Il negozio giuridico romano e la ricerca della certezza

La nascita del notariato

INDICE:

Chiarisci i concetti essenziali su questo e altri argomenti con il “Compendio di diritto civile” di Anna Costagliola e Lucia Nacciarone, a cura di Marco Zincani

L’Età classica

            Il negozio giuridico romano arcaico si fondava sul valore costitutivo del rito orale, ma sviluppandosi l’economia e il commercio, quindi l’attività negoziale in genere, venne a introdursi l’uso del documento con funzione probatoria, anche se il negozio continuò a realizzarsi oralmente.

Il documento originario romano era costituito da due o più tavolette cerate riunite insieme a costituire dittici o politici. Sulle tavolette il documento viene in genere scritto due volte, dando luogo ad una scrittura interna sigillata ed una esterna accessibile; solo in epoca tarda verrà introdotto l’uso greco del papiro.

La stilizzazione potrà essere oggettiva, in tal caso si parlerà di testatio, oppure soggettiva, in questo caso parleremo di chirographum.

            La testatio è una descrizione in terza persona del negozio avvenuto, in cui le descrizioni non vengono sottoscritte né dalle parti né dai testimoni, i quali devono esclusivamente assistere al negozio e apporre i propri sigilli alla chiusura delle tavolette cerate. In caso di contestazione riferiranno su quanto da loro visto e controlleranno l’inegrità dei propri sigilli prima dell’apertura.

Il chirographum è una dichiarazione in prima persona. Anche qui non è prevista la sottoscrizione che, peraltro entra nei documenti romani di ambiente provinciale.

In età romano-classica il documento ha valore esclusivamente probatorio, senza per questo essere preminente rispetto agli altri mezzi di prova. Il documento sviluppa le sue funzioni passando da un valore probatorio ad uno costitutivo come testimoniato dall’evolversi del testamento per aes et libram,  forma tipica del diritto classico.

La nuncupatio si riduce progressivamente alla presentazione delle tabulae, mentre le disposizioni concrete racchiuse nelle tabulae non vengono conosciute fino all’apertura del documento.

Il testamento ha tuttavia valore sin dalla nuncupatio ed in caso di smarrimento se ne può tentare la prova, anche se, con il ridursi della parte orale ad un rito, il documento acquista peso sempre maggiore, fino a costituire unica base per la bonorum possessio non esistendo altro modo per conoscere la volontà del testatore.

            Gli scrittori  dei documenti, non richiedendo questi particolari conoscenze tecniche, potevano essere per i ricchi, schiavi o liberti della loro “familia”, per i restanti, maestri di lettere, copisti o notarii. I notarii hanno funzione di stenografi, quindi le loro tavole non possono bastare a fini giuridici in quanto non scritte a chiare lettere.

Può capitare che persona pressata dalle circostanze detti un documento giuridico ad uno stenografo, in tal caso esso sarà privo di valore se non trascritto in esteso. (Caso del testamento militare).

Talvolta per documenti particolarmente complessi si fa appello addirittura a giuristi, ma per lo più gli scribi a cui si ricorre sono soltanto dei pratici, senza profonde conoscenze giuridiche.

Con il tempo la tecnica si affina e parallelamente  opera la specializzazione, la prima categoria a specializzarsi è quella dei testamentarii. Questo è dovuto alla profonda tradizione romana in cui ogni “pater familias”, di condizioni appena modeste, disponesse riguardo i propri beni e la propria sepoltura.

Tuttavia le numerosissime disposizioni testamentarie possibili e i complicati riti di cui occorreva dare conto nel testamento, ne rendevano la stesura estremamente difficile. Ecco soccorrere l’uso di formulari, uno dei quali scritto in latino su un papiro ritrovato in Egitto.

Fino alla Constitutio Anoniniana del 212 d. C., in Egitto vi furono pochissimi romani essenzialmente soldati e funzionari di provenienza occidentale. Lo stesso formulario adeguandosi al diritto di Roma mostra la propria origine occidentale risalente al II secolo d. C..

La prima clausola prevede l’istituzione di erede universale di tutti i figli nati al testatore dalla moglie fino al momento della sua morte, nonché l’eventuale accrescimento per il caso che qualche figlio sia pre-morto.

La seconda clausola riguarda le fidecommissioni libertates: esistendo la lex Fufia Canina che limita le manomissioni testamentarie ad una percentuale dei propri schiavi, si prega l’erede di manomettere coloro che il testatore non può liberare a causa del numero dei fuggitivi. Segue una complessa clausola di conferma delle disposizioni compiute dal testatore fuori del testamento.

