Sommario: 1. Lo «spirito» del nuovo art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – 2. Graduazione del regime sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi – 3. La tutela contro i licenziamenti illegittimi in Europa – 4. Il nuovo comma 4 dell’art. 18: insussistenza del fatto contestato e condotta punibile con sanzione conservativa prevista dai contratti collettivi di lavoro – 5. Rassegna delle principali teorie sull’insussistenza del fatto – 6. Le sanzioni conservative previste dai contratti collettivi – 7. Quale spazio per le “altre ipotesi” del comma 5? – 8. Prime pronunce di merito sul nuovo art. 18 S. L. – 9. Natura e misura del risarcimento – 10. Criticità e prospettive.
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Lo «spirito» del nuovo art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – L’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori costituisce il «cuore» della Legge n. 92/2012, c.d. Riforma Fornero: basti pensare all’interesse politico, sindacale e mediatico suscitato nell’acceso dibattito precedente all’approvazione del testo normativo nonché alle reazioni successive, tra cui la raccolta di firme per un referendum abrogativo1.
La ratio dell’intervento normativo de quo è stata in qualche modo anticipata e “giustificata” nell’art. 1 comma 1 c) della Legge Fornero e si rinviene nella necessità di realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, anche “ridistribuendo in modo più equo le tutele dell’impiego, da un lato contrastando l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità delle tipologie contrattuali, dall’altro adeguando contestualmente alle esigenze del mutato contesto di riferimento la disciplina del licenziamento, con previsione di un procedimento giudiziario specifico per accelerare la definizione delle controversie”. Ciò proprio per favorire, nel bilanciamento tra flessibilità e garanzie, l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, definito “contratto dominante” dall’art. 1 comma 1 a) della Legge n. 92/2012.
L’obiettivo di incrementare gli investimenti dall’estero e, pertanto, di rendere il più accattivante possibile l’instaurazione di rapporti di lavoro in Italia era già stata perseguito in passato, senza, però, operare alcuna modifica alla c.d. flessibilità in uscita, ma introducendo nuove forme di flessibilità in entrata (v. Riforma Biagi). A vent’anni dal D. Lgs. n. 276/2003 si registra un’inversione di tendenza: l’utilizzo talvolta improprio – se non addirittura fraudolento – dei rapporti di lavoro flessibile hanno contribuito a causare una grave situazione di precarietà occupazionale che ha avuto delle ricadute evidenti nell’attuale tessuto socio-economico. Pertanto, si è inteso ribadire la centralità del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e, per quanto possibile, si è cercato di “limitare” l’accesso alle forme flessibili più “abusate” negli ultimi anni (ad es., collaborazioni a progetto, P. IVA ed associazione in partecipazione)2.
Un bilancio sulla riforma dell’art. 18 S. L. è ancora prematuro: se la soluzione per promuovere la stabilizzazione dei rapporti di lavoro possa consistere nel favorire una maggiore flessibilità in uscita e se le modifiche apportate siano in grado di ottenere l’effetto auspicato lo dimostrerà soltanto il tempo. È importante, però, comprenderne le finalità per coglierne la portata innovativa ed operarne una corretta applicazione.
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Graduazione del regime sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi – Il nuovo testo dell’art. 18 S. L. non incide sulle nozioni di giusta causa e giustificato motivo, che restano invariate: l’art 2119 c.c. e gli artt. 1 e 3 della Legge n. 604/66 non sono stati modificati. Pertanto, restano fermi i consolidati orientamenti giurisprudenziali e dottrinali che, nel corso degli anni, hanno delineato una ricca e variegata casistica di condotte del lavoratore che costituiscono “una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”3 o, nel caso di giustificato motivo soggettivo, “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”4.
A mutare è il regime sanzionatorio in caso di licenziamento illegittimo: da un’unica sanzione (la tutela reale, cioè la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro) prevista per tutte le ipotesi di licenziamento illegittimo dal primo comma del previgente art. 18 si passa a un regime graduato che introduce ben quattro sanzioni decrescenti. La più grave (la tutela reale piena) è prevista soltanto per i licenziamenti nulli (primo comma del vigente art. 18), la tutela reale attenuata5 o depotenziata6 è rivolta ad alcune ipotesi espressamente elencate7, la tutela indennitaria piena è la sanzione per “tutte le altre ipotesi”8, mentre nel campo della tutela indennitaria ridotta rientrano i licenziamenti illegittimi per violazioni formali o procedurali9.
