta comprensione del dettato normativo.
Indicheremo quindi , per praticità,come Modello A il modello disegnato dalla Riforma Fornero e Modello B il modello ridisegnato dalla Riforma Renzi.
Dobbiamo fare comunque due brevi premesse alla nostra analisi :1) una ,per così dire, di carattere teleologico/politico:entrambi i modelli ,nelle intenzioni dei legislatori, sono mirati ad eliminare o quanto meno ridurre il modello reintegratorio previsto dall’ originario art.18 dello Statuto dei lavoratori, nell’esplicitato intento di rendere più flessibili,in uscita, i rapporti di lavoro subordinati;2 ) una di carattere metodologico,e cioè che abbiamo voluto seguire un criterio ermeneutico strettamente letterale ,per cui non si può attribuire alla legge altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e della intenzione del legislatore ( art 12 preleggi : è bene sempre ricordarlo,soprattutto di fronte ad un provvedimento così involuto!).
Modello A
Preso atto della premessa dobbiamo considerare come punto centrale della riforma Fornero il comma 5 dell’art.18 che così recita < Il giudice, nelle [ altre] ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.>.
Questa norma,a parer nostro,nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto
costituire la “abrogazione” del vecchio articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sostituendo la reintegrazione del lavoratore licenziato in assenza di una giusta causa ed un giustificato motivo soggettivo, con una monetizzazione o,se vogliamo, un risarcimento del danno.
Le ipotesi contenute nei commi 1 e 4 avrebbero dovuto costituire le eccezioni che sole avrebbero consentito la reintegrazione del lavoratore. Ciò non è stato nell’interpretazione e nell’applicazione della legge.L’impianto voluto dal legislatore è stato capovolto ,divenendo invece centrale il comma 4. Le due ipotesi previste in esso, che consentivano la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato ossia a) la non ricorrenza degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per insussistenza del fatto contestato e b) l’ipotesi che il fatto contestato rientrasse tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili (1), hanno finito per assorbire la maggior parte delle fattispecie di licenziamento illegittimo,dal momento in cui l’enunciato dell’insussistenza del fatto è stato letto come insussistenza del fatto giuridico,vale a dire della stessa giusta causa e del giustificato motivo soggettivo.
Tra le prime l’Ordinanza del Tribunale di Bologna 15 ottobre 2012, Giud. Marchesini che ci dà una nozione di insussistenza del fatto del seguente tenore:<< per quanto riguarda la fattispecie inerente la c.d.” insussistenza del fatto”,osserva il Tribunale che la norma in questione,parlando di fatto,fa necessariamente riferimento al c.d. Fatto Giuridico,inteso come il fatto globalmente accertato,nell’unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente l’elemento soggettivo>>, e aggiunge<<né può ritenersi che l’espressione “insussistenza del fatto contestato”, utilizzata dal legislatore facesse riferimento al solo fatto materiale, posto che tale interpretazione sarebbe palesemente in violazione dei principi generali dell’ordinamento civilistico, relativi alla diligenza ed alla buona fede nell’esecuzione del rapporto lavorativo, posto che potrebbe giungere a ritenere applicabile la sanzione del licenziamento indennizzato, anche a comportamenti esistenti sotto l’aspetto materiale ed oggettivo, ma privi dell’elemento psicologico, o addirittura privi dell’elemento della coscienza e volontà dell’azione.>.
Vedasi pure Tribunale di Bologna Ordinanza 24 luglio 2013,Giudice Benassi : <In ipolesi di licenziamento disciplinare illegittimo, dopo la l. n. 92/2012, la tutela reintegratoria e risarcitoria cd. debole (2) si applica quando [il datore non provi il fatto contestato e l`imputabililà del fatto al lavoratore oppure quando sussista una causa di esclusione dell’inadempimento del prestatore di lavoro e, altresì, quando il fatto come ricostruito sia punito dalla contrattazione collettiva con una sanzione disciplinare conservativa o,] comunque ,non rientri nella nozione legale di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo.[ Qualora, invece, il licenziamento venga consideralo illegittimo per difetto di adeguatezza e di proporzionalità della sanzione inflitta, cioè si sia comunque in presenza di un inadempimento di non scarsa rilevanza, trova applicazione la sola tutela risarcitoria]> ,per cui ,se ben comprendiamo,anche in tal caso il giudice ha inteso il fatto di cui al comma 4 art.18 Stat.lav.,come modificato da l.n.92/2012, come fatto giuridico.
