Il medico ed il farmacista nel T.U. sugli stupefacenti

La Giurisprudenza italiana di legittimità guarda con sfavore all’eccessivo utilizzo di stupefacenti nelle terapie mediche.

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La Giurisprudenza italiana di legittimità guarda con sfavore all’eccessivo utilizzo di stupefacenti nelle terapie mediche, le quali sovente si collocano in una zona grigia che rasenta la fattispecie dell’abuso illecito. In effetti, Cass., sez. pen., 14 luglio 1989, n. 797 precisa che “l’uso di sostanze stupefacenti nella cura dei tossicodipendenti è ammesso dal Legislatore con il limite invalicabile che la terapia non ecceda in modo apprezzabile le necessità della cura in relazione alle particolari condizioni dei soggetti, il che impone, da parte del sanitario, non solo il rigoroso accertamento della situazione di tossicodipendenza del soggetto, ma anche una particolare cautela nelle prescrizioni, da effettuarsi per quantitativi non discrezionali, ma strettamente necessari alle finalità curative, ossia al superamento di un’eventuale crisi d’astinenza ed alla disassuefazione e guarigione; l’uso suddetto, perciò, non può prolungarsi oltre il tempo strettamente necessario al raggiungimento delle finalità di legge ed è illegittimo se non è soltanto mirato, sulla base di un programma terapeutico individualizzato, ad assistere, curare e recuperare fino alla disassuefazione, il che è possibile solo con una terapia a scalare e per brevi periodi”. Per approfondire ulteriormente il tema della legislazione in materia di stupefacenti, consigliamo il volume Stupefacenti – Manuale pratico operativo

Indice

1. Giurisprudenza e responsabilità del medico nel TU 309/90


Come si nota, Cass., sez. pen., 14 luglio 1989, n. 797 si dimostra ben lontana dalle pionieristiche cure a base di oppiacei in uso presso Ordinamenti diversi, quale quello elvetico, ove l’eroina “a scalare” viene somministrata con maggiore disinvoltura. Nel sistema italiano, nel bene o nel male, persiste una drastica diffidenza nei confronti dell’impiego terapeutico delle droghe, anche in ambiti più ordinari, quali quelli della cura dei tumori e della SLA.
P.e., anche l’Art. 83 TU 309/90 (“Prescrizioni abusive”), con estrema prudenza, recita che “le pene previste dall’Art. 73 commi 1, 4 e 5 TU 309/90 si applicano altresì a carico del medico chirurgo o del medico veterinario che rilascia prescrizioni delle sostanza stupefacenti o psicotrope ivi indicate per uso non terapeutico”.
Detto Art. 83 TU 309/90 è stato ben esplicato, a livello giurisprudenziale, da Cass., sez. pen. IV, 28 aprile 2004, n. 31339, ovverosia “per valutare se la condotta del medico sia punibile ex Art. 83 TU 309/90, il giudice deve:
a. attenersi rigorosamente alle leggi scientifiche divulgate in Letteratura e, al più,  a generali massime di comune esperienza, prescindendo da proprie personali intuizioni, disancorate dai risultai della ricerca scientifica
b. tenere comunque conto – nell’ambito di un giudizio causale ex post – dell’accertata guarigione del paziente tossicodipendente, se determinata proprio dalla cura con medicinali a base di sostanze stupefacenti, salvo che risulti provata – in modo rigoroso – una diversa ed autonoma fonte di tale evento positivo”.
A parere di chi redige, Cass., sez. pen. IV, 28 aprile 2004, n. 31339 apre la strada all’onnipotenza del CTU, in tanto in quanto il Magistrato non è in grado e non è tenuto ad essere in grado di coniugare l’Art. 83 TU 309/90 con le “leggi scientifiche” divulgate in Letteratura”. L’eventuale abuso del medico ex Art. 83 TU 309/90 va valutato, necessariamente e tassativamente, da un altro medico. La summenzionata Sentenza del 2004 non può pretendere che il Magistrato possieda o sviluppi nozioni tossicologiche.