Si potrebbe sostenere che l’area della vecchia tutela reale abbia subito un processo di frantumazione e metamorfosi10, trovandosi scomposta in ben quattro livelli sanzionatori. Ciò ha comportato, come si evince dalla modifica della stessa rubrica dell’art. 18 S. L. (da “Reintegrazione nel posto di lavoro” a “Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo”), il ribaltamento della tutela: la reintegrazione da sanzione principale diventerebbe sanzione residuale, in quanto applicabile solo nei casi espressamente previsti.
L’intento del legislatore è stato sicuramente quello di ridurre il più possibile i margini di incertezza: gli esiti giudiziali dell’impugnazione di un licenziamento sono spesso dubbi – anche perché le nozioni di giusta causa e giustificato motivo sono elastiche e si riempiono di contenuti soltanto a seguito della pronuncia del giudice sul fatto concreto – e notevolmente costosi nel caso in cui il datore di lavoro debba reintegrare il dipendente dopo diversi anni dalla data del licenziamento. Resta aperto l’interrogativo se la soluzione adottata sia idonea a perseguire l’obiettivo o lasci comunque spazi di ambiguità che soltanto l’applicazione pratica potranno, con il tempo, definire e colmare.
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La tutela contro i licenziamenti illegittimi in Europa – Prima di passare ad un esame più approfondito dei commi 4 e 5 dell’art. 18 S. L. – oggetto della presente trattazione – è opportuno rivolgere uno sguardo di più ampio respiro alla legislazione europea in materia, considerato che, ai sensi dell’art. 153 d) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, la “protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro” rientra tra i compiti di armonizzazione dell’Unione. Infatti, anche se per decenni la sensibilità giuridica del nostro Paese ha ritenuto che l’unica sanzione adeguata in caso di licenziamento illegittimo fosse la reintegrazione del lavoratore (nell’ottica della restitutio in integrum, cioè del ripristino della situazione precedente al recesso contra legem), non è così nel resto dell’Europa. L’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea11, rubricato “tutela in caso di licenziamento ingiustificato”, rimanda semplicemente al diritto comunitario ed alle legislazioni e prassi nazionali, senza specificare a quale tipo di tutela si riferisca. L’art. 24 della Carta Sociale Europea12 stabilisce, al punto b), il diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo “ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione”, indicando così la preferenza per una “monetizzazione” del recesso illegittimo. È l’orientamento consolidato della Corte di Giustizia a definire il significato di “congruo indennizzo”, cioè un’indennità economica che, in base al principio di “effettività”, rivesta il carattere dell’adeguatezza e della dissuasività. In altre parole, l’importo del risarcimento deve costituire un serio ristoro per il lavoratore e, al tempo stesso, un concreto deterrente per il datore di lavoro.
Al riguardo, ci si è chiesti se l’indennizzo previsto dal quinto (e settimo) comma dell’art. 18 S. L. in tutte “le altre ipotesi” in cui non ricorrano la giusta causa e il giustificato motivo di licenziamento (cioè l’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità) abbia questi due elementi dell’adeguatezza del risarcimento per il lavoratore e della dissuasività per il datore di lavoro. Si tratta di un importo che non si discosta dalla media europea13, ma in Italia c’è chi ritiene che il sistema indennitario, così come attualmente previsto, costituirebbe un vero deterrente solo per le imprese con minore potenzialità economica, mentre per le grandi imprese può essere semplicemente programmato tra i “costi fisiologici” dei licenziamenti14.
Per comprendere il coacervo di pressioni – non solo nazionali – intorno alla modifica dell’art. 18 S. L., è bene ricordare che, nel 2011, il Consiglio europeo ha inviato all’Italia una raccomandazione15, in cui, nella logica della flexicurity, cioè del bilanciamento tra flessibilità e garanzie, raccomanda al nostro Paese di adottare, nel biennio 2011 – 2012, provvedimenti finalizzati a “rafforzare le misure intese a combattere la segmentazione del mercato del lavoro, anche rivedendo aspetti specifici della legislazione a tutela dell’occupazione, comprese le procedure che disciplinano i licenziamenti”. L’art. 18 S. L., appunto.
Per completezza, occorre chiarire che la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro non ha, neanche nel nostro ordinamento, una tutela costituzionale, come è stato affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 46/2000: “l’eventuale abrogazione della c.d. tutela reale avrebbe il solo effetto di espungere uno dei modi per realizzare la garanzia del diritto al lavoro, che risulta ricondotta, nelle discipline che attualmente vigono sia per la tutela reale che per quella obbligatoria, al criterio di fondo della necessaria giustificazione del licenziamento”.
4. Il nuovo comma 4 dell’art. 18: insussistenza del fatto contestato e condotta punibile con sanzione conservativa prevista dai contratti collettivi di lavoro – Ai sensi del comma 4 dell’art. 18 S. L., il giudice che accerti la mancanza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro in soli due casi, espressamente indicati: insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili.
