Il “nuovo” danno all’immagine della pubblica amministrazione: “corsi e ricorsi storici”

 

  1. Il danno all’immagine ed il ruolo centrale nella legge anticorruzione e nelle recenti riforme della pubblica amministrazione

 

L’importanza e l’attualità del danno all’immagine della pubblica amministrazione emerge in modo evidente negli interventi legislativi contenuti nella legge anticorruzione che ha toccato l’impianto centrale della legge 14 gennaio 1994 n. 20 in materia di responsabilità amministrativa.

La legge 6 novembre 2012 n. 190 da un lato ha previsto disposizioni specifiche volte a definire le modalità di quantificazione del danno all’immagine, e dell’altro ha individuato una fattispecie specifica di danno all’immagine che presenta aspetti di diversità dalla generale disciplina[1].

Ciò è chiaro indice di un nuovo intento del legislatore: prevedere ipotesi collocate in particolari settori in cui la credibilità, la reputazione e la stessa identità del soggetto pubblico possano essere compromesse anche in via presuntiva. E’ lo stesso legislatore che delinea il complesso quadro di condizioni particolari che permettono la condanna per danno all’immagine.

La legge Severino ha introdotto sia strumenti preventivi cercando di contrastare il fenomeno corruttivo, sia un sistema sanzionatorio, che ha implementato il terreno della responsabilità amministrativa e disciplinare. L’infedeltà dell’agente pubblico appare registrata con contorni “sistemici”[2] dalla stessa Corte dei conti sezione giurisdizionale Lombardia, 27 luglio 2015 n. 135[3] che individua una situazione di deficit sistematico, cui porre rimedio attraverso un ampliamento della responsabilità amministrativa e disciplinare.

I principi che hanno permeato la legge anticorruzione trovano affinità e collegamenti con il decreto legislativo 14 marzo 2013 n. 33 in tema di pubblicità e trasparenza, e poi con il decreto legislativo 8 aprile 2013 n. 39 sulle ipotesi di incompatibilità ed inconferibilità degli incarichi. Sono state attribuite all’ANAC, quale autorità indipendente, competenze in tema di trasparenza e di lotta alla malagestione. La necessità riformatrice del sistema verso il contrasto delle forme di illegalità diffuse ha portato all’irrigidimento delle pene per i reati di corruzione e concussione. In tema di dirigenza pubblica e della relativa valutazione è stato previsto, quale ulteriore ampliamento della responsabilità in termini specifici e tipici, il mancato rinnovo dell’incarico in settori sensibili ed a rischio in presenza di condanna, anche non definitiva, della Corte dei conti al risarcimento del danno erariale per condotte dolose. L’intento del legislatore è stato quello di dare un forte segnale attraverso discipline che trasversalmente hanno interessato la pubblica amministrazione, anche nell’intento di un contenimento della spesa, quale effetto della riduzione di comportamenti illegali a danno della pubblica amministrazione.

Appare incontestabile la stretta connessione che unisce la rivendicazione della responsabilità con l’efficienza della pubblica amministrazione ed il suo intimo principio del buon andamento previsto dall’art. 97 della Costituzione e dell’art. 41 della Carta di Nizza. La carenza di declinazioni dell’azione amministrativa verso l’efficienza ha infatti costituito la base dell’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa. Per come dettato da copiosa giurisprudenza contabile, tali principi attengono segnatamente a particolari categorie di danno come il “danno da tangente”, “alla concorrenza” e primo fra tutti il “danno all’immagine”.

Tale ultima forma di danno coglie, nella giurisprudenza della Corte dei conti, l’aspetto ulteriore del fenomeno corruttivo: la perdita di credibilità della pubblica amministrazione per come percepita dal cittadino o dell’operatore economico che, di contro, necessita di modelli di efficiente e zelante azione amministrativa, laddove il buon andamento e l’imparzialità costituiscono “valori e diritti fondamentali, che definiscono l’identità stessa della Repubblica Italiana e dell’Unione Europea” (Corte dei conti, sezione giurisdizionale Umbria, 25 giugno 2014, n. 62[4], confermata dalla 1° Sezione di Appello, 4 febbraio 2016, n. 63[5]).

