di Giacomo Pailli
L’11 aprile 2018 la Commissione dell’Unione Europea ha pubblicato una Comunicazione dall’evocativo titolo “A New Deal for Consumers”[1]. Parte di questo nuovo patto europeo, è la proposta di direttiva “relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori”[2]. Dopo anni di incertezza e timidezza da parte dell’Unione sul tema dei meccanismi di tutela collettiva, la Commissione sembra cambiare rotta, spinta dal noto scandalo del “Dieselgate”, espressamente citato in numerosi passi della comunicazione.
Proprio la vicenda “Dieselgate” è esemplificativa nel mostrare lo iato di tutela che caratterizza i sistemi processuali al di là delle sponde atlantiche. Negli USA, Volkswagen, il principale ma non unico gruppo automobilistico al centro dello scandalo, ha chiuso nel giro di due anni le varie pendenze, pubbliche e private, derivanti dalla consapevole falsificazione delle emissioni dei motori diesel, con transazioni dal valore complessivo di 25 miliardi di dollari. Di tale ingente somma, ben 10 miliardi sono stati destinati alla transazione della class action[3] composta dagli acquirenti americani delle automobili. Tale classe, grazie al meccanismo partecipativo noto come “opt-out”, contava circa 500.000 proprietari di veicoli, ai quali VW ha offerto in via transattiva di ricomprare il veicolo e di pagare, come risarcimento, tra i 5.000 e i 10.000 dollari di danni (ad auto)[4].
In Europa, dove pure ha avuto luogo la condotta censurata, dove la risonanza mediatica non è stata certo minore, e dove il numero di veicoli coinvolti è stimato in ben otto milioni di unità[5], non vi è traccia di transazioni miliardarie ed il gruppo tedesco ha a più riprese dichiarato che provvederà solo a riparare i mezzi, ma che non vi sarà alcun risarcimento del danno o riacquisto delle auto[6].
Situazioni come quella descritta rendono palese l’esistenza di un vuoto di tutela nel continente europeo[7], in particolare con riferimento al risarcimento del danno. A sua volta, consentire che gli autori degli illeciti trattengano (almeno in parte) i profitti delle proprie condotte vietate, si traduce in un vuoto di effettività del diritto, giacché violare le regole può essere più conveniente e redditizio che seguirle, anche se si viene scoperti.
Come lo scandalo Parmalat ha spinto il legislatore italiano ad introdurre l’azione di classe, anche per l’obiettiva difficoltà di gestire la partecipazione di migliaia di risparmiatori danneggiati quali parti civili nell’azione penale, così il Dieselgate si è imposto all’attenzione della Commissione UE imponendo un’accelerazione al processo di elaborazione di meccanismi processuali per aggregare gruppi di danneggiati che si trovano in una posizione omogenea (per usare una terminologia ormai cara al commentatore italiano. Nelle stesse parole della Commissione, le valutazioni effettuate dalle istituzioni europee mostrano «che il rischio di violazioni della normativa UE a danno degli interessi collettivi dei consumatori sta aumentando a causa della globalizzazione economica e della digitalizzazione»[8].
Alcuni settori del diritto europeo erano già stati oggetto di importanti interventi, anche sul piano processuale, che mostravano l’attenzione della Commissione per l’effettività della tutela. Il riferimento è, ad esempio, alla tutela della proprietà intellettuale, oggetto della direttiva c.d. “enforcement”[9], o al settore delle azioni di risarcimento da violazione della normativa antitrust[10]. In entrambe le normative si trovano disposizioni che incidono, in particolare sulla prova, con l’evidente finalità di offrire una tutela più effettiva e semplice ai titolari dei diritti di proprietà intellettuale e ai soggetti danneggiati da una condotta contraria alle regole sulla concorrenza.