È una sorta di “ ingiustificatezza qualificata”16: per l’accesso alla tutela reale non è più sufficiente che il licenziamento sia ingiustificato perché sprovvisto di giusta causa o giustificato motivo (soggettivo nella trattazione de qua), ma che tale carenza si configuri nelle ipotesi previste dal legislatore. A tal fine risulta particolarmente importante comprendere cosa il legislatore intenda con insussistenza del fatto contestato e condotta punibile con sanzione conservativa. Per questo motivo sul comma 4 dell’art. 18 S. L. si è focalizzata per mesi l’attenzione della maggior parte dei giuslavoristi, come si vedrà più approfonditamente nel paragrafo successivo.
Innanzitutto, il fatto posto alla base del licenziamento deve essere “contestato”. E la scelta del termine ci riporta alla natura ontologicamente disciplinare dei licenziamenti per motivi soggettivi, i quali, dunque, devono seguire l’iter predisposto dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori17: al secondo comma è espressamente previsto che l’adozione di una sanzione disciplinare nei confronti del lavoratore (ed il recesso, con o senza preavviso, è sicuramente la sanzione più grave) debba essere preceduta dalla contestazione dell’addebito. Inoltre, risulta evidente il richiamo ad un’altra delle novità della Riforma, la sostituzione del secondo comma dell’art 2 della Legge n. 604/66. Dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della Legge Fornero, la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. La normativa previgente, invece, prevedeva l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare i motivi del licenziamento soltanto entro sette giorni dall’eventuale richiesta del lavoratore.
Come ricorda lo stesso dato letterale del quarto comma dell’art. 18 S. L., oggetto dell’accertamento giudiziario sono le ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo, per cui il fatto contestato – di cui verificare la sussistenza o l’insussistenza – non può che riguardare una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto oppure un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro. Pertanto, devono ritenersi “insussistenti” tutti quei fatti che, pur effettivamente accaduti e debitamente contestati, non rientrano in questi ambiti, in quanto non costituiscono inadempimenti neanche lievi: significativo è l’esempio del lavoratore che non sorrida ai colleghi – fatto di per sé lecito – e venga licenziato per tale motivo18.
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Rassegna delle principali teorie sull’insussistenza del fatto – La dicitura nomologica “insussistenza del fatto” – per la verità mutuata dal linguaggio penalistico, così generando ulteriore confusione – ha indotto la maggior parte degli autori a cimentarsi nella scomposizione del “fatto”, enucleando diverse definizioni, talvolta ambigue, altre volte tautologiche: fatto storico, materiale, fenomenologico, giuridico, inclusivo19… È evidente che in una lettura meramente oggettiva fatto storico, materiale e fenomenologico – considerati come mera azione /omissione e privi di qualunque connotazione soggettiva legata alla condotta – praticamente coincidono. E si distinguono dal fatto “giuridico” (anche detto “inclusivo”), che comprende anche gli aspetti connessi al comportamento del lavoratore sotto il profilo dell’elemento soggettivo. Ed è proprio sulla qualificazione del fatto giuridicamente inteso che più vivace si è rivelato il dibattito dottrinale, perché, a seconda della portata – più o meno ampia – del fatto, diversa è la tutela sanzionatoria prevista dal nuovo art. 18: reintegrazione nel posto di lavoro se il fatto non sussiste, mero risarcimento se il fatto sussiste ma comunque non è tale da integrare la fattispecie di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo.
In una lettura restrittiva del quarto comma dell’art. 18 S. L. 20 fatto insussistente vuol dire fatto non vero (la condotta contestata non è stata posta in essere dal lavoratore). Pertanto, se il giudice accerta che il fatto (materialmente inteso) è accaduto ma è insufficiente a giustificare un licenziamento si rientrerebbe nella tutela indennitaria descritta dal quinto comma dell’art. 18 S. L. Nell’ipotesi in cui il fatto contestato risulti vero ma sproporzionato per giustificare il recesso (ad es, è stata prospettata l’ipotesi di un ritardo di pochi minuti) si potrebbe configurare un caso di frode alla legge21, ai sensi dell’art. 1344 c.c., per eludere l’applicazione della tutela reale. In tal caso il licenziamento sarebbe certamente viziato e l’art. 1344 c.c. potrebbe rientrare tra gli “altri casi di nullità previsti dalla legge” indicati genericamente dal primo comma dell’art. 18 S. L., ai quali si applica la tutela reale piena. In tal modo, ictu oculi, si darebbe luogo ad una vera e propria sperequazione: il lavoratore licenziato per un fatto non accaduto riceverebbe soltanto una tutela reale attenuata ed il lavoratore licenziato per un fatto verificatosi ma sproporzionato sarebbe reintegrato nel posto di lavoro con risarcimento pieno. C’è chi22 risolve tale questione sottolineando il carattere “sanzionatorio” dell’art. 18 S. L. nuova formulazione, che vorrebbe stigmatizzare il comportamento datoriale fraudolento. Non sfugge, però, la difficoltà della probatio diabolica sul grado di buona o mala fede del datore di lavoro.
