Sulla G.U. 19 maggio 2014 n.114 è stata pubblicata la legge 16 maggio 2014 n.78 che ha convertito il decreto legge 20 marzo 2014 n.34,“ Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese.
Il tema della nostra analisi tratta unicamente quella parte del provvedimento legislativo che attiene al contratto a tempo determinato.
Riteniamo tale aspetto centrale per l’obiettivo che si è posto il legislatore ,contenuto nel titolo del decreto legge, ossia” il rilancio dell’occupazione”. Ciò in quanto gli elevati livelli di disoccupazione raggiunti nel nostro paese, particolarmente con riguardo alla disoccupazione dei giovani, delinea un quadro preoccupante della situazione economico-sociale .Nonostante gli annunci e le manifestazioni di intenzione fatte nelle varie sedi nazionali ed europee stentano a entrare in funzione idonei meccanismi risolutivi.
In questo quadro il governo ha scelto la strada di una liberalizzazione forte dei contratti a termine nella speranza che i datori di lavoro “liberalizzati”,per così dire, assumano senza sentirsi vincolati in tale operazione, con la convinzione implicita nel legislatore che testando, a lungo, nel tempo, la bontà del lavoratore e la necessità di quella posizione aziendale ci si decida infine a dare al rapporto di lavoro quel profilo di indeterminatezza che dia, tutto sommato, stabilità a entrambe le parti.
Non possiamo che augurarci che sia così.
A ciò si aggiunga che potrebbe essere in arrivo un ulteriore strumento di facilitazione delle assunzioni, il c.d. rapporto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, anch’esso di lunga durata per la parte senza tutele, si parla di un buon triennio, elaborato da tempo da studiosi con esperienza ma sempre rimandato, perché contrastato da altro versante dottrinario.
Si verrebbe a completare un contesto di “abbondanza” di strumenti di assunzione,ciascuno con la sua specificità, i suoi vantaggi e svantaggi : abbiamo detto il lavoro a termine con le caratteristiche infra descritte, il lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti,la collaborazione a progetto,il lavoro somministrato etc..
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La legge enuncia un preambolo di natura più politica che giuridica:
Considerata la perdurante crisi occupazionale , si legge,e l’incertezza dell’attuale quadro economico nel quale le imprese devono operare, nelle more dell’adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente e salva l’attuale articolazione delle tipologie di contratti di lavoro, vista la direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, sono apportate le seguenti modificazioni.
Esso annuncia quindi una riforma del contratto/rapporto di lavoro ancor più vasta che dovrebbe affrontare almeno due tematiche importanti per lo sviluppo del nostro paese. a) una, fornire strumenti snelli per le assunzioni di lavoratori, ovviamente implicita nella conversione della legge con la conferma del contratto a termine pluriennale , a-causale; b) l’altra mirata a sconfiggere quel male endemico del nostro paese, che è la “burocratizzazione” esasperata, con l’adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro.
In tale prospettiva, sviluppando gli elementi delineati nel ns. richiamato precedente saggio, esaminiamo le nuove caratteristiche del contratto a termine.
Il punto centrale dell’istituto è certamente ,ancor più della lunga durata, rappresentato dalla possibilità di stipulare contratti a termine, senza indicar ne la motivazione .Infatti dalla legge n. 18 aprile 1962 n.230 ( tassatività delle causali) al decreto legislativo 6 settembre 2001 n.368- attuazione della direttiva comunitaria 1999/70/CE- (clausola generale e generica delle <ragioni di carattere tecnico,produttivo ,organizzativo o sostitutivo>) è stata sempre richiesta una <ragione> giustificativa. Senza considerare la parziale liberalizzazione introdotta dalla legge 28 febbraio 1987 n.56 e dall’ accordo interconfederale 18 / 12 /1988,il quale ultimo ha perfino introdotta una <decausalizzazione> e< soggettivizzazione> per “ lavoratori di età superiore a 29 anni iscritti nelle liste di collocamento”.
