In questi anni di crisi, da più parti si invoca,oltre a misure economiche, una riforma del diritto del lavoro.
Come se in questi ultimi cinquant’anni non fosse stato abbastanza “ riformato”!
Si è aperto un intenso dibattito tra tutti gli esperti del diritto del lavoro,
In particolare sul sito di un importante giuslavorista si fronteggiano, ivi richiamandosi ad articoli pubblicati su autorevoli quotidiani , due posizioni.
La prima
Cancellare, per decreto, il precariato? Abbattere il regime di apartheid tra protetti e non protetti che caratterizza, più di altri, il nostro mercato del lavoro? La soluzione, per qualcuno, c’è. Ed è anche semplice. Basta obbligare tutte le imprese ad assumere unicamente con contratti di lavoro a tempo indeterminato.È questa, nella sostanza, la proposta di “contratto unico……… La suggestione – e il limite – della proposta del “contratto unico” è tutta qui. Nell’irragionevole convinzione che nessuno ha mai osato avanzare neppure nei regimi comunisti, di poter ingabbiare la multiforme e sempre più diversificata realtà dei moderni modi di lavorare e produrre in un unico schema contrattuale. Vietando, di conseguenza, le forme di lavoro coordinato e continuativo, ancorché genuine. Comprimendo in una rigida casistica le ipotesi di legittimo ricorso al lavoro a termine, che sarebbe vietato anche quando esiste una plausibile ragione tecnica, organizzativa o produttiva. Negando la valenza formativa ed educativa del lavoro, nei contratti d’ingresso incentivati per i gruppi svantaggiati e l’apprendistato per i giovani.Contratti che sarebbero eliminati per una flessibilità pura, nei primi tre anni, malamente bilanciata da una monetizzazione della piena libertà di licenziamento.
Una simile soluzione penalizzerebbe non solo le imprese, ma prima ancora i lavoratori. A partire dai giovani e dai molti esclusi dal mercato e che paradossalmente, ancor più di oggi, sarebbero vittime sacrificali. Predestinate non più al “precariato” ma, peggio, al lavoro “nero”. Perché a essi sarebbero preclusi, in nome di una malintesa e irrealistica standardizzazione delle tutele, non solo stage, contratti tramite agenzia, rapporti a contenuto formativo e collaborazioni a progetto, ma anche, almeno nei primi tre anni con un medesimo datore o committente, tutti i regimi di tutela della stabilità dell’occupazione. Tre anni di “prova lunga” e senza articolo 18 all’insegna del “finalmente nessuno più discriminato” perché tutti privati della stabilità reale del posto. Tre lunghi anni, peraltro, neppure “compensati”, come avviene oggi per i 600 mila apprendisti, da un possibile addestramento e inserimento mirato nel lavoro attraverso la formazione. Con il rischio, se non confermati al termine del triennio, di dover inesorabilmente ripartire da zero. Proprio come avviene oggi.
I sostenitori del contratto unico ribattono che nessuno ha sin qui prospettato alternative. Ma questo non è vero se si ricorda il progetto di Statuto dei lavori, elaborato nel 1998 da Marco Biagi per Tiziano Treu e ora rilanciato da Maurizio Sacconi nel suo Libro Bianco sul futuro del modello sociale. E proprio il perno del ragionamento dello Statuto dei lavori, e cioè l’occupabilità delle persone, è diventato ora il baricentro dell’accordo sul rilancio dell’apprendistato dello scorso 27 ottobre tra Governo, Regioni e tutte le parti sociali, Cgil inclusa. Un accordo che individua nelle competenze, nella formazione e nella integrazione tra scuola e lavoro le vere leve della stabilità occupazionale dei giovani.
Invero, a quanti insistono con l’idea irrealistica del contratto unico, si può in fondo ribattere che non c’è davvero bisogno di inventare qualcosa di nuovo. Cos’altro è, infatti, l’apprendistato se non una forma di ingresso a fasi successive nel lavoro attraverso un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con una prova, un inserimento in modalità formativa e infine, al termine del periodo di apprendimento, la possibilità (ma non l’obbligo) di stabilizzazione senza soluzione di continuità in ragione delle competenze acquisite dal giovane?