L’ipotesi della responsabilità, in tutte le sue forme, del Responsabile della prevenzione e della corruzione, tra le quali spicca la figura speciale del danno all’immagine è in realtà servente ai citati valori fondamentali della carta costituzionale. L’art. 1, comma 12 della l. n. 190/2012 dispone che “In caso di commissione, all’interno dell’amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo, risponde ai sensi dell’art. 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, e successive modificazioni, nonché sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all’immagine della pubblica amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze: a) di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver osservato le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo; b) di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano”. Questa responsabilità poliedrica si esprime anche attraverso il danno all’immagine, che si configura quando un reato di corruzione viene accertato, con sentenza definitiva, nell’apparato in cui è incardinato il Responsabile della prevenzione della corruzione. Alla fattispecie ultronea di reato si accompagna la mancata redazione del piano anticorruzione, ovvero di un piano non avente le potenzialità di prevenire la commissione del delitto. La fattispecie da cui deriva la responsabilità, anche per danno all’immagine, è integrata altresì dal mancato inserimento da parte del Responsabile nei ruoli più a rischio di corruzione di dipendenti dotati della necessaria professionalità e privi di situazioni di conflitto di interesse ovvero dei quali non ha assicurato la rotazione. A tanto si aggiunge la negligenza di tale figura istituzionale nel non aver attivato quelle misure di contrasto all’attività illecita di cui sia venuto a conoscenza.

Questa responsabilità è singolare per la condotta criminosa messa in atto da un soggetto agente diverso da quello responsabile che si acquisisce in via presuntiva, salvo prova contraria, per il ruolo ricoperto dal Responsabile della prevenzione. Questi, quale dirigente apicale, nel farsi garante della predisposizione di un piano in cui si sarebbero dovute individuare le aree di rischio e le misure volte a prevenire ed evitare l’adozione di comportamenti corruttivi, illegali e di mala amministrazione, si è reso totalmente inerte, non redigendolo. Tale responsabilità deriva dalla mancata predisposizione del PPC ovvero dall’inidonea stesura dello stesso, in quanto non valido ad ostacolare la commissione di condotte illegali in seno all’amministrazione. Il comportamento del Responsabile viene valutato ex post in base a quelle misure organizzative non attivate (e che avrebbero avuto capacità paralizzante l’azione illecita), ovvero nonostante esse siano state messe in campo al momento della commissione del fatto criminoso si siano manifestate come lesive per la p.a. Questa responsabilità per fatto di terzo si giustifica per la posizione apicale del Responsabile della prevenzione che, in virtù di una condotta omissiva, attrae a sé il precipitato della portata lesiva della credibilità e dignità della pubblica amministrazione per un reato di natura corruttiva che viene avvertito dalla società quale espressione di una amministrazione inefficiente, non trasparente e che nelle maglie della “burocrazia” si presenta incapace di essere giusta, imparziale, efficace, efficiente e di gestire al meglio le risorse pubbliche nell’interesse generale. Sembrerebbe porsi come responsabilità in concorso dove rileva l’incapacità del Responsabile della prevenzione di organizzare la struttura in modo che vengano paralizzati i fenomeni corruttivi e che, con tali premesse, non può che essere qualificata sul piano soggettivo come colpa grave. La norma, quindi, “prevede la sussistenza, ove ricorrano gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa per danno all’immagine della P.A., in linea con la ratio stessa della prevenzione del fenomeno corruttivo, che, fra le altre cose, intende salvaguardare l’immagine della P.A. per innescare un circolo virtuoso nel rapporto con i cittadini”[6].

In questo quadro anche l’art. 46 del d. lg. n. 33/2013, attinente agli obblighi di trasparenza, si aggiunge in tale contesto di riforme a contrasto della corruzione come autonoma fattispecie di responsabilità per danno all’immagine. Esso dispone che “L’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente o la mancata predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine della amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili”. Si tratta di una nuova ipