1. Il modello a rete – 2. La configurabilità del modello all’interno del sistema Stato-nazione – 3. Le strutture a rete nel processo di integrazione sovranazionale: lo spazio giuridico globale – 3.1. Il processo di integrazione comunitaria – 4. Conclusioni: i vantaggi del sistema a rete e le prospettive di sviluppo.
1. Il modello a rete
Lo sviluppo di studi comparati sulle strutture organizzative[1] che connotano le principali democrazie occidentali, da una parte, e l’analisi delle forme di interazione/integrazione che, dall’altra, coinvolgono (oggi più che in passato) i sistemi di governo nazionali, hanno posto in evidenza una serie di modelli strutturali accomunati dalla presenza di un elevato grado di interazione tra i soggetti ivi operanti (regolatori e regolati).
In particolare, riscuotono successo quelle tipologie operative in cui l’ideologia organizzativa viene trasposta e realizzata in una struttura articolata di legami e relazioni, generalmente decentrata in singole unità dotate di forte autonomia, aventi possibilità e capacità di flessibile adattamento alle mutevoli condizioni esterne, in cui, inoltre, il grado di coinvolgimento e partecipazione dei singoli utenti è assai elevato.
Nel concreto, e con specifico riferimento all’interazione tra uffici pubblici[3], sono state individuate cinque forme basate su questo modello, molto diverse tra loro ma caratterizzate dalla comune appartenenza ad entità o apparati differenti e dalla sostanziale necessarietà di reciproca collaborazione o interdipendenza[4]:
– modello reticolare dell’ausilio funzionale. In questo caso un ufficio nazionale opera in funzione servente o strumentale di quello comunitario.
– modello reticolare servente. Questo presenta un grado di interazione maggiore rispetto al precedente, poiché in esso un ufficio (comunitario) si avvale di un altro (nazionale) per il compimento di attività di propria spettanza, immedesimandosi nelle strutture di quello.
– Modello reticolare strumentale. In esso un ufficio nazionale esercita funzioni proprie, le cui finalità tuttavia si sovrappongono a quelle proprie dell’Unione europea, costituendo una legalità di secondo grado.
– Modello reticolare paritario. In tal caso invece le norme, i fini e gli strumenti operativi sono quelli propri di ciascun ufficio, che però, venendo a coincidere con quelli di altri uffici, richiedono collaborazione per agevolarne lo svolgimento.
– Modello reticolare caratterizzante il sistema europeo delle banche centrali. Quest’ultima ipotesi fa riferimento all’esperienza delle banche centrali, aventi propri fini e proprio statuto, ma non propria organizzazione, svolgendo un ruolo essenziale in tal senso gli organi della Banca centrale europea.
Se questi costituiscono gli esempi più frequenti dell’interazione di cui si tratta, è opportuno però offrire un panorama complessivo di questa, che ne consideri l’applicabilità dapprima nel contesto nazionale e poi, estendendo il campo di ricerca, si soffermi sugli sviluppi applicativi a livello sovranazionale.
2. La configurabilità del modello all’interno del sistema Stato-nazione
In ragione delle peculiarità che lo contraddistinguono, il modello reticolare non trova corrispondeza nella struttura statale tradizionale, benchè questa possa farvi affidamento per la gestazione di specifici settori di policy, quali, esemplificando il caso italiano, il servizio sanitario nazionale o scolastico.
Le ragioni dell’incompatibilità sono presto spiegate[5]: da una parte si pone un sistema aperto, nel quale, come specificato, la somma delle interazioni che contribuisce a configurare il processo decisionale recepisce il contributo che, volta per volta, i soggetti volessero dare. Al contrario, sul versante opposto, vi è un sistema, quello statale, che nella sua accezione tradizionale prescinde dalla configurabilità di centri decisionali diversi da quelli che la regola giuridica, e dunque il sistema normativo (e dunque, ancora, un sistema sostanzialmente chiuso) abbia contribuito a determinare.
In secondo luogo, ma non meno importante, deve considerarsi che un sistema statale che necessiti di accentrare lo svolgimento di competenze analoghe, le preferisca strutturate in un sistema gerarchico, in cui il processo si svolga verticalmente, ovvero, in alternativa, secondo un sistema di competenze trasversali (esemplificativo a tale proposito, sempre con riguardo alla situazione italiana, potrebbe essere il riferimento alla distinzione tra direzioni generali e dipartimenti, così come introdotta dalla legge n. 400 del 1988 e successivamente ampliata dalla legge n. 59 del 1997) che tuttavia confidino in un meccanismo congiunto – e, soprattutto, unitario – che le riunisca.
Ebbene, se queste sono le premesse, emblematico appare il caso dell’amministrazione statunitense, che ragioni di tipo storico e morfologico contribuiscono a configurare come modello statale che tuttavia abbracci il paradigma della rete, costruendo sulla base di esso la ricerca della massima efficienza degli apparati.
Tale è infatti il caso di un’amministrazione che non solo (per quanto riguarda gli aspetti storici) non ha conosciuto un periodo di assolutismo[6], come è invece accaduto alle rispettive realtà politiche europee, venendo meno le ragioni che, in queste, avevano portato a ragionare in ordine alla necessarietà di una distinzione netta tra poteri, che non ingenerasse indebiti sconfinamenti nelle rispettive aree di attività (quella legislativa, giuridiziaria ed esecutiva). Ma che, anche, dovendo offrire una risposta che fosse adeguata alle esigenze di un sistema economico in forte crescita, cui si accompagnava la domanda di servizi qualitativamente competitivi da parte dell’utenza, forte delle riflessioni di matrice tayloristica sulle esigenze di un apparato burocratico di qualità ed, infine, soggetto ad un grado di ingerenza degli apparati politici elevato, finiva per strutturare la propria organizzazione attraverso il decentramento di funzioni[7].
Se dunque gli osservatori descrivono con ammirazione la parabola riformatrice che, a partire dall’elaborazione del programma di matrice thatcheriana Next Steps, avviò nel Regno Unito il processo di agencification, non è meno rilevante il fatto che a questo sistema gli Stati Uniti avessero già da tempo fatto ricorso per strutturare il proprio decisionismo amministrativo. All’apparente frammentazione di funzioni risponde dunque, in realtà, un complesso sistema reticolare che contribuisce, attraverso lo sviluppo di dinamiche decisionali decentrate, non solo a mantenere alto il livello di efficienza degli apparati, ma anche a consentire agli apparati politici di conservare il controllo sull’amministrazione[8].
3. Le strutture a rete nel processo di integrazione sovranazionale: lo spazio giuridico globale.
Se dunque il modello a rete può trovare applicazione all’interno dei singoli Stati con le precisazioni e limitazioni di cui s’è dato conto, il contesto nel quale questo ha trovato la sua piena realizzazione, quale sviluppo di un nuovo modo di concepire i rapporti di potere, è sicuramente quello sovranazionale.
Due, in particolare, le esemplificazioni da farsi. La prima, di carattere generale, afferente al “sistema giuridico globale” cui fa riferimento Cassese per definire ed inquadrare giuridicamente le vicende ai più note come “globalizzazione”, cui, appunto, verrebbero a legarsi le duttili strutture di un ordinamento regolatorio, presentante le peculiarità proprie del sistema a rete[9].
Un ordinamento che cioè, caratterizzandosi per una struttura decentrata (ed anzi, priva di un’autorità sovraordinata e di un’organizzazione centrale) e traendo la propria legittimazione non da logiche democratiche bensì dal diritto, non possa che accrescere le proprie dimensioni in virtù dello sviluppo dei sistemi complessi (quelli nazionali in particolare) che riunisce e rende complementari.
La seconda, più specifica, che farebbe riferimento al sistema di rapporti giuridici europeo, nel quale la delega di sovranità dei singoli Stati si rende evidente nel momento in cui, attraverso l’esercizio di attività normativa, gli organi comunitari comprimono quella dei singoli decisori nazionali, ma, al tempo stesso, configurano un sistema integrato di decisioni.
3.1. Il processo di integrazione comunitaria.
Ed è appunto il fenomeno dell’integrazione comunitaria che si presta ad essere letto ed interpretato alla luce del modello di cui s’è detto finora. Com’è noto infatti, venendo quest’ultimo a comportare una delega crescente di poteri da parte degli Stati nei confronti dell’Unione, ma restando al tempo stesso incentrato sul principio del decentramento, dovrebbe giungere a configurare, nelle intenzioni degli europeisti, un sistema socio-politico-economico integrato che si avvalga del coordinamento tra sistemi complessi (quelli nazionali) ma sviluppi il processo decisionale in modo integrato.