Per altri23 la nuova formulazione dell’art. 18 S. L. è semplicemente “quer pasticciaccio brutto”, citando una delle più note opere dello scrittore Carlo Emilio Gadda, perché, in sostanza, non è cambiato nulla e la tutela reale si applicherebbe, come prima, a tutte le tipologie di licenziamenti illegittimi per mancanza di giusta causa e giustificato motivo. Secondo tale opinione, le “altre ipotesi” di cui al quinto comma dell’art. 18 S. L. sarebbero meramente “virtuali”, una semplice clausola di stile inserita dal legislatore, in quanto nella sussistenza del fatto rientrerebbero non solo gli elementi oggettivi ma anche gli elementi soggettivi (in tutta la loro intensità e proporzionalità), che non lascerebbero così spazi residuali.
Spazi residuali che, invece, per altri24 sarebbe possibile individuare e ricondurrebbe nella graduazione della gravità dell’elemento psicologico. Il giudice dovrebbe verificare la presenza o assenza di un’azione del lavoratore qualificata da una specifica volontà e finalità. Pertanto, la reintegrazione resterebbe la regola, mentre la tutela indennitaria costituirebbe l’eccezione.
Un approccio di tipo “pratico” individua due diversi momenti dell’accertamento giudiziale conseguente all’impugnazione del licenziamento25, una sorta di “sdoppiamento funzionale”: da un lato l’accertamento della legittimità o meno del licenziamento, dall’altro l’individuazione della sanzione applicabile al licenziamento illegittimo. Si tratta di accertamenti potenzialmente – ma non necessariamente – sovrapponibili, che devono rimanere distinti da un punto di vista logico e giuridico. Non sarebbe affatto preclusa al giudice la valutazione sulla proporzionalità tra fatto contestato e licenziamento, come dispone l’art. 2106 c.c., ma ciò rileverebbe soltanto ai fini dell’individuazione della tutela (reale o indennitaria). In sintesi, nell’accertamento relativo alla sussistenza o meno del fatto contestato il giudice considera il fatto giuridico – inteso come condotta, nesso di causalità ed imputabilità (capacità di intendere e di volere del lavoratore26) – e solo dopo aver riscontrato la presenza di tali elementi passerà alla qualificazione del fatto, per valutare se integri o meno la giusta causa o il giustificato motivo. Se il fatto sussiste – e non rientra tra le sanzioni conservative previste dai contratti collettivi o dai codici disciplinari, come si vedrà nel paragrafo successivo – ma non è tale da integrare la nozione di giusta causa o giustificato motivo, dovrebbe scattare la sanzione indennitaria, in quanto la valutazione sulla gravità della condotta rientrerebbe nello spazio di azione del quinto comma dell’art. 18 S. L. Al riguardo, però, c’è chi27 ricorda che la nozione di giustificato motivo soggettivo non è stata riformata e, pertanto, per integrarla è necessario un “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”28. Pertanto, se l’inadempimento non fosse “notevole”, sulla scorta della consolidata giurisprudenza in materia, il fatto non sussisterebbe. E, allora, in cosa consisterebbero le “altre ipotesi”?
Per completezza, si informa che in base ad una delle tesi prospettate in dottrina29 il licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo sarebbe necessariamente nullo per mancanza di causa e, pertanto, comporterebbe l’applicazione della tutela reale piena. Tale isolata opinione non risulterebbe, però, compatibile neanche con la lettera e lo spirito del previgente art. 18 S. L., il quale, pur prevedendo la medesima tutela reale per tutti i licenziamenti ingiustificati, distingueva comunque i licenziamenti nulli da quelli annullabili.
6. Le sanzioni conservative previste dai contratti collettivi – La seconda ipotesi di “ingiustificatezza qualificata” prevista dal quarto comma dell’art. 18 S. L. consiste in un fatto che rientri “tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari”. Il riferimento alla contrattazione collettiva era già presente, anche se con diversa valenza, nell’art. 30 del c.d. Collegato Lavoro30: “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi”. Non può sfuggire all’interprete che il legislatore del 2010 abbia utilizzato il più blando “tiene conto”, mentre, sulla base del dettato normativo del vigente art. 18 S. L., il giudice, una volta accertato che la condotta contestata rientra tra le ipotesi previste dalla contrattazione collettiva per le multe o le sospensioni, “condanna” il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore.