Difficile è pure, ex n. 1) Art. 62 CP, apprezzare se il medico meriti un’attenuazione della pena “per aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale”. A tal proposito, Cass., sez. pen. IV, 28 aprile 2004, n. 31339  rimarca che “la condotta del medico che, sia pure al solo fine di una terapia di mero mantenimento della tossicodipendenza, abbia praticato una terapia a base di sostanze stupefacenti, riveste le connotazioni del particolare valore morale e sociale (tali da consentire di concedere la circostanza attenuante prevista dall’Art. 62 n. 1 CP), qualora sia provato che, in mancanza di tale pur impropria terapia, il paziente sarebbe stato indotto a fare ricorso al circuito del narcotraffico, in tal modo arrecando grave vulnus alla propria salute o alla propria condizione umana o sociale”. Dunque, Cass., sez. pen. IV, 28 aprile 2004, n. 31339 “umanizza” le disposizioni penali del TU 309/90, nella consapevolezza che al medico non si può richiedere un’applicazione puntuale e, fors’anche, implacabile dell’Art. 73 TU 309/90. Il medico non è istituzionalmente tenuto ad atteggiarsi alla figura del Magistrato o di un giustiziere che tuteli l’Ordine pubblico o, peggio ancora, il corretto procedere asettico di una burocrazia che nulla ha a che fare con la ratio della cura sanitaria.
Interessante è pure il comma 2 Art. 72 TU 309/90 (“E’ consentito l’uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui al comma 1, [ma solo se, ndr] debitamente prescritti secondo le necessità di cura [e] in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto”). Su tale tema della necessaria esistenza di un “piano terapeutico” personalizzato si è espressa Cass., sez. pen. VI, 13 marzo 2013, n. 16581, la quale ha evidenziato che “la somministrazione di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti è consentita, ai sensi dell’Art. 72 comma 2 TU 309/90, solo qualora il medico agisca effettivamente per finalità terapeutiche, praticando un trattamento debitamente prescritto ai sensi dell’Art. 43 TU 309/90, e coerente, secondo le conoscenze scientifiche del momento, con gli obiettivi clinici perseguiti”. Nei fatti giudicati da Cass., sez. pen. VI, 13 marzo 2013, n. 16581, il responsabile di un Sert aveva distribuito farmaci stupefacenti “al bisogno” e “in assenza di un piano terapeutico personalizzato e della correlata prescrizione medica”.
Dunque, nuovamente, Cass., sez. pen. VI, 13 marzo 2013, n. 16581 manifesta, nell’ambito del comma 2 Art. 72 TU 309/90, la necessità di massimizzare la ratio della prudenza, congiunta sempre alla speculare, stretta, seria necessità del farmaco psicotropo. Non deve mai essere perduta di vista la “finalità [solo] terapeutica”. Similmente, pure Cass., sez. pen. VI, 4 dicembre 2019, n. 12198 mette in risalto che “la somministrazione di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti è consentita, ai sensi dell’Art. 72 comma 2 TU 309/90, solo qualora il medico agisca effettivamente per finalità terapeutiche, praticando un trattamento prescritto ai sensi dell’Art. 43 TU 309/90 e coerente, secondo le conoscenze scientifiche del momento, con gli obiettivi clinici perseguiti”. Nei “Fatti” di Cass., sez. pen. VI, 4 dicembre 2019, n. 12198, gli Artt. 73 ed 83 TU 309/90 sono stati reputai applicabili perché il medico “aveva somministrato farmaci inseriti nella tabella II sezione B per finalità puramente estetiche, per una durata eccessiva e senza tener conto delle condizioni di salute del paziente”.
Ecco, nell’ottica del comma 2 Art. 72 TU 309/90, il ritorno e la tutela della ratio delle strette “necessità di cura”. Del pari, l’Art. 83 TU 309/90 impone tassativamente un “uso terapeutico” pianificato e rigoroso. In maniera analoga, Cass., sez. pen. III, 4 maggio 2004, n. 37863 asserisce che “per assistere e curare persone tossicodipendenti, il medico può prescrivere, ad uso terapeutico, medicinali contenenti sostanze stupefacenti, anche senza l’adozione di una terapia a scalare e per brevi periodi, purché possa dimostrarne rigorosamente la validità scientifica, essendo -in caso contrario- configurabile il delitto di cui all’Art. 83 TU 309/90”. A parere di chi scrive, rimane il problema di giuridificare la summenzionata “validità scientifica” della terapia, il che sarà compito primario del CTU, e non del Magistrato.