E’ consentita l’apposizione , recita il testo normativo come modificato[ che pare richiedere un aggiustamento grammaticale] , di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a trentasei mesi,comprensiva di eventuali proroghe concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
Abbiamo già, nel precedente nostro saggio sopra richiamato , precisato[ l’ipotesi del contratto unico] che i trentasei mesi potrebbero essere “spesi” tutti in una volta sola, con un unico contratto. Ovvero in un arco di tempo potrebbero anche esser parzialmente “spesi” con contratti di durata unica di, ad es., dodici, diciotto mesi,e così via. Il legislatore lascia libere le parti di non fruire totalmente del periodo massimo.
La nuova normativa consente all’interno dei 36 mesi di “spezzettare” il contratto in almeno cinque ( anzicchè otto come nel decreto) tranches con altrettante proroghe acausali, senza stacchi temporali, a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa. Non ci pare di facile interpretazione l’inciso aggiunto dalla legge < indipendentemente dal numero dei rinnovi>.Potrebbe intendersi applicabile ai casi in cui tra datore di lavoro e lavoratore intercorrano una molteplicità di contratti di lavoro a tempo determinato,ciascuno dei quali al suo interno potrà avere le sue cinque proroghe. Pensiamo anche ai contratti stagionali in cui possono distinguersi le proroghe ( senza stacco) dai rinnovi ( con stacco) nell’arco di uno o più anni( com’è facile, considerata la loro natura).
Non ci risulta abrogata, eppertanto si affianca alla “proroga” del contratto, la “successione dei contratti” già prevista dall’art.5 del D.lgs. 368/2001.
In questa ultima casistica ci troviamo di fronte non ad una serie di proroghe ma a una pluralità di contratti distanziati temporalmente. Si tratta di riassunzioni a termine. Anche in tali casi viene meno la necessità di indicare una <causale>( v. il rinvio dell’art.5 co. 3 all’articolo 1) .
Sono previsti tra i contratti intervalli che sono variati nel tempo,in forza di provvedimenti diversi. Da ultimo vedi il decreto legge n.76/2013, Decreto legge Giannini convertito con legge 9 agosto 2013, n. 99 , Art.7 ” Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell’articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Le disposizioni di cui al presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attivita’ stagionali … nonche’ in relazione alle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali,stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente piu’ rappresentative sul piano nazionale.”.
La differenza tra le proroghe del contratto a termine e la successione di più contratti a termine sta nel fatto che nel primo caso ci si deve riferire alla stessa attività lavorativa;nel secondo caso ciò non è richiesto. Si potrebbe esemplificare come proroga l’ipotesi di un contratto di lavoro che riguarda una commessa straordinaria , che si prolunga nel tempo; come invece successione di contratti a termine quella di chi è chiamato a sostituire un lavoratore assente per infortunio e quindi venga utilizzato qualche tempo dopo,con rispetto degli intervalli su indicati , sempre a termine, con diversa mansione in un reparto diverso.
Nel caso della successione di contratti trova applicazione il tetto di cui all’art.5 comma4-bis [<qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi…..il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2……..;ai fini del suddetto computo del periodo massimo di trentasei mesi si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti,svolti tra fra i medesimi soggetti ai sensi dell’art.20 del decreto legislativo 10 settembre 2003,n.276, e successive modificazioni,inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato –così modificato da L.16/5/2014,n.78->].
Dobbiamo anche ribadire la nostra convinzione per la quale se è vero che il contratto a termine, nella nuova versione, è formalmente acausale, tuttavia di fatto, normalmente, una causale sottostante ( di carattere oggettivo) sussiste, anche se per lo più non ne è richiesta la specificazione,né è rilevante ai fini della validità del termine.
Tuttavia tra le ipotesi in cui tale sotto-causa può risultare rilevante eppertanto va formalmente esplicitata viene ricompreso il caso in cui essa consente di beneficiare di una contribuzione più bassa ( v. comma 28 e 29 art. 2 legge 28 giugno 2012 n.92- esenzione dalla contribuzione addizionale dell’1,4% ) e dell’esclusione dal tetto massimo di contratti a termine nell’ambito della impresa ( v. art.10 comma 7 decreto legislativo 6 ottobre 2001 n.368- in particolare per le ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità).