È palese l’intenzione di assegnare all’autonomia collettiva un ruolo cardine in materia di licenziamenti, in linea con quanto previsto – per gli accordi di prossimità – dall’art. 831 del D. L. n. 138/2011, convertito nella L. n. 148/2011.
La ratio della norma consiste nella conoscibilità – sicura e preventiva – da parte del datore di lavoro della tipizzazione delle condotte insufficienti per intimare correttamente un licenziamento. Per questo motivo, probabilmente, dal testo approvato è stato espunto il riferimento alle generiche “previsioni di legge”, che lasciava ampi margini di incertezza ed ambiguità, prontamente segnalati dalla dottrina.
È ovviamente auspicabile una più precisa e dettagliata tipizzazione delle sanzioni conservative ed espulsive: la maggior parte dei Ccnl sono piuttosto vaghi32 nella descrizione delle infrazioni e talvolta prevedono i medesimi comportamenti sia per la sospensione che per il licenziamento, graduandoli semplicemente in base alla gravità. In tali casi sarà indispensabile il giudizio sulla proporzionalità ex art. 2106 c.c.: basti pensare all’ipotesi, frequentemente prevista nei Ccnl, dell’insubordinazione, sanzionata con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione nei casi “lievi” e con il licenziamento nei casi “gravi”.
Un tentativo nella direzione di una maggiore specificità nella tipizzazione è stato operato dall’ipotesi di accordo del settore delle Telecomunicazioni siglata l’1.02.2013, ma, almeno al momento, resta un esperimento isolato, in quanto gli altri rinnovi contrattuali degli ultimi mesi33 non si sono cimentati in una revisione dei provvedimenti disciplinari.
È ragionevole pensare che tale materia, fino ad oggi considerata a basso tasso di conflittualità, presto diventerà nodale in fase di contrattazione collettiva.
Per completezza, si segnala che una recente pronuncia della Corte di cassazione (sent. n. 10337 del 21 giugno 201234) ha evidenziato il ruolo del giudice come arbitro nella valutazione delle fattispecie disciplinari e nella proporzionalità delle sanzioni adottate, affermando il principio che la previsione di un’ipotesi di giusta causa contenuta in un contratto collettivo non è vincolante, in quanto tale elencazione ha valenza esemplificativa e non tassativa. Ovviamente, ciò avveniva prima dell’entrata in vigore della Legge Fornero, ma è indicativo delle inevitabili controversie che potranno sorgere sul punto.
C’è chi35 ravvisa in tale modifica dell’art. 18 S. L. dei profili di incostituzionalità, in quanto i Ccnl offrirebbero tutele diverse per casi simili, comportando una disparità di trattamento con violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Carta costituzionale. Tale disparità di trattamento, però, viene affidata alla libera determinazione della contrattazione collettiva, di cui la norma in questione sembra ribadire il rispetto e la piena autonomia.
7. Quale spazio per le “altre ipotesi” del comma 5? – La vexata quaestio che, al momento resta aperta, è costituita da quali siano le “altre ipotesi” di cui al quinto comma dell’art. 18 S. L.: mera clausola di stile o norma di chiusura per la tenuta del sistema? È qui che si “gioca” l’efficacia della riforma: il ribaltamento della tutela da reale ad indennitaria è effettivo o pro forma?
Da un punto di vista strutturale, la norma sembrerebbe prevedere la reintegra soltanto per i casi tassativamente indicati – con le dovute differenze – al primo, al quarto ed al settimo comma. È proprio dalla difficoltà di configurare con precisione le ipotesi specificate, come abbiamo rilevato nei paragrafi precedenti, che nasce l’incertezza sulle “altre ipotesi”. A seconda dell’interpretazione – ristretta o elastica – di insussistenza del fatto, l’area delle “altre ipotesi” si allarga o si restringe fino a scomparire del tutto.
Per meglio comprendere quanto tale formula legislativa non sia stata il frutto di una scelta serena e convinta ma una soluzione di compromesso, è opportuno ricordare che, nel progetto originario, la reintegrazione avrebbe dovuto riguardare soltanto l’area dei licenziamenti dichiarati nulli, circoscrivendo in maniera drastica lo spazio della tutela reale. In tale ottica, alcuni autori36 ravvisano nella pretestuosità del licenziamento (che si configura, appunto, nelle due ipotesi esaminate nel comma 4) lo spartiacque tra tutela reale ed indennitaria e, quindi, tra campo di applicazione del quarto e del quinto comma dell’art. 18 S. L.