L’altra a più mani o a più voci,se si preferisce, così sinteticamente replica: l’avversario, chiamiamolo così , è ovviamente liberissimo di difendere il diritto del lavoro oggi vigente nel nostro Paese, considerandolo il migliore possibile. Ma quando critica un progetto di riforma deve fare riferimento al suo contenuto effettivo, non a una sua caricatura, come ha fatto nell’articolo “Contratto unico, suggestione fuori dal tempo” pubblicato sul Sole …….. I progetti contenuti nel disegno di legge n. 1873 del 2009, primo firmatario Pietro Ichino, nel d.d.l. n. 2000/2010, primo firmatario Paolo Nerozzi. o nel d.d.l. n. 4277/2011 di Enzo Raisi e Benedetto Della Vedova, non prevedono affatto l’abolizione dei contratti di apprendistato, di lavoro a termine o di collaborazione autonoma continuativa. Non mirano, dunque, a istituire un “contratto unico” di lavoro, ma semmai un diritto unico del lavoro davvero applicabile a tutti, evitando che quasi il 90% delle assunzioni per chi ha meno di 40 anni avvenga – come avviene oggi in Italia, in violazione del diritto europeo – con contratti a termine, per di più privi di qualsiasi contenuto formativo.
Chi mai avrà ragione ?
Di versioni del c.d. Contratto unico ne circolavano più di una ,ad es. quella che prevedeva una fase di inserimento della durata di tre anni e una fase di stabilità che prevedeva la tutela reale.
Noi abbiamo preso in considerazione per la disamina la versione che si è concretizzata in un disegno di legge.
Vediamo quindi a grandi linee il nuovo sistema del c.d. contratto unico,secondo il disegno di legge1873,comunicato alla presidenza del Senato l’ 11 novembre 2009.
Le linee che qualificano un sistema in un mercato del lavoro non sono tanto le modalità di assunzione quanto piuttosto le modalità della durata e conseguentemente della cessazione del rapporto.Distinguiamo perciò un sistema rigido e un sistema flessibile a seconda dei vincoli che si pongono dall’ordinamento alle varie forme e modalità di uscita dal rapporto di lavoro.
In primis constatiamo che,per quel che riguarda il disegno di legge all’esame, la regola principale è contenuta nell’articolo 2118:< Decorso il periodo di prova, il datore di lavoro o committente può legittimamente recedere dal rapporto di lavoro …..per una mancanza grave del lavoratore,mediante licenziamento disciplinare in tronco o con il preavviso previsto dal contratto collettivo o individuale…….>.
In pratica è un ritorno al sistema codicistico del 1942, che prevedeva il licenziamento in tronco(l’ art.2119 c.c.) ed il recesso c.d. ad nutum con preavviso (art. 2118 c.c.).
La riforma prevede un correttivo. Infatti l’art.2120 dispone che< tra l’impresa che occupi piu` di quindici dipendenti nella stessa unita` produttiva, o comunque piu` di sessanta complessivamente, e il lavoratore che abbia compiuto il secondo anno di anzianità di servizio, computandosi anche l’eventuale rapporto a termine o di lavoro temporaneo tramite agenzia che abbia preceduto quello a tempo indeterminato,quando il lavoratore stesso abbia perso il posto in conseguenza di un licenziamento non disciplinare, oppure di un licenziamento disciplinare di cui sia stata accertata l’illegittimita`in sede giudiziale cautelare o di merito e al quale non abbia fatto seguito la reintegrazione,si instaura un rapporto denominato«contratto di ricollocazione» che comporta, a cura e spese del datore di lavoro o committente per la parte non coperta da programmi statali o regionali, anche mediante un’agenzia terza > alcune importanti misure.
Dobbiamo pertanto distinguere nel rapporto di lavoro,così come delineato dal progetto di riforma ,due fasi del medesimo: una fase di libera recedibilità, nel periodo fino al compimento di un’anzianità di anni due, una fase di recedibilità “protetta” nel periodo successivo.
Ma per ora fermiamoci qui,
Le prime considerazioni ci portano a interpretare il nuovo istituto nel senso che per i primi due anni il lavoratore è liberamente licenziabile,dapprima per essere in corso il periodo di prova e successivamente per il principio della< libera recedibilità>, c.d. licenziamento ad nutum, con preavviso .