Sul versante dei meccanismi di tutela collettiva, tuttavia, le resistenze sono sempre state più elevate e anche l’ultima proposta licenziata mostra il permanere delle stesse premesse concettuali che hanno caratterizzato gli interventi della Commissione negli ultimi dieci anni. Se vi è un elemento che emerge con assoluta chiarezza nella relazione di accompagnamento, e traspare anche in controluce dal testo della proposta di direttiva, infatti, è il costante rifiuto di qualsiasi soluzione che possa anche solo accostare il meccanismo europeo alla class action di matrice USA[11]. Non è un caso che la Commissione, ancora una volta[12], ribadisca la necessità di trovare un «equilibrio tra l’accesso alla giustizia e la prevenzione di possibili abusi, con un approccio distinto, diverso dal modello di contenzioso in stile statunitense».
Se il modello americano di tutela dei diritti collettivi ed omogenei si basa (anche) sulla figura del c.d. private attorney general[13], ossia sull’individuo che, perseguendo una finalità di tutela privata, produce benessere per l’intera collettività, partecipando alla complessiva opera di enforcement del diritto ed in particolare delle normative a tutela del mercato e degli individui (es., antitrust, salute, ambiente, consumo), Bruxelles rifiuta decisamente l’idea che i danneggiati (rectius: i loro avvocati) possano vestire i panni degli imprenditori che utilizzano i potenti mezzi processuali messi a disposizione dall’ordinamento per costringere i convenuti ad una transazione, pur di evitare costi e pubblicità di un contenzioso processuale. Sono ancora troppo forti nell’ottica europea, da un lato la narrativa che vuole il sistema processuale americano preda di azioni vessatorie ed abusive nei confronti di società viste come “pozzi senza fondo” dai quali trarre risarcimenti milionari, e dall’altro la marcata influenza del modello “pubblico” di enforcement, che affida la tutela di mercato e persone al diritto penale e al diritto amministrativo, autorizzatorio (ex ante) o sanzionatorio (ex post), per poter consentire al processo civile di deviare dalla finalità compensatoria che gli è propria ed abbracciare anche una funzione dissuasiva.
Ed infatti, la proposta di direttiva prevede che solo enti esponenziali senza finalità di lucro possano farsi promotori dell’azione rappresentativa, ribadendo – in qualche misura contro la filosofia che ha ispirato la direttiva in materia di danno da antitrust[14] – che per l’Unione l’enforcement è solo pubblico, o al limite “quasi-public”, ossia associativo, e dichiaratamente senza scopo di lucro.
Nella stessa scelta dei termini linguistici, la Commissione continua a marcare la distanza dal più noto e fortunato istituto statunitense, ed adotta la formula, pleonastica, di «azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori»; ciò diversamente dal legislatore italiano che nel 2009 ha abbandonato la formula “azione collettiva risarcitoria” adottata nel 2007[15], per dirigersi, almeno a parole, verso il termine “azione di classe”[16].
Passando al meccanismo di partecipazione all’azione collettiva, la proposta di direttiva introduce alcune promettenti novità, anche se – anticipiamo sin d’ora – non ne è del tutto chiara la portata. Per dare i contorni della questione, il tema del quale stiamo parlando è quello della nota contrapposizione tra partecipazione c.d. opt-in (è incluso nella classe solo chi aderisce attivamente) e partecipazione c.d. opt-out (tutti i danneggiati sono parte della classe, salvo chi manifesta l’intenzione di esserne escluso). Pur consapevoli che il successo della class action americana poggia sulla combinazione, a tratti virtuosa, talvolta viziosa[17], di molti ingredienti, il meccanismo di partecipazione è sicuramente uno snodo cruciale. È stato, infatti, mostrato efficacemente[18] che l’assottigliarsi del danno comporta il progressivo emergere di un sentimento definito “rational apathy”[19], per cui chi è titolare del diritto al risarcimento non compie alcuna azione: né aderisce alla classe (se opt-in), né chiede di esserne escluso (opt-out).