Infine si hanno le clausole di dolo e della mancipatio familiae. Riguardo al dolo esso ha valore puramente augurale in quanto esprime il desiderio che dal testamento restino lontane le frodi e le controversie giudiziarie.

La mancipatio familiae registra il passaggio da uno stadio in cui tutto è orale e solenne, sia il rito librale, nel quale si dà atto dell’avvenuto rito della mancipatio, che la nuncupatio, presentazione effettiva delle disposizioni, ad un altro in cui il rito librale ha finito per sostituire lo stesso rito della mancipatio, mentre la nuncupatio si è  ridotta alla sola presentazione solenne delle tabulae. Tale clausola sparirà tra il III e IV secolo D.C. essendo ormai svuotata di ogni significato.

Un altro formulario riguarda la fiducia cum creditae, un tipo di garanzia reale risalente nel tempo. La formula, scritta su una tavoletta di bronzo trovata alle foci del Guadalquivir, è attribuibile al I – II secolo D.C. ed è chiamata formula Baetica, si presenta palesemente divisa in due parti.

La prima descrive il trasferimento di proprietà da attuarsi mediante la mancipatio, a titolo gratuito e a fine di garanzia, in riferimento a due possibili oggetti che possono essere un fondo o uno schiavo. La seconda enuncia l’accordo tra debitore e creditore, col dichiarare che quel fondo o quello schiavo garantiscono un credito che può derivare da mutuo o da garanzia personale.

In caso d’insolvenza si regola il diritto del creditore di vendere gli oggetti per rifarsi sul prezzo. Dovevano seguire altre clausole, su un’altra tavoletta che è andata perduta, per disciplinare nuovi aspetti.

Al sorgere di un notariato in Roma ha contribuito l’influenza esercitata dai popoli, specialmente orientali, che Roma andava assorbendo nella sua espansione. Prima il crescere dei contatti commerciali tra romani e peregrini, poi l’estensione della cittadinanza romana nel 212 a tutti gli abitanti dell’impero, conduce da un lato a porre le contrattazioni sotto la protezione dell’autorità romana, mostrando un ossequio formale, dall’altro a continuare la vita giuridica secondo la propria mentalità e la propria tradizione.

Ma il punto di maggiore incomprensione resta il valore da attribuire al documento che i provinciali ritengono assoluto, mentre gli imperatori continuano a  rispondere che esso è relativo dovendosi guardare alla realtà dei fatti. Ormai nel III secolo si è formata una classe professionale di redattori di documenti che prendono il nome di tabelliones.

Dal Dominato all’Impero Romano d’Oriente

Col Dominato avviene un cambiamento degli istituti e conseguentemente del valore semantico delle parole che li indicano. I notarii, aventi durante il principato la funzione di stenografi , diventano segretari di alte personalità. A partire da Aureliano, acquistano l’incarico di cancellieri imperiali perdendo completamente la funzione originaria.

I notarii al servizio dell’imperatore sono organizzati in una schola, una delle più importanti del palazzo. Alla loro testa c’è il prinmicerius, avente il compito di tenere la lista delle unità militari e delle principali cariche dello Stato; è considerato superiore ai proconsoli, mentre viene loro parificato il secundicerius.

            Seguono i notarii et tribuni, parificati ai vicarii, e i domestici et notarii, parificati ai consoli.  Si tratta pur sempre di alti funzionari che compongono la segreteria generale dell’Imperatore, con il compito principale di redigere i verbali del consiglio imperiale.

I notarii compongono le segreterie dei prefetti del pretorio e dei vicari imperiali. Le segreterie di rango inferiore sono composte dagli exceptores, anch’essi precedentemente stenografi privati.

In tale senso l’exceptor soppiantò, a partire dal III secolo, la parola “notarius” finchè, durante il dominato, venne perdendo il significato originario acquistando il valore di impiegato pubblico di rango modesto con funzione principale di verbalizzazione.

Così si trovano exceptores presso le più diverse magistrature e autorità militari ed anche al servizio dei municipi per la redazione dei “gesta municipalia”, come è indicato nei papiri ravennati. Possono essere organizzati in scholae.

Anche la Chiesa, a partire dal III secolo, ha i propri notarii con funzione di stenografi. La loro comparsa è da ricollegarsi ai processi dei martiri, quando gli atti dei processi dovevano essere stenografati per le esigenze della Chiesa e non sempre, se non pagando alti prezzi, potevano ottenersi copie dagli stenografi dei tribunali.