Vedasi anche Tribunale di Genova Ordinanza 23 marzo 2015 Giud.Basilico,che enuncia.< Il recente dibattito sviluppatosi sulla locuzione “insussistenza del fatto contestato” dell’art. 18, quarto comma, l. 300/70 (nel testo introdotto dalla l. 92/2012), ha portato al confronto tra due opposte letture interpretative, designate con le formule sintetiche della tesi del “fatto materiale” e della tesi del “fatto giuridico”. La seconda ha avuto una certa prevalenza in dottrina ed è stata seguita anche dal tribunale di Genova>.(3)
Il cerchio poi, si chiude laddove il motivo addotto e contestato dal datore di lavoro andava a coincidere con le condotte previste come punibili con sanzione conservativa secondo le previsioni dei codici disciplinari contrattualcollettivi o aziendali.Nel dettato normativo potremmo ravvisare una presunzione legale di sproporzione per un licenziamento comminato per comportamenti già valutati sindacalmente come passibili di sanzione conservativa.
Hanno applicato la tutela reintegratoria ; Cass. 11 febbraio 2015 n.2692 Pres.Est. Roselli; Cass 1 settembre 2015 n.17371 Pres.Est.Roselli;Cass.13 ottobre 2015 n.20540 Pres.Est.Roselli; Cass.13 ottobre 2015 n.20545 Pres.Est.Roselli (4) ; Cass. 10 luglio 2015 Pres.Stile,Est.De Marinis; Cass. 6 novembre 2014 n.23669 Pres.Macioce,Est.Rienzo;tutte reperibili sul sito della Cassazione ,Sentenze Web.
Ne derivava che solo ad una area che veniva a collocarsi tra questi due estremi diventava applicabile il comma 5, che diventava così marginale; ossia l’area comprendente quelle condotte per le quali, a giudizio insindacabile del giudice , in base all’art. 2106 del codice civile, sarebbe stata sproporzionata la sanzione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo- da intendersi questi quali inadempimenti “gravi” o “notevoli”,come previsti dall’ articolo 2119 c.c. e dalla legge 604/66 con conseguente reintegratoria – e insufficiente o inadeguata la sanzione conservativa prevista dai ccnl.e dai codici disciplinari per le mancanze ivi indicate ( ma che per orientamento costante della giurisprudenza possono essere sempre vagliate dal giudice) ma anche per le mancanze similari non tipizzate.Ci troveremmo di fronte, secondo una certa giurisprudenza ai c.d. inadempimenti di non scarsa importanza ( v.Trib Bologna 24 luglio 2013 cit.).
Modello B.
La norma centrale del modello introdotto dal Jobs.Act è rappresentata dal comma 1 dell’art 3, che recita < salvo quanto disposto dal comma 2 del presente articolo,nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento [per giustificato motivo oggettivo] o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa,il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità etc.……> .
Mentre l’eccezione è rappresentata dal comma 2 dell’art. 3.
Anche secondo questo nuovo modello si fa riferimento all’insussistenza del fatto ,meglio specificato come “ materiale”, quale presupposto per consentire la reintegrazione del lavoratore.
Ma anche in questo caso l’interpretazione non risulta agevole,soprattutto in mancanza di una sufficiente giurisprudenza. Questa volta ci si è limitati ,per giustificare la reintegra,ad una nozione neutra < l’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore,rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”, che, se intendiamo esattamente, vuol significare che il giudice deve limitarsi ad accertare nel corso del processo se sussista o non sussista il fatto materiale contestato astenendosi da ogni giudizio di proporzionalità, del resto inutile essendo davanti ad un fatto insussistente. Ove quindi in giudizio venga dimostrata ( da chi?) l’insussistenza del fatto materiale ,solo in questo caso,il giudice potrà dar luogo alla reintegrazione;ove invece il fatto materiale risulti sussistente il giudice potrà procedere alla sua valutazione in piena libertà di giudizio-senza vincoli contrattuali o di altra specie- e quindi o dichiarare legittimo il licenziamento o dichiararlo illegittimo e applicare in quest’ultimo caso la tutela indennitaria.Ma il problema che si pone a questo punto è di definire la nozione di fatto materiale che se avverrà come è accaduto nella vigenza della legge n. 92/2012 e verrà individuata dalla giurisprudenza come fatto giuridico ( inadempimento grave o notevole), la sua accertata insussistenza restringerà la tutela indennitaria in prò di quella reintegratoria,per questo aspetto in analogia alla normativa della riforma fornero.Secondo poi una rigorosa lettura del dettato normativo del decreto legislativo 4 marzo 2015 n.23,una volta accertata la non sussistenza di una giusta causa e di un giustificato motivo, ma una condotta passibile di sanzione conservativa-in questo contrariamente alla legge n.92/2012- il giudice dovrà dichiarare estinto ugualmente il rapporto di lavoro senza possibilità di reintegra ma con condanna del datore al pagamento di una indennità.