Ciò comporta che, in particolare nel caso di condotte che producono un danno seriale di scarsa entità individuale, ma di importo aggregato rilevante e dannoso per il bene comune, il meccanismo di partecipazione diviene un ingrediente indispensabile per il successo dell’istituto. Lo dimostra bene l’esperienza italiana che nei suoi dieci anni di applicazione di un meccanismo opt-in ha visto – sino ai casi eclatanti più recenti[20] – classi composte solo da unità o poche decine di aderenti. Sia che si ragioni in termini di dissuasione delle condotte illecite (la quale richiede, de minimis, la completa neutralizzazione del profitto), di effettività o di diritto d’azione, è chiaro che vi sono – e sono in aumento – una serie di situazioni nelle quali la tutela o è collettiva ed estesa, o è praticamente impossibile[21].
La proposta della Commissione non rimane del tutto insensibile a queste istanze. Lo schema previsto dalla Commissione non è di immediata comprensione, ma potrebbe essere ricostruito in questi termini. Legittimati ad agire sono sicuramente solo gli “enti legittimati” senza scopo di lucro, dunque non anche i consumatori o altri soggetti che intendano trarre un profitto dalla lite. Tali enti legittimati possono chiedere misure inibitorie e/o il risarcimento del danno e l’art. 6 della direttiva lascia liberi gli Stati membri di scegliere se imporre o meno che l’ente agisca con «il mandato dei singoli consumatori interessati». Tale elemento sembra aprire alla possibilità che gli Stati membri adottino anche meccanismi di tipo opt-out.
Vi sono due casi, però, nei quali è il diritto europeo a prevedere come non necessario il mandato dei singoli consumatori, cosa che dovrebbe essere vincolante per gli Stati membri in sede di attuazione. Il primo si avrebbe quando questi «sono identificabili ed hanno subito danni comparabili provocati dalla stessa pratica relativa a un periodo di tempo o a un acquisto». In tale caso, afferma la proposta, «l’obbligo del mandato dei singoli consumatori interessati non costituisce condizione per avviare l’azione». La formulazione, oltre che tecnicamente imperfetta, è oscura[22]: il mandato non è necessario per avviare l’azione, ma lo è per poterne fare parte ed avere diritto al risarcimento? Ad ogni modo, rimane aperta la possibilità di un’interpretazione in favore di un meccanismo opt-out.
La seconda ipotesi riguarda, invece, il caso di azioni nelle quali il risarcimento del danno ha un valore unitario talmente minimo che la distribuzione dell’importo tra i danneggiati sarebbe più onerosa del risarcimento stesso. In questo caso «gli Stati membri garantiscono che il mandato dei singoli consumatori interessati non sia necessario»[23] e l’importo dovuto dal danneggiante è destinato per finalità pubbliche (come campagne di sensibilizzazione dei consumatori), disinnescando il fenomeno dei risarcimenti tramite “coupon”, ove i danneggiati ricevono solo un “buono” per il prossimo acquisto sulla piattaforma online del danneggiante, mentre gli studi legali promotori ricevono milioni in compensi legali[24].
La non perfetta chiarezza delle espressioni utilizzate, tuttavia, non deve oscurare il potenziale innovativo e l’apertura, almeno parziale, a meccanismi di partecipazione opt-out.
Anche altre soluzioni avanzate nella proposta di direttiva sono meritevoli di attenzione, come la necessità di trasparenza relativamente alle fonti di finanziamento dell’azione, specie se ad opera di soggetti terzi (art. 7), o la necessità di una supervisione giudiziale delle transazioni collettive (art. 8), due passaggi delicati ove si possono annidare conflitti d’interesse e abusi.
Riproducendo soluzioni già sperimentate nell’ambito della direttiva antitrust[25], poi, la proposta di direttiva accoglie meccanismi processuali di esibizione coatta dei documenti (art. 13), di sospensione della prescrizione (art. 11), nonché la valenza probatoria “pan europea” delle decisioni adottate in uno Stato membro che accertino la violazione del diritto UE (art. 10), le quali possono così essere utilizzate in altro Stato membro per assolvere – almeno in parte – l’onere di provare la condotta illecita o il danno.