Con la pace religiosa, contemporaneamente a quanto avviene nell’ambito imperiale, la parola passa a indicare i segretari presso le principali chiese e monasteri.

Tra essi spiccano i notarii della Chiesa romana e quelli della Chiesa ravennate, anche se non raggiungono il rango e i compiti dei notarii imperiali, nonostante che qualche volta abbiano affidati degli importanti incarichi. Per altro, i notarii della Chiesa permangono e si rafforzano nell’Alto Medioevo in contrapposizione a quelli dei signori feudali.

Sia i notarii laici che ecclesiastici possono avere redatto documenti negoziali, specialmente se rientranti nei loro interessi di ufficio. Quanto detto vale specialmente per i secondi, se si pensa alla tendenza naturale della Chiesa di ricondurre nel proprio ambito l’attività negoziale del clero.

A redigere i documenti nell’interesse privato sono i tabelliones, sebbene in una costituzione di Leone del 472 viene utilizzato il termine di notarius, il quale però è inteso nel senso greco di tabellio. Nel III secolo, a sostituire i notarii nella redazione privata di documenti furono i tabelliones, i quali tuttavia non poterono, a partire da Diocleziano, sottrarsi a una progressiva burocratizzazione.

I “tabellioni” organizzati in corporazioni si trovarono in un delicato rapporto con la superiore categoria dei “curiali” anch’essa gerarchizzata e cementata. Il problema venne già affrontato da Costantino nel 316 con una legge di cui rimangono due frammenti significativamente contraddittori.

Nel primo a tutti i decurioni è vietato di esercitare l’ufficio di tabellione, in cambio a tutti i “tabellioni” invitati a far parte della Curia non è permesso di scusarsi. Nel secondo si prevede il caso dei “decurioni tabellioni” che, accusati di falsità possano essere sottoposti a tortura, perdendo la dignità della Curia, ma continuando a subirne gli aggravi riguardo gli oneri fiscali.

Questa contraddizione è dovuta a due opposte esigenze : quella della chiusura delle categorie professionali e quella del vantaggio finanziario, per le esauste casse dello stato, nel tassare maggiormente una categoria benestante come quella dei notai.

Il benessere economico di questa corporazione è attestato per l’ Occidente dai papiri ravennati, nei quali si può notare un rapporto di concorrenza fra tabelliones e i curiali. Mentre per l’Oriente, nel quale la situazione è economicamente e giuridicamente migliore, dal grande numero di papiri, prevalentemente tabellionici, provenienti dall’Egitto.

Una ulteriore regolamentazione della funzione del tabellio si ebbe tra Leone ed Anastasio, al fine di coinvolgere nella responsabilità derivante da negozi illeciti il  “tabellio” stesso. Il tabellione era ritenuto corresponsabile nel caso di registrazione di traffici di eunuchi, alienazione di beni ecclesiastici, cessione di beni per ottenere protezione.

Questo potere-dovere di controllo sulla negoziazione privata venne accresciuto dall’imposizione di vigilare, sotto pesante sanzione pecuniaria, che l’insinuatio degli atti per cui è obbligatoria avvenga secondo norme di legge. Così avviene che sia il tabellione che il documento non sono più strettamente privati, ma neanche pubblici.

Con la “Constitutio Anoniniana” e il conseguente assorbimento dei provinciali nell’ordinamento romano, si ha una sempre maggiore incidenza della documentazione scritta rispetto alla negoziazione orale.

Parallelamente acquista una efficacia probatoria superiore agli altri mezzi, al che si oppongono gli imperatori, asserendo la validità di qualsiasi mezzo di prova idoneo. Tale resistenza cessa con il dominato, quando prevale la necessità della certezza per fattori politici ed economici.

Già Costantino impone la redazione scritta per alcuni negozi assurgendola a requisito formale. Con una prima legge subordina la validità della donazione al concorso di tre requisiti: atto scritto, traditio solenne advocata vicinitate, allegazione nei gesta municipalia.

 Con una seconda legge disciplina la vendita degli immobili, specialmente dei fondi rustici, stabilendo i requisiti del compimento solenne del negozio dinanzi ai vicini e della inspectio censualis e imponendo la redazione scritta.

La sempre maggiore efficacia probatoria del documento scritto determina due successivi diversi atteggiamenti. Dapprima il documento ha forza probatoria vincolante, in quanto alla parte contro cui viene diretto non resta altro che sottostare alla sua efficacia o dimostrarne la falsità. In un secondo tempo l’efficacia probatoria del documento viene attenuata, con l’imposizione di autenticarne il valore.