Conclusioni
Da questo breve excursus possiamo trarre delle conclusioni.
Sicuramente il modello B-renziano dà un margine maggiore alla tutela indennitaria.
Infatti mentre nel modello A-forneriano laddove il licenziamento mirava a colpire comportamenti che fossero puniti, o per contratto collettivo o per c.d. codice disciplinare,con sanzioni conservative il giudice doveva procedere alla reintegrazione,nel modello B-renziamo il giudice,accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento[ per giustificato motivo oggettivo] o per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa…dichiara estinto il rapporto di lavoro [ fatte salve le considerazioni, di non poco conto, sù viste sull’insussistenza del fatto materiale] e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria anche nel caso che il fatto che ha dato luogo al licenziamento comportasse a norma di contratto collettivo o del codice disciplinare una mera sanzione conservativa.Con ciò raggiungendo l’obiettivo,sempre perseguito dal datore di lavoro di non riprendersi in organico il lavoratore estromesso, neutralizzando nel contempo la vis reintegratoria dell’originario art. 18 della Statuto dei lavoratori, sostituita da una indennità.
Ricapitolando ,solo per quanto riguarda il sistema forneriano,considerati gli orientamenti giurisprudenziali possiamo concludere che potrà darsi luogo alla reintegrazione quando si abbia la a) “insussistenza del fatto”, ossia a1) quando si abbia insussistenza della giusta causa e del giustificato motivo, e a2) anche quando sussista una giusta causa o un giustificato motivo in presenza di circostanze che fanno venire meno l’antigiuridicità del fatto ( esimenti,attenuanti,come ad es. inadempimento del datore di lavoro, provocazione etc.); b) quando il licenziamento venga comminato per condotte punibili con sanzioni conservative sulla base dei ccnl e dei codici disciplinari.
Note
(1) Tali si intendono i codici disciplinari di cui all’art.7 legge 20 maggio 1970 n.300.
(2) Dalla dottrina e dalla giurisprudenza si è denominata (a) reintegrazione piena o forte quella prevista dai commi 1 e 2 dell’art.18 Stat.lav. novellato;b) reintegrazione attenuata o debole quella prevista dal comma 4;c) tutela indennitaria forte quella prevista dal comma 5.
(3) In dottrina v. Mazzotta Manuale di diritto del lavoro ,CEDAM 2013, pag 563, sulla riforma fornero,< La nuova disciplina prende in considerazione in primo luogo le ipotesi di annullabilità del licenziamento perché il fatto contestato non sussiste. Non deve trarre in inganno l’adozione di una terminologia più vicina al diritto penale che al diritto (privato) del lavoro. È indiscutibile che la legge alluda alla esistenza di un inadempimento del lavoratore ed alla sua imputabilità al medesimo. Ne deriva che il giudice, lungi dal dover verificare l’esistenza di un fatto nella sua materialità, dovrà prendere in considerazione una condotta posta in essere dal lavoratore e indagarne — sotto questo primo profilo — l’effettività della sua verificazione concreta.>
4) Particolarmente significativa ci pare tale sentenza che ci aiuta a meglio comprendere l’enunciato,dell’insussistenza del fatto, introdotto dalla l.92/2012:< La prima questione che il ricorrente pone alla Corte è se questi comportamenti abbiano arrecato alla società un “grave” nocumento morale o materiale.Tale nocumento grave è parte integrante della fattispecie di illecito disciplinare in questione onde l’accertamento della sua mancanza determina quella insussistenza del fatto addebitato al lavoratore, prevista dall’art.18 l. n.300 del 1970, modif. dall’art.l, comma 42, 1. 28 giugno 2012 n.92, quale elemento costitutivo del diritto al ripristino del rapporto di lavoro. Questo elemento deve infatti considerarsi esistente qualora la fattispecie di illecito configurata dalla legge o dal contratto sia realizzata soltanto in parte.>.
MASSIMO VICECONTE
m.viceconte1@virgilio.it
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