Rebus sic stantibus, ancora incerta è la linea di confine tra la reintegra e l’indennità: sarà soltanto l’applicazione pratica e, dunque, il diritto vivente, ad offrire risposte agli interrogativi finora posti.
8. Prime pronunce di merito sul nuovo art. 18 S. L. – L’esame delle prime pronunce di merito sulle impugnazioni di licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo evoca la celebre frase del romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima”. È infatti evidente che, benché l’art. 18 S. L. sia stato fortemente modificato, nella pratica sembra che sia cambiato ben poco.
Ovviamente, sette mesi sono sicuramente troppo pochi per un bilancio sereno ed esaustivo, ma le prime pronunce di merito offrono, comunque, degli interessanti spunti di riflessione.
Un primo dato significativo è proprio la scarsità di pronunce in materia: al momento è stato possibile esaminarne soltanto tre, di cui due del Tribunale di Bologna37 ed una del Tribunale di Milano38.
A fronte di un numero elevatissimo di tentativi di conciliazione (obbligatoriamente introdotti dal nuovo art. 7 della Legge n. 604/66) davanti alle DTL d’Italia39, le impugnazioni dei licenziamenti per motivi soggettivi hanno subito una flessione rispetto all’anno precedente. Considerata la grave congiuntura economica in cui versa attualmente il nostro Paese è, purtroppo, comprensibile un incremento dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, dovuti a cessazione dell’attività o alla soppressione di alcuni reparti e/o mansioni; ciononostante è probabile che, allo stato dei fatti, risulti meno problematico intimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo piuttosto che impelagarsi nell’ancora ingarbugliata questione della sussistenza o meno del fatto contestato. Inoltre, in questi primi mesi di applicazione del nuovo art. 18 S. L. si è registrato un considerevole aumento di conciliazioni giudiziali40, favorite sia dai tempi rapidi del rito Fornero sia dall’attuale incertezza sull’area della tutela reale.
Le tre pronunce di merito sopra citate hanno tutte condannato i datori di lavoro alla reintegrazione (attenuata ai sensi del comma 4 dell’art 18 S. L.) del lavoratore: in due casi perché la condotta risulta riconducibile ad una sanzione conservativa prevista dal Ccnl e nel terzo dictum – più noto e commentato41 (Trib Bologna del 15.10.2012) – per entrambe le ipotesi di cui al quarto comma. Ne sarebbe bastata anche soltanto una, considerato che il Ccnl Metalmeccanici – nella sezione IV, all’art. 9 – prevede espressamente la distinzione tra insubordinazione lieve (infrazione punita con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione) ed insubordinazione grave (per la quale può essere intimato il licenziamento). Nel caso di specie42 è agevolmente rilevabile la scarsa gravità dell’insubordinazione e, quindi, l’infrazione commessa dal lavoratore è correttamente sanzionabile con un provvedimento conservativo, a fortiori in assenza di precedenti disciplinari. Il giudice di Bologna, però, nella pronuncia in esame, non si lascia sfuggire l’occasione di ribadire la funzione propria dell’organo giudicante, a cui è rimesso il potere di qualificare il fatto e, pertanto, di verificare la presenza o meno della giusta causa o del notevole inadempimento da parte del lavoratore.
9. Natura e misura del risarcimento – Per quanto riguarda la natura e la misura dell’ambito risarcitorio delineato dal legislatore del 2012, è evidente l’intento di recepire la costante giurisprudenza in materia. Lo rivelano sia l’aggettivo “onnicomprensiva” che accompagna l’indennità prevista dal quinto comma sia la misura minima di risarcimento per i licenziamenti nulli sia la sottrazione dal quantum debetur del c.d. aliunde perceptum e aliunde percipiendum. In tal modo l’indennità viene determinata secondo i criteri generali del risarcimento del danno – primo fra tutti quello dell’effettiva sussistenza e dell’imputabilità al datore di lavoro – ferma restando il carattere polifunzionale – in questo caso sanzionatorio – dell’indennità, giustificabile con il rischio di impresa in capo al datore di lavoro. Inoltre, è chiara la distinzione tra la tutela piena e quella attenuata: nei casi di licenziamenti particolarmente “odiosi” – quelli discriminatori o comunque nulli – viene detratto soltanto l’aliunde perceptum, perché al lavoratore deve essere garantito un risarcimento pieno; mentre negli altri casi di ingiustificatezza qualificata deve essere detratto quanto il lavoratore avrebbe potuto guadagnare usando l’ordinaria diligenza. Tale accertamento risulterebbe, in realtà, poco agevole: quali possono essere i parametri per verificare la diligenza del lavoratore illegittimamente licenziato nel ricercare una nuova occupazione, soprattutto in un contesto di grave crisi economica e forte tasso di disoccupazione?