Sul tetto numerico dei contratti a termine ( c.d. contingentamento)
Una importante modifica , fin dal decreto, ha riguardato l’inserimento di un tetto del 20% al numero complessivo dei contratti a termine.
La liberalizzazione ha infatti richiesto una limitazione quantitativa dei contratti a tempo determinato.
Elemento che peraltro ci conferma che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato rappresenta la <forma comune> del contratto di lavoro.
Il tetto del 20 per cento,ovviamente è comprensivo dei contratti stipulati sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nella forma del contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
Il decreto prevedeva un <limite del 20 per cento dell’organico complessivo> ,la legge di conversione precisa meglio che < il numero complessivo di contratti a tempo determinato non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione>. Ciò in quanto il riferimento all’organico avrebbe potuto comportare l’inserimento nel computo degli stessi contratti a termine in corso.
Peraltro resta in vigore il comma 7 dell’art. 10 D.lgs n.368/2001 che recita .< La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato stipulato ai sensi dell’articolo 1, comma 1, è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi>.Ne consegue che per stabilire il tetto massimo dei contratti a termine dovrà guardarsi al contratto collettivo nazionale.
Da parte nostra riteniamo che considerato il nuovo profilo dell’istituto, caratterizzato come detto da forte liberalizzazione, il tetto del 20 per cento deve considerarsi tassativo .La norma richiamata si inseriva in un contesto ben diverso che prevedeva causali specifiche; andrebbe pertanto riletta nella nuova prospettiva.
Sul punto le norme transitorie prevedono che ( si noti la cautela ) in sede di prima applicazione del limite percentuale di cui all’articolo 1, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, introdotto dall’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), del presente decreto, conservano efficacia, ove diversi, i limiti percentuali già stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro (norma transitoria n.2) e comunque si fanno salve le regolamentazioni contrattualcollettive del tetto comportanti un limite percentuale più favorevole che consentirebbero di bypassare il termine di rientro del 31/12/2014 previsto per i datori eccedentari ( norma transitoria n.3).Non si può fare a meno di rilevare la non perspicuità di tali norme.
Altri aspetti importanti della riforma
Sul diritto di precedenza e congedo di maternità
Viene stabilito che per le lavoratrici, che ,nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda abbiano prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi, il congedo di maternità di cui all’articolo 16, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, intervenuto nell’esecuzione di un contratto a termine presso la stessa azienda, concorre a determinare il predetto periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza………nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine. Si aggiunge poi che alle medesime lavoratrici è altresì riconosciuto, con le stesse modalità di cui al presente comma, il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine ( v. art.5 co.4 quater D.Lgs. n.368/2001, e modifiche).
Sulla sanzione per le assunzioni in soprannumero
In caso di violazione del limite percentuale di cui all’articolo 1, comma 1, per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa:a) pari al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;b) pari al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno. Così come scritto,ci pare, la sanzione più alta assorbe la sanzione più bassa e conseguentemente la sanzione più alta si dovrebbe applicare a tutti i contratti in supero compreso il primo.
Sull’ esenzione dal tetto numerico
Il limite percentuale di cui all’articolo 1, comma 1, non si applica ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. I contratti di lavoro a tempo determinato che abbiano ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica possono avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono .Dovremmo intendere tale enunciato nel senso della concessione della possibilità di superare il limite dei 36 mesi canonici .
I rapporti con il diritto comunitario
Nessun coordinamento è stato espressamente previsto con la legislazione comunitaria. Possiamo ipotizzare che il legislatore abbia ritenuto che gli abusi di cui alla Direttiva comunitaria n.1999/70/CE riguardino, secondo la stessa lettera della Direttiva,soltanto la “successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato” e non le “proroghe” ovvero abbia individuato la presenza nel nostro ordinamento di “norme equivalenti per la prevenzione degli abusi”.
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