Non si tratterebbe quindi di un vero e proprio contratto di lavoro a tempo indeterminato come tradizionalmente viene inteso; meglio si addice ad esso, come l’abbiamo anche sentito definire, un contratto a tutele progressive.Invero la principale novità di questo contratto sarebbe secondo noi un lungo periodo di prova,dapprima come vero e proprio periodo di prova,quindi ,potremmo definirlo, un periodo della durata di due anni di “osservazione”,e con tale termine intendiamo osservazione sia della prestazione del lavoratore che delle esigenze dell’azienda.
I) Al termine di tale lungo periodo ( maturati due anni di anzianità) il rapporto proseguirà.Nel corso del rapporto in tal caso potrà darsi luogo o ad un licenziamento disciplinare o ad un licenziamento non disciplinare ( intendendosi per tale il licenziamento con preavviso e il licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo) con contestuale stipula di un contratto c.d. di ricollocazione. Tale contratto consiste in un rapporto di durata,non lavorativo, ma le cui obbligazioni consistono (A) per il datore di lavoro assistere il lavoratore nel mercato di lavoro, più propriamente secondo il testo del d.d.l (a) <l’erogazione di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, programmata,strutturata e gestita secondo le migliori tecniche de l settore>, quindi (b) < la predisposizione di iniziative di formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle capacita` del lavoratore> ed infine (c) <l’erogazione di un trattamento complementare per il periodo di disoccupazione effettiva e involontaria per il lavoratore> [ abbiamo volutamente invertito l’ordine della tutele ritenendo più importanti quelle di ,come si dice,con termine anglosassone, outplacement e formazione] (B) per il lavoratore< l’impegno…. a porsi a disposizione dell’organismo deputato all’erogazione del trattamento di cui alle lettere a), b) e c) per le iniziative da esso predisposte,secondo un orario settimanale corrispondenteall’orario di lavoro praticato prima del licenziamento>
II) Al lavoratore dipendente che abbia superato il periodo di prova ma non il secondo
anno di anzianita` di servizio, quando abbia perso il posto nelle circostanze indicate a proposito del caso (A), deve essere offerto un contratto di ricollocazione che preveda quanto
previsto nel caso (A), eccettuata la prestazione di cui alla lettera a) ,vale a dire l’erogazione del trattamento complementare.
.Per l’ obiettivo che ci siamo posti nello scrivere tali brevi note sorvoliamo su altri aspetti di tale rapporto.Sostanzialmente in punto di diritto potremmo trovarci in tal caso di fronte ad un caso di novazione del rapporto.Si ricorderà che l’art.1230 del codice civile prevede tra i modi di estinzione dell’obbligazione la novazione oggettiva.In tal caso l’obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso.
Ci permettiamo a questo punto alcune considerazioni .In primis ,ci pare, se non erriamo, che tale contratto potrebbe costituire un contratto con <molteplicità di cause>.Esso assorbirebbe le funzioni del contratto a termine <flessibile>, introdotto dal decreto legislativo n.368/2001, in applicazione della direttiva comunitaria ed ,in parte, sostanzialmente, assieme alla circostanza della introduzione con l’art 2094 del <lavoro dipendente>,che prevede la figura del< lavoratore autonomo continuativo> , le funzioni della collaborazione coordinata e continuativa e del lavoro a progetto ,che scomparirebbero dal sistema.Infatti risultano abrogati dall’art. 7 sia il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368: «Attuazione della direttiva1999/70/CE relativa all’accordo quadro sullavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE,dal CEEP e dal CES» , sia il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276: «Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro,di cui alla legge 14 febbraio 2003,n.30»Sull’abrogazione del primo dei due decreti ci domandiamo quali possano essere le ripercussioni sull’obbligo di conformarsi alle norme comunitarie previsto dal nostro ordinamento.
Dall’abrogazione del secondo dobbiamo dedurre che viene a scomparire quella che era una delle più importanti innovazioni della c.d. Legge Biagi,ossia il lavoro a progetto,che peraltro nella pratica ha dato adito a un elevato contenzioso giudiziario.