A tale proposito un esempio può essere tratto dall’esame della normativa europea sugli alimenti introdotta dal regolamento europeo n. 178 del 2002. In particolare questa, non solo dettava i principi cardine in materia di alimenti cui i singoli Stati avrebbero dovuto attenersi, ma creava un sistema reticolare di competenze che coinvolgevano le Autorità indipendenti dei singoli stati, questi stessi e, a livello europeo, un’organismo indipente che, in concerto con la Commissione, gestisce il sistema dei controlli e vigila sulla corretta applicazione della normativa[10].
L’ipotesi allora è quella di una possibile integrazione tra più sistemi reticolari posti a diversi livelli che, interagendo tra loro attraverso lo scambio di flussi informativi e lo svolgimento di attività esecutive, contribuiscano a determinare una rete globale di rapporti.
4. Conclusioni: i vantaggi del sistema a rete e le prospettive di sviluppo.
In conclusione, è apparso con evidenza come la struttura reticolare, oltre ad accompagnare lo sviluppo integrazionista che le linee politiche internazionali degli ultimi anni hanno posto in luce e la globalizzazione reso evidente, si presta a fornire una chiave di lettura adeguata all’amministratore pubblico che cerchi di coniugare i concetti di decentramento ed efficienza, di pluralismo decisionale e qualità.
Ha rappresentato, in altre parole, il passaggio dalla regolamentazione (cui si lega il modello di citizenship) alla regolazione, cui sottendono le ben più rilevanti prospettive di citizenry[11], e di ricerca di equilibri in grado di coniugare i diversi centri di interesse in un processo decisionale non più e non solo volto a relegare il regolato allo scalino più basso della gerarchia dei decisori, ma, al contrario, determinato a coinvolgerne le prospettive.
Risulta allora evidente, in conclusione, che modelli concettuali quali il new public management o anche (e soprattutto) la governance[12], in tanto si dimostreranno efficaci in quanto sapranno coniugare le prospettive di efficienza che predicano con l’implementazione di un modello reticolare che sappia convogliare le competenze e spingere l’accelleratore delle riforme sull’integrazione di queste che oggi, più che mai, sono in grado di determinare il successo o l’insuccesso delle riforme dell’amministrazione.
[1] Il concetto di struttura organizzativa fa riferimento alla suddivisione schematica, per ogni unità di addetto, di ufficio e di reparto di produzione, di funzioni e mansioni interconnesse sotto il profilo degli obiettivi da raggiungere.
[2] Il concetto di incrementalismo è richiamato da Righettini M.S., Elementi di scienza dell’amministrazione, Roma, 2005, pag. 136: “…l’incrementalismo è, pertanto, sia uno stile decisionale, cioè il modo in cui i singoli attori affrontano le decisioni puntando all’adattamento al contesto, alla mediazione e al compromesso, sia uno stile politico, cioè un sistema di produzione di politiche che si caratterizza per modifiche al margine. Le modifiche incrementali di una politica pubblica sono quelle che prendono atto dell’esistenza di un bagaglio di decisioni e mediazioni già acquisite e considerate un punto di partenza ineludibile…”.
[3] Per una definizione di ufficio si veda, tra gli altri, Caringella F., Il diritto amministrativo, Napoli, 2005, pag. 242: “Secondo la dottrina dominante…l’ufficio (es. Ministero o Prefettura) è il complesso organizzativo di sfere di competenze, persone fisiche, beni materiali e mezzi rivolto all’espletamento di un’attività strumentale – conoscitiva, preparatoria, esecutiva – tale da consentire all’organo (Ministro o Prefetto) di porre in essere i provvedimenti per la realizzazione dei fini istituzionali dell’ente”.
[4] Cfr. Cassese S., Le reti come figura organizzativa della collaborazione, in Lo spazio giuridico globale, Roma – Bari, 2003, pagg. 21 ss.
[5] La problematica è approfondita da Cassese S., Le reti come figura organizzativa della collaborazione, in Lo spazio giuridico globale, Roma – Bari, 2003, pagg. 21 ss.
[6] Interessanti a tale proposito sono le osservazioni svolte da Freddi G., L’analisi comparata di sistemi burocratici pubblici, Milano, 1968, che, essendo interessato alla ricerca delle variabili strutturali e culturali atte a condizionare lo svolgimento delle dinamiche interazionali tra potere politico e burocrazia, derivava dal maggiore o minore grado di “cultura politica” delle amministrazioni il più alto o basso grado di ingerenza esercitabile dagli organismi politici su queste. Ebbene, con specifico riferimento alla democrazia statunitense, si evidenziava come avesse svolto un ruolo determinante in tal senso il percorso storico da questa compiuto, tale cioè da non interessarla mai con fenomeni di assolutismo e che dunque, secondo l’autore, aveva configurato in ultima analisi per un modello burocratico facilmente manovrabile dal potere politico. Da qui la conseguenza più interessante: ossia lo sviluppo progressivo ma costante di un sistema burocratico decentrato tipicamente reticolare.