Cass., sez. pen. VI, 7 febbraio 2006, n. 10916 attenua, nella fattispecie delle cure palliative, il rigore dell’Art. 83 TU 309/90, in tanto in quanto essa mette in evidenza che “esula dalle previsioni dell’Art. 83 TU 309/90, che sanziona penalmente la prescrizione, da parte di esercente la professione medica, di sostanze stupefacenti ad uso non terapeutico, il caso in cui tali sostanze vengano prescritte nell’ambito della c.d. terapia del dolore, finalizzata a far meglio sopportare al paziente il dolore fisico derivante dalla malattia da cui egli sia affetto”. A parere di chi commenta, Cass., sez. pen. VI, 7 febbraio 2006, n. 10916 rappresenta un grande traguardo ai fini del trattamento del dolore nei malati terminali oncologici, per i quali, ex Art. 83 TU 309/90, non avrebbe comunque alcun senso parlare di “piano terapeutico”. La terapia analgesica, in oncologia, segue regole a sé stanti e non è assolutamente utile applicare tassativamente l’Art. 83 TU 309/90 alla compliance di farmaci scelti dall’operatore sanitario, che “tratta” e non “cura” durante la fase terminale di un tumore.
Viceversa, l’Art. 83 TU 309/90 è e rimane pienamente precettivo qualora il medico non intenda pervenire alla disintossicazione definitiva del tossicomane. P.e., Cass., sez. pen. VI, 1 giugno 2000, n. 1194 precisa che “la prescrizione, da parte di un medico, di sostanze stupefacenti ad un soggetto in stato di tossicodipendenza [senza un serio piano terapeutico a scalare, ndr] dà luogo alla configurabilità del reato di cui all’Art. 77 L. 685/1975 (ora Art. 83 TU 309/90), quando essa sia finalizzata non alla disassuefazione, e quindi al recupero del tossicodipendente, conformemente a quanto voluto dal Legislatore (il quale ha dettato all’uopo un’apposita disciplina), ma ad altri scopi, sia pure soggettivamente commendevoli, con la consapevolezza che la tossicodipendenza, mediante l’uso delle sostanze anzidette, viene mantenuta e, quindi, in qualche modo, alimentata”.
Nel caso in parola in Cass., sez. pen. IV,  1 giugno 2000, n. 1194, il medico, per ben due anni e senza un programma terapeutico scalare, “ha prescritto prodotti medicinali a base stupefacente ad un soggetto tossicodipendente al solo scopo di ottenere un effetto sedativo assimilabile a quello del metadone, con minor rischio [preventivato] di dipendenza e di overdose”. In buona sostanza, in Cass., sez. pen. IV, 1 giugno 2000, n. 1194, era precettivo l’Art. 83 TU 309/90, dunque l’Art. 73 TU 309/90, poiché mancava, da parte del medico,  il fine terapeutico della disassuefazione progressiva. L’operatore sanitario, per un biennio, non aveva fatto altro che scegliere il “male minore” di un farmaco psicotropo meno uncinante, ma senza una prospettiva di disintossicazione “a gradi”. Per approfondire ulteriormente il tema della legislazione in materia di stupefacenti, consigliamo il volume Stupefacenti – Manuale pratico operativo

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2. Giurisprudenza e responsabilità del farmacista nel TU 309/90


Ex Art. 68 TU 309/90 (Registri di entrata ed uscita, di lavorazione, di carico e scarico. Trasmissione di dati), “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque non ottempera alle norme sulla tenuta dei registri di entrata ed uscita, di carico e scarico e di lavorazione, nonché all’obbligo di trasmissione dei dati e di denuncia di cui agli Artt. da 60 a 67, è punito con l’arresto sino a due anni o con l’ammenda da euro 1.549 ad euro 25.822. Comma 1 bis: Qualora  le irregolarità riscontrate siano relative a violazioni della normativa regolamentare sulla tenuta dei registri di cui al comma 1, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 ad euro 1.500”.