L’imponere fidem al documento si otterrà mediante collazione con altri scritti della persona che ha redatto il documento, con l’adduzione di almeno tre testimoni, rispetto ai consueti cinque documenti orali, o con la esibizione dell’insinuatia nei gesta che lo ha reso di dominio pubblico. Una legge di Giustiniano ammette come sufficiente ad attestare l’autenticità del documento la testimonianza del tabellio.

Questi principi vengono raccolti e ampliati dalla regolamentazione giustinianea, ma essi sono tali da scoraggiare il documento strettamente privato, nel quale non partecipano testimoni. Il testamento olografo ammesso per l’Occidente non ha fortuna ed è rifiutato da Giustiniano.

In tale situazione ha un enorme sviluppo il documento privato con l’intervento dei testimoni,  i quali appongono la propria firma di seguito a quella delle parti, garantendo l’autenticità dell’atto. Maggiore garanzia, quasi assoluta, lo dà il documento pubblico che si giova delle magistrature municipali.

L’insinuatio nei gesta del documento privato non avviene con la semplice registrazione dell’atto, bensì se ne dà lettura davanti all’autorità competente, quindi, si richiesta del destinatario,  viene riconosciuto dall’emittente e di tutto l’iter si redige processo verbale da inserire nei “gesta”. Successivamente ci si fa rilasciare copia autenticata che costituirà un documento pubblico.

Se a questo procedimento era obbligatorio ricorrere per i negozi che pur non essendo l’insinuatio ugualmente li si intendesse registrare, per quei negozi, quali le donazioni, in cui essa era obbligatoria si poteva procedere altrimenti, compiendo le dichiarazioni negoziali direttamente innanzi all’autorità affinché ne fosse fatta immediata verbalizzazione.

Tale forma abbreviata di pubblicità era ovvia per i negozi, quali adozione o manomissione, che implicassero la partecipazione stessa dell’autorità. Anche di questi era possibile ottenersi copia autentica, verificandosi in tal modo quanto detto sopra, circa la concorrenza fra curiali e tabellioni.

Un esempio di negozio in cui l’insinuatio nei gesta sia obbligatoria è la donazione di Odoacre, datata 489, in essa il re elargisce al suo comes domesticorum Pierio alcuni fondi posti nel siracusano. Il primo atto è l’epistola della donazione regia redatta da Marciano e sottoscritta da Andromaco, di essa è richiesta, da parte dei rappresentanti di Pierio, l’insinuatio nei gesta municipalia di Ravenna.

A tal fine si dà lettura dell’epistola e si manda una commissione da Andromaco per riconoscerne l’autenticità. Redatto il processo verbale se ne rilascia copia autenticata ai rappresentanti di Pierio, che partono per Siracusa dove procedono alla traditio sui singoli fondi alla presenza di un rappresentante della curia municipale. Quanto avvenuto viene verbalizzato nei gesta siracusani, inserendo gli stessi gesta ravennati, mentre copia autentica è rilasciata ai rappresentanti che ripartono per Ravenna.

Altro esempio d’insinuatio nei gesta viene da un papiro ravennate contenente una serie di aperture testamentarie che vanno dal 474 in poi. Le singole aperture sono avvenute ciascuna a suo tempo innanzi alla curia municipale e dopo la lettura se ne è redatto verbale nei gesta municipalia.

Nella seconda metà del VI secolo la Chiesa di Ravenna, a cui favore quei testamenti prevedevano disposizioni, chiede una complessiva copia autentica delle relative aperture. Questo a motivo della necessità di riordinare il proprio archivio, dopo le devastazioni dovute alla guerra gotica, un exceptor prepara la copia ed è questa che giunge fino a noi.

Infine esiste il caso di un negozio che si forma addirittura davanti alla Curia. Una donna chiede per iscritto la nomina di un tutore ai figli, i curiali le fanno riconoscere l’autenticità della richiesta, quindi procedono alla nomina del tutore che presenta un fideiussore, il tutto viene verbalizzato nei gesta.

Tra il documento strettamente privato, d’incerta validità, e il documento curiale, di complessa realizzazione s’inserisce il documento tabellionico che, essendo publice confectum, offre maggiore garanzia senza richiedere l’intervento dell’autorità.

I documenti tabellonici occidentali, conservati nei papiri ravennati, risalgono al VI-VII secolo, mentre per la parte orientale, anche se si presume l’esistenza di documenti tabellonici anteriori all’età giustinianea, di cui la legislazione sembra consolidare la prassi, i documenti, che nella realtà iniziano a formarsi dal IV secolo, non risalgono che a Giustiniano.

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