[7] V. Gualmini E., L’amministrazione nelle democrazie contemporanee, Roma-Bari, 2003, pag. 32: L’amministrazione centrale statunitense si è storicamente contraddistinta, rispetto agli apparati pubblici europei, per l’elevato grado di frammentazione tra le diverse articolazioni organizzative…Le specificità del caso americano risiedono proprio nel modello di organizzazione per agenzie, dotate di autonomia funzionale e gestionale, collegate più o meno direttamente a strutture dipartimentali relativamente snelle che delegano loro l’implementazione delle politiche e la gestione dei servizi pubblici”.
[8] Ulteriore conferma in tal senso parrebbe trarsi dallo studio dei c.d. Quangos (Quasi non governamental organisations), ovvero le organizzazioni non governative, che non fanno parte dell’organizzazione dipartimentale in senso stretto (come le agenzie), ma che possono però esercitare poteri pubblici. Questo spiega perché, pur beneficiando tali organismi di un regime giuridico di diritto privato (dunque maggiormente votato alla flessibilità) il personale di vertice resta di nomina politica ed è chiamato a rispondere dei risultati raggiunti.
[9] Cfr. Cassese S., Lo spazio giuridico globale, in Lo spazio giuridico globale, Roma – Bari, 2003, pagg. 3 ss, ove si identifica lo spazio giuridico globale quale sovraordinamento degli ordinamenti, caratterizzato dall’assenza di un’autorità centrale che chiuda il sistema di competenze, dall’assenza di un’organizzazione centrale (e dunque da un’elevanta frammentazione delle competente), legittimato sulla base del diritto ed autoalimentato dall’arbitraggio, o shopping trip, sulle cui conseguenze in particolare si sofferma l’autore: “Gli arbitraggi non vi sarebbero se non vi fosse uno spazio giuridico globale, con un ius commune che consente la mobilità tra regimi giuridici differenti. Essi hanno un gran numero di conseguenze. Spingono a mettere a confronto leggi, comportamenti dei poteri pubblici, fori giudiziari…costringono i regolatori nazionali a tener conto della normativa di altri paesi per non aumentare o ridurre i vantaggi o gli svantaggi competitivi per le imprese operanti su uno stesso mercato nazionale…gli arbitraggi implicano che un sovrano (lo Stato nazionale) abbia ceduto a privati il potere di scegliere il diritto in base al quale operare. Ma implicano anche che tale cessione di sovranità avvenga secondo criteri che sono definiti dall’ordinamento maggiore, quello globale: è questo che definisce i criteri di apertura laterale dei diritti nazionali e di mobilità dei soggetti”.
[10] Un’analisi dettagliata della disciplina è offerta da Cassese S., in Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2003, pagg. ss. Da notarsi come nella stessa opera si esamini anche la disciplina sulle telecomunicazioni, oggetto di una direttiva comunitaria del 2002, che introduce anch’essa un sistema simile.
[11] Si veda, in proposito, Righettini M.S., Elementi di scienza dell’amministrazione, Roma, 2005, pag. 136: “L’accrescimento della legittimazione degli apparati pubblici fortemente orientati all’erogazione dei servizi alle utenze non dovrebbe più fondarsi su un modello di relazioni ispirato alla cityzenship (titolarità di diritti e doveri degli utenti come mebri di una comunità), ma avere come riferimento un modello di relazioni basato sulla citizenry (esercizio e tutela attiva dei diritti da parte degli utenti)”.
[12] Questa in particolare sembra aver colto la necessità di un sistema a rete che sia in grado di garantirne l’applicazione. Vi fa riferimento, richiamando le riflessioni di un altro autore (Predieri A., L’erompere delle autorità amministrative indipendenti, Firenze, 1997), nei suoi scritti Righettini M.S., Elementi di scienza dell’amministrazione, Roma, 2005, pag. 237: “La governance è raffigurata come un complesso sistema di direzione, ovvero di regolazione, risultante dall’insieme di autonomi subsistemi di sviluppo e di direzione delle politiche pubbliche, definiti networks, che conferiscono allo Stato non più una struttura piramidale ma ad arcipelago”.
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