In tema di “duplice binario” (penale/amministrativo) nell’Art. 68 TU 309/90, Cass., sez. pen. IV, 6 febbraio 2015, n. 9168 specifica che “è manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’Art. 68 TU 309/90, sollevata in riferimento agli Artt. 117 Cost e 6 CEDU, giacché il comma 1 ed il comma 1 bis del citato Art. 68 sanzionano condotte diverse, rilevanti in sede, rispettivamente, penale ed amministrativa, di talché non è configurabile alcuna violazione del principio giuridico del ne bis in idem, nel caso in cui la condanna penale intervenga successivamente all’applicazione della sanzione amministrativa”.
Analogamente, Cass., sez. pen. IV, 6 febbraio 2015, n. 9168 ribadisce che “non si viola il principio del ne bis in idem in caso di precedente condanna di natura amministrativa per la tenuta irregolare dei registri di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope e di una successiva pronuncia di responsabilità penale afferente agli stessi fatti, in quanto tra le due norme contemplate, rispettivamente, dal comma 1 e dal comma 1 bis del medesimo Art. 68 TU 309/90, permane una differenziazione sostanziale”. Sempre Cass., sez. pen. IV, 6 febbraio 2015, n. 9168 prosegue nel dichiarare legittimo il duplice binario “penale/amministrativo” presente nell’Art. 68 TU 309/90, ovverosia “le disposizioni di cui ai commi 1 e 1 bis Art. 68 TU 309/90 non configurano un concorso apparente di norme, il quale si verifica [solo] allorquando la medesima condotta criminosa risulta, solo in apparenza, riconducibile a più fattispecie di reato, ma, nella realtà, ne integra una sola. Le citate disposizioni sanzionano, invero,  fatti diversi, laddove la sanzione amministrativa è comminata per le sole violazioni formali riscontrate nella tenuta dei registri, mentre la pena è prevista nel caso in cui, a prescindere dalla sussistenza o meno della violazione formale, si riscontra la mancata corrispondenza tra giacenza contabile e giacenza reale. Né sussiste un rapporto di specialità, per aggiunta, tra la norma penale e la norma amministrativa, considerato che la mancata corrispondenza tra la quantità contabile e quella reale non presuppone necessariamente l’irregolarità formale della tenuta dei registri”.
Parimenti, pure Cass., sez. pen. VI, 14 aprile 2011, n. 17058 ribadisce la natura penalistica del comma 1 Art. 68 TU 309/90, ma tale differenziazione non reca alcunché di antinomico, in tanto in quanto l’oggetto è il medesimo, ma la tipologia delle sanzioni è diversa. Tuttavia, in entrambi i commi, la ratio rimane quella di reprimere, come asserisce Cass., sez. pen. VI, 14 aprile 2011, n. 17058, “la non corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale”.
Sempre in tema di Art. 68 TU 309/90, Cass., sez. pen. IV, 19 gennaio 2011, n. 8860 focalizza che “l’Art. 10 comma 1 L. 38/2010 [introducente il comma 1 bis Art. 68 TU 309/90] ha lasciato inalterata la natura di illecito penale delle condotte afferenti alla tenuta dei registri di entrata e di uscita di sostanze e preparazioni medicinali di natura stupefacente o psicotropa, di carico e di scarico e di lavorazione, nonché all’obbligo di trasmissione dei dati e di denunzia di cui agli Artt. da 60 a 67 TU 309/90, punibili con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, avendo depenalizzato unicamente, attraverso la previsione di cui alla lett. r) del predetto comma, le violazioni della normativa regolamentare, inerenti all’obbligo di tenere i registri secondo le indicate prescrizioni formali, conformemente a quanto ora indicato dai predetti modelli ministeriali”.