Per quanto riguarda la misura massima del risarcimento previsto per la tutela attenuata – ammontante a 12 mensilità – è evidente l’intento di limitare il rischio, per il datore di lavoro, delle lungaggini processuali43. Così, però, il rischio dei tempi della giustizia – che il rito Fornero dovrebbe ridurre considerevolmente – ricade sul lavoratore licenziato illegittimamente.
Significativa è anche un’altra novità: la retribuzione considerata è l’“ultima retribuzione globale di fatto”. Cioè, la retribuzione resta cristallizzata alla data del licenziamento, per cui gli eventuali aumenti contrattuali non rileveranno ai fini del computo del risarcimento. Anche il legislatore del 1990, modificando l’art. 8 della Legge n. 604/66 aveva scelto come parametro l’ultima retribuzione, ma in quel caso il rapporto veniva definitivamente estinto, mentre nel caso del comma 4 dell’art. 18 il rapporto, illegittimamente interrotto, continua tamquam non esset e, quindi, dovrebbe essere garantita la naturale – ed effettiva – evoluzione anche della retribuzione.
10. Criticità e prospettive – Com’è stato sottolineato nel corso della presente trattazione, il testo dell’art. 18 S. L. riformato è stato il frutto di compromessi in un momento particolarmente delicato per il nostro Paese e per tutta l’Unione Europea e, pertanto, è inventabile che il risultato sia quello di una “freccia spuntata”, che non riesce a centrare gli obiettivi – ambiziosi e necessari – indicati dall’art. 1 comma 1 della Legge Fornero.
Alcune criticità sono emerse nel corso della disamina dei vari punti focali dei commi 4 e 5 dell’art. 18 S. L., destando allarme per il rischio di un “attentato” ai principi di civiltà giuridica e di uno “spezzatino” di tutele44.
Maggior approfondimento richiederebbe anche la questione relativa all’onere della prova: benché l’art. 5 della Legge n. 604/6645 non sia stato modificato, il nuovo art. 18 S. L. potrebbe richiedere una diversa impostazione dell’onere probatorio ed una maggiore attenzione da parte del lavoratore e del suo legale. Per formare il convincimento del giudice potrebbe occorrere un quid pluris della cui prova sarebbe onerato il lavoratore, che dovrebbe allegare e provare tutti i fatti utili per integrare tale fattispecie, a cominciare da quelli che rendono applicabili al rapporto di lavoro il Ccnl che prevede la sanzione conservativa (affiliazione sindacale del datore di lavoro, recezione…)46. In tale ottica si dovrebbe anche dare una risposta alla scelta – piuttosto ambigua – del termine “applicabili” – riferito ai contratti collettivi e ai codici disciplinari – anziché applicati.
In considerazione dell’erosione della stabilità reale dei rapporti di lavoro, c’è anche chi ha sostenuto un’implicita imprescrittibilità dei crediti di lavoro in costanza di rapporto47.
Pertanto, alla luce delle considerazioni finora svolte, sembra opportuno prospettare ed auspicare un complessivo e sereno riesame della riforma dell’art. 18 S. L., anche per armonizzare l’ambito della c.d. tutela reale – la norma continua a prevedere i soliti requisiti dimensionali48 – con quello della tutela obbligatoria, ed evitare così sfasature ed incongruenze49.
Infine, se tra gli intenti legislativi c’è quello di ridurre i margini di una patologica incertezza per una corretta risoluzione del rapporto di lavoro, la “terapia” somministrata appare – almeno in alcuni punti – più rischiosa della “malattia” stessa.
Marianna Russo
Ispettore del lavoro presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Roma, abilitata all’esercizio della professione forense, dottoranda di ricerca in Diritto del Lavoro presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
1 Per approfondimenti sui quesiti referendari, consultare il sito-web www.referendumlavoro.it.
2 V. art. 1 commi 23 – 30 della L. n. 92/2012.
3 V. recesso per giusta causa: art. 2119 c.c.
4 V. art. 3 L. n. 604/66.
5 Secondo la definizione di M. T. Carinci, Il lavoro al tempo della crisi, Relazione XXVII Congresso AIDLASS (Pisa 7 – 9 giugno 2012).
6 Secondo la definizione di A. Maresca, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’art. 18 Statuto dei Lavoratori, in Riv. It. Dir. Lav., 2012, 1, p. 436 e ss.
7 L’art. 18 S. L. indica al comma 4 due ipotesi di giustificato motivo soggettivo (insussistenza del fatto contestato e condotta punibile con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili) ed al comma 7 tre ipotesi di giustificato motivo oggettivo (difetto di giustificazione per licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica del lavoratore, violazione dell’art. 2110 c.c. e manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo).