Altro aspetto fortemente innovativo è quello della introduzione di un nuovo concetto di lavoro subordinato o dipendente.Per il nuovo art 2094 c.c. quanto al primo è così definito < è `prestatore di lavoro subordinato chi si sia obbligato, dietro retribuzione,a svolgere per una azienda in modo continuativo una prestazione di lavoro personale soggetta al potere direttivo del creditore.>;quanto al secondo viene così definito :< e`prestatore di lavoro dipendente da un’azienda il lavoratore subordinato, nonche´il lavoratore autonomo continuativo, l’associato in partecipazione, o il socio lavoratore di societa` commerciale, che traggano piu` di due terzi del proprio reddito di lavoro complessivo dal rapporto con l’azienda medesima,salvo che ricorra alternativamente uno
dei seguenti requisiti:a) la retribuzione annua lorda annua del collaboratore autonomo o dell’associato in partecipazione superi i 40.000 euro; tale limite si dimezza per i primi due anni di esercizio dell’attivita` professionale;b) il collaboratore autonomo, l’associato
in partecipazione o il socio lavoratore sia iscritto a un albo o un ordine professionale
incompatibile con la posizione di dipendenza dall’azienda>.
Al tradizionale concetto giuridico di subordinazione, si è affiancato un nuovo concetto di dipendenza economica.
Ci pare infine che la formulazione della normativa sul contratto a termine ricalchi i modelli del passato ritornando a un contratto a termine per ipotesi tassative.
La nuova normativa (art.2097) prevede che< La prima assunzione del lavoratore alle dipendenze di un’azienda puo` avvenire con contratto a termine.>: non è richiesta alcuna causale,così com’era previsto dal codice civile del 1942 [ art.2097 Durata del contratto di lavoro- Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato,se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto].Per i contratti ulteriori e successivi,non è previsto un intervallo temporale ma delle causali tipiche, in parte simili a quelle contenute nella legge .n.230 del 1962. ed in più < soltanto nei casi previsti da un contratto collettivo applicabile stipulato a norma dell’articolo 2071>.Tale ultima ipotesi ricalca la norma di cui all’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n.56-Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro. L’assunzione con contratto a termine e il motivo dell’apposizione del termine devono risultare da atto scritto nei casi di proroghe e contratti successivi.Non è richiesta la forma scritta nel caso del primo contratto.
Il nuovo progetto prevede che il licenziamento può essere impugnato <per difetto della forma scritta,perché determinato da motivo discriminatorio,oppure ,quando esso sia stato irrogato con motivazione di natura disciplinare,per difetto di giustificazione o mancato rispetto del procedimento di cui all’art,2106>. La nuova norma prevede che < quando il licenziamento disciplinare sia viziato da difetto procedurale o da difetto di giustificazione,il giudice, valutate le circostanze, la natura del vizio e il comportamento delle parti, condanna il datore di lavoro o committente al risarcimento del danno nei confronti del lavoratore, oppure alla ricostituzione del rapporto di lavoro, ovvero a entrambe le sanzioni.>.Tale enunciato,unitamente al successivo per cui < nel caso di condanna alla ricostituzione del rapporto di lavoro, ciascuna delle
parti ha facolta` di optare, in alternativa alla ricostituzione, per il pagamento a carico del
datore di lavoro o committente di un indennizzo sostitutivo pari a quindici mensilita`
dell’ultima retribuzione.>. In pratica ci pare che abroghi l’art.18 dello Statuto dei lavoratori, anche se, nell’elenco delle norme esplicitamente abrogate, l’art.18 l.300/1970 non è compreso.Il citato articolo 18 prevedeva come unica possibilità,per il giudice di ordinare al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro,la condanna al risarcimento del danno non era alternativa ma aggiuntiva. E soltanto il lavoratore poteva optare in alternativa alla reintegrazione per una indennità pari a 15 mensilità. In effetti ,come rilevato da taluno nel nuovo ordinamento del lavoro v’è una forte <monetizzazione> del rapporto .
I licenziamenti per motivi economici sono previsti dall’art.2119 che prevede:< (Licenziamento per motivo economico, tecnico od organizzativo). Quando non sia stato stipulato il patto di
prova, o il relativo termine sia scaduto, il licenziamento non disciplinare deve essere comunicato
al lavoratore dipendente con espressa menzione del motivo economico,tecnico od organizzativo. Esso deve essere preceduto da un preavviso non inferiore a un periodo pari a tanti mesi quanti sono gli anni compiuti di anzianita` di servizio del lavoratore nell’azienda, con un massimo di dodici,
computandosi nell’anzianita` anche l’eventuale rapporto a termine che abbia preceduto
quello a tempo indeterminato.>.L’enunciato assorbirebbe il licenziamento c.d. oggettivo previsto dalla legge n.604 del 1966 .Tale normativa si applica per tutto il periodo del rapporto di lavoro senza distinzione di fasi.
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