Di nuovo, in tema di tenuta dei registri da parte del farmacista, il comma 2 Art. 60 dispone che “i responsabili delle farmacie aperte al pubblico e delle farmacie ospedaliere nonché delle aziende autorizzate al commercio all’ingrosso riportano sul registro il movimento dei medicinali di cui alla tabella dei medicinali, sezioni A, B e C, secondo le modalità indicate al comma 1 e nel termine di 48 ore dalla dispensazione”. La perentorietà tassativa ed assoluta della registrazione ex comma 2 Art. 60 TU 309/90 è ribadita, nella Giurisprudenza di merito, da Tribunale Napoli, sezione IV, 21 gennaio 2011, ovvero “la disposizione di cui all’Art. 60 comma 2 TU 309/90 sanziona la violazione dell’obbligo di aggiornamento del registro [di entrata e uscita], dovendo intendersi per aggiornamento la contestuale registrazione, in modo cronologico e progressivo, di ogni movimento relativo all’acquisto o cessione di una determinata sostanza o medicinale rientrante nelle categorie previste [dal TU 309/90]. Tale obbligo sussiste nel momento stesso in cui viene effettuato il movimento, senza che possa ritenersi esistente un termine di tolleranza, essendo, peraltro, irrilevante l’effettiva ricostruibilità aliunde dell’entrata o dell’uscita di dette sostanze, così come la verifica postuma dell’assenza di abusi, trattandosi di contravvenzione punibile anche in caso di omissione colposa attinente ad inosservanze formali”
Dunque, Tribunale Napoli, sezione IV, 21 gennaio 2011 impone la massima severità giurisprudenziale con attinenza al registro di entrata/uscita di cui all’Art. 60 TU 309/90. Non esistono, come specifica la summenzionata Sentenza, “termini di tolleranza”, nemmeno meramente formali. Similmente, l’Art. 64 TU 309/90 e l’Art. 68 TU 309/90 sanzionano con implacabile severità, come specificato da Cass., sez. pen.  IV, 4 novembre 2008, n. 15084, “l’omissione della vidimazione annuale del registro di carico e scarico delle specialità medicinali con effetti stupefacenti o psicotropi”. Come si nota, gli Artt. dal 60 al 68 TU 309/90 prevedono, per il farmacista, un regime di “tolleranza zero”.
Tuttavia, Tribunale Milano, Ordinanza 5 aprile 2008, in materia di registro di carico/scarico, riconosce che il farmacista può commettere “irregolarità formali senza alcun rilievo sostanziale”. In tal caso, la relativa sanzione sarà meno pesante rispetto a quella comminabile a fronte di “irregolarità sostanziali”. Parimenti, pure Cass., sez. pen. VI, 17 gennaio 2008, n. 6066 distingue tra la natura “contravventiva” delle “irregolarità formali” e quella “delittuosa” delle “irregolarità sostanziali” nella tenuta del registro di carico/scarico dei medicinali a base di sostanze stupefacenti. Ecco, dunque, il ritorno della distinzione tra il rilievo penale del comma 1 Art. 68 TU 309/90 e quello amministrativo del comma 1 bis Art. 68 TU 309/90.
Più severa e perentoria è Cass., sez. pen. IV, 22 settembre 2000, n. 3453, a norma della quale “sussiste il reato di cui all’Art. 60 TU 309/90, relativo alla tenuta del registro delle sostanze stupefacenti o psicotrope, allorché vengano utilizzate pagine diverse per annotare le quantità in giacenza e quelle in corso di validità, atteso che tale disposizione fa obbligo di annotare le dette sostanze secondo un’unica progressione numerica”. Pertanto, Cass., sez. pen. IV, 22 settembre 2000, n. 3453 asserisce, una volta ancora, la tassatività assoluta delle prescrizioni ex Art. 60 TU 309/90 sulla tenuta del registro di entrata/uscita da parte del farmacista. In buona sostanza, ogni modo, Cass., sez. pen. IV, 20 gennaio 1995 rimarca che “la norma dell’Art. 62 TU 309/90 ha come fine il controllo dei prodotti stupefacenti e l’impedimento della loro circolazione clandestina”; il che giustifica la massima intransigenza degli Artt. dal 60 al 68 TU 309/90.

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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