8 Sia in caso di giustificato motivo soggettivo (comma 5) che oggettivo (comma 7).
9 Comma 6 dell’art. 18 S. L.
10 C. Cester, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in Arg. Dir. Lav., 2012, 3, p. 547 e ss..
11 Approvata dal Consiglio Europea a Nizza l’11.12.2000.
12 Revisionata a Strasburgo il 3.05.1996.
13 G. Orlandini, La tutela contro il licenziamento ingiustificato nell’ordinamento dell’Unione Europea, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, 4.
14 V. Speziale, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in Riv. It. Dir. Lav, 2012, 1, p. 521 e ss.
15 Raccomandazione del Consiglio del 12.07.2011, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 21.07.2011.
16 A. Vallebona, L’ingiustificatezza qualificata del licenziamento: fattispecie e oneri probatori, in Dir. Rel. Ind., 2012, 3, p. 621 e ss.
17 Sent. Corte cost. n. 204/82.
18 M. T. Carinci, Op. cit.
19 Secondo la definizione di V. Speziale, Op. cit.
20 A. Vallebona, Op. cit.; C. Cester, Op. cit.; M. Tremolada, Il licenziamento disciplinare nell’art. 18 St. Lav., in F. Carinci, M. Miscione (a cura di), Commentario alla Riforma Fornero, in Dir. Prat. Lav., 2012, 33, p. 49 e ss.
21 A. Vallebona, Op. cit.
22 P. Sordi, relazione su Il licenziamento illecito in occasione del Seminario di studio L’inverno del diritto del lavoro: i licenziamenti per motivi soggettivi presso la LUISS, Roma 27.02.2013.
23 S. Magrini, Quer pasticciaccio brutto dell’art. 18, in Arg. Dir. Lav., 2012, 3, p. 535 e ss.
24 V. Speziale, Op. cit.
25 A. Maresca, Op. cit.; M. Marazza, L’art. 18 nuovo testo dello Statuto dei lavoratori, in Arg. Dir. Lav., 2012, 3, p. 612 e ss.
26 Al riguardo, numerosi potrebbero essere gli esempi di scuola: il furto commesso dal lavoratore cleptomane, l’autotrasportatore costretto a cambiare percorso perché preso in ostaggio da un malvivente, ecc…
27 R. Pessi in occasione del seminario di studio citato.
28 Art. 3 Legge n. 604/66.
29 M. T. Carinci, Op. cit.
30 Legge n. 183/2010.
31 Secondo comma lettera e).
32 Ad es., “comportamenti lesivi della dignità della persona” e “non osservanza delle disposizioni di legge, del presente contratto, delle procedure e dei regolamenti aziendali e delle norme interne in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro”.
33 Ccnl Istituti di vigilanza, panificatori, cooperative settore alimentare, metalmeccanici…
34 Anche Cass. n. 2906/2005.
35 V. Speziale, Op. cit.
36 A. Maresca, Op. cit.
37 Trib Bologna del 25 settembre 2012 (Giud. Coco) e del 15 ottobre 2012 (Giud. Marchesini).
38 Trib. Milano del 28 gennaio 2013
39 Nei primi sei mesi dall’introduzione dell’obbligo normativo ne sono stati conteggiati n. 12563, sulla base dei dati forniti in occasione del Convegno promosso ed organizzato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sui Profili operativi della Legge Fornero: tecnici del lavoro a confronto, tenutosi a Roma il 7 e 8 febbraio 2013.
40 M. Leone, relazione su Profili processuali, in occasione del citato seminario di studio.
41 F. Carinci, Il legislatore e il giudice: l’imprevidente innovatore ed il prudente conservatore, in www.csdle.lex.unict.it.
42 Per il quale si rimanda dalla lettura del testo integrale della pronuncia, in http://www.lavoroediritto.it/wp-content/uploads/2012/11/Ordinanza_Trib_BO_15_10_20.pdf
43 In tale ottica va letto anche il versamento dei contributi previdenziali dal giorno del licenziamento alla reintegra senza alcuna sanzione per omessa o ritardata contribuzione.
44 A. Pileggi, relazione su Il licenziamento disciplinare in occasione del Seminario di studio già citato.
45 L’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro.
46 C. Pisani, L’ingiustificatezza qualificata del licenziamento: convincimento del giudice e onere della prova, in Mass. giur. lav., 2012, 10, p. 741 e ss.
47 A. Pileggi, relazione citata.
48 Comma 8 art 18 S. L.
49 A. Pileggi, rel. cit., sul confronto tra l’indennità di cui all’art. 8 L. n. 604/66 e quella prevista per vizi procedurali dal comma 6 dell’art. 18 S. L.
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