Pur presentando certamente luci ed ombre, la proposta di direttiva nel suo complesso deve essere valutata positivamente quale tentativo della Commissione di rianimare il confronto tra le istituzioni europee intorno al tema della tutela collettiva. Resta da vedere se e in che misura il procedimento legislativo che è stato avviato saprà migliorare il testo e chiarire i punti più oscuri, mantenendone però lo slancio innovativo, o se le aperture più coraggiose saranno destinate a svanire.
[1] COM(2018) 183 del 11 aprile 2018, disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52018DC0183 Il comunicato stampa è disponibile all’indirizzo http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-3041_it.htm
[2] Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE, COM(2018) 184 del 11 aprile 2018, disponibile all’indirizzo:https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52018PC0184 . La proposta incorpora anche la precedente direttiva in materia di tutela inibitoria, della quale non ci occuperemo in queste brevi p>
[3] V. il saggio di N. Trocker, Class action negli USA: e in Europa?, CIE, 1/2009, 186; cfr. anche R. Nagareda, “Aggregate Litigation Across the Atlantic and the Future of American Exceptionalism”, (2009) 62 Vanderbilt Law Review 1, 28.
[4] Fonte: https://www.reuters.com/article/us-volkswagen-emissions/u-s-appeals-court-upholds-volkswagens-10-billion-diesel-settlement-idUSKBN1JZ21G
[5] Fonte: https://www.politico.eu/article/dieselgate-cars-pollution-total-recall-europe-still-lagging-on-dieselgate-fix/
[6] Fonte: https://www.theguardian.com/business/2016/jan/21/vw-rejects-call-to-compensate-european-drivers-emissions-scandal Vi sono state alcune iniziative negli Stati Membri, tra i quali segnaliamo un’azione di classe pendente avanti al Tribunale di Venezia, dove – secondo quanto riferito dall’associazione promotrice – sarebbero state raccolte circa 76.000 adesioni (cifra record per il sistema italiano), e dove viene chiesto un danno pari al 15% del prezzo del veicolo. Fonte: https://www.altroconsumo.it/auto-e-moto/automobili/news/altroconusmo-contro-volkswagen ; e l’azione promossa dagli investitori di Volkswagen in Germania per la perdita del valore azionario, ove sono chiesti circa 9 miliardi di euro di risarcimento complessivo, fonte: https://www.repubblica.it/economia/finanza/2018/09/10/news/volkswagen_class_action-206063668/
[7] Per alcuni cenni comparati, si v. il noto saggio di R. Cappalli, C. Consolo, “Class Actions for Continental Europe? A Preliminary Inquiry”, (1992) 6 Temple International & Comparative Law Journal 217.
[8] Proposta di direttiva, COM(2018) 184, p. 1.
[9] Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, disponibile all’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32004L0048R(01):IT:HTML La direttiva è stata attuata in Italia con il d.lgs. 16 marzo 2006 n. 140. V. diffusamente AA.VV., L’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale. Profili sostanziali e processuali, a cura di L. Nivarra, Giuffrè, Milano, 2005; AA.VV., ll processo industriale, a cura di A. Giussani, Giappichelli, Torino, 2012.
[10] V. Direttiva 2014/104/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014 relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea disponibile all’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32014L0104 La direttiva è stata attuata in Italia con il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3. V. tra i tanti, AA.VV., Il risarcimento del danno nel diritto della concorrenza: commento al d.lgs. n. 3/2017, a cura di Pietro Manzini, Torino, Giappichelli, 2017.
[11] Un settore assai rilevante della tutela collettiva in USA – frutto della dimensione e della natura diffusa del capitalismo nord americano – è rappresentato dalle c.d. securities class action, ossia da quelle azioni di classe che sono promosse da azionisti o risparmiatori che si ritengono danneggiati dalla condotta dei manager.
[12] Lo aveva già fatto, in particolare, nei Considerando 10, 13, 15, 19, 20 e 26 della Raccomandazione dell’11 giugno 2013 relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria negli Stati membri che riguardano violazioni di diritti conferiti dalle norme dell’Unione, in GUUE del 26 luglio 2013 L 201/60 , disponibile all’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32013H0396
[13] S. Burbank – S. Farhang – H. Kritzer, “Private enforcement of statutory and administrative law in the United States”, Int’l Lis, 2011, 3-4, 153 ss; e H. Buxbaum, “The Private Attorney General in a Global Age: Public Interest in Private International Antitrust Litigation”, Y. L. J. XXVI, 2001, p. 219.
[14] V. supra nota 10.
[15] L. 24.12. 2007, n. 244, art. 2, c. 446.
[16] L. 23 luglio 2009, n. 99, art. 49 e ss.mm. Sull’esperienza italiana v., tra i tanti, Donzelli R., L’azione di classe a tutela dei consumatori, Jovene, Napoli, 2011; Consolo C. e Zuffi B., L’azione di classe ex art 140 bis cod. cons. Lineamenti processuali, Cedam, Padova, 2012; ed il nostro scritto, con A. De Luca, Le azioni di classe dei consumatori: presupposti e limiti, in Il risarcimento del danno al consumatore, Giuffrè, Milano, 2014. V. anche A. Giussani, Studi sulle class actions, CEDAM, Padova, 1996 e Id., Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, il Mulino, Bologna, 2008
[17] A. Miller, “Of Frankenstein Monsters and Shining Knights: Myth, Reality, and the “Class Action Problem””, (1979) 92 Harvard Law Review 664, 666-67; S. Scheuerman, “The Consumer Fraud Class Action: Reining in Abuse by Requiring Plaintiffs to Allege Reliance as an Essential Element”, (2006) 43 Harvard Journal on Legislation 1, 1-10, 38-39.
[18] D. Rosenberg, “Mandatory-Litigation Class Action: The Only Option for Mass Tort Cases”, Harv. L. Rev. CXV, 2001-02, pp. 831-33; J. Connor, “Effectiveness of Antitrust Sanctions on Modern International Cartels”, J. Ind. Compet. Trade VI, 2006, p. 195; Z. Juska, “Obstacles in European Competition Law Enforcement: A Potential Solution from Collective Redress”, 7 European Journal of Legal Studies, 2014, pp. 128-36.
[19] È la nota espressione utilizzata dal Giudice Posner nel caso Carnegie v. Household Int’l, Inc., 376 E3d 656, 661 (7th Cir. 2004).
[20] V. supra nota 6 ed altre azioni nelle quali Altroconsumo afferma di aver raccolto migliaia di adesioni. V. ad es. https://www.altroconsumo.it/auto-e-moto/automobili/news/class-action-fiat e https://www.altroconsumo.it/azioni-collettive/facebook
[21] Facciamo riferimento qui al lavoro di M. Cappelletti, “Vindicating the Public Interest Through the Courts: A Comparativist’s Contribution”, 25 Buff. L. Rev. 643 (1975-76), p. 684
[22] Neanche il raffronto con le altre versioni linguistiche o la consultazione della relazione di accompagnamento aiutano a chiarire il senso della disposizione.
[23] Si noti la diversa formulazione tra le due ipotesi riportate nel testo. Nel primo caso «l’obbligo del mandato dei singoli consumatori interessati non costituisce condizione per avviare l’azione», nel secondo «gli Stati membri garantiscono che il mandato dei singoli consumatori interessati non sia necessario». Tentando un’interpretazione sistematica, ciò potrebbe lasciar intendere che solo nel secondo caso si ha un meccanismo puramente opt-out, mentre nel primo ad un certo punto è richiesta l’adesione del consumatore.
[24] Il compenso dello studio legale, infatti, viene di regola calcolato come percentuale dell’importo complessivo oggetto di risarcimento che, nel caso di classi composte tramite il meccanismo opt-out, può avere un valore aggregato assai elevato anche se al singolo consumatore sono destinati pochi dollari. C. Leslie, “A Market-Based Approach to Coupon Settlements in Antitrust and Consumer Class Action Litigation”, UCLA L. Rev., XLIX, 2002, p. 991.
[25] Cfr. Direttiva 2014/104/UE, cit., artt. 5 ss., 9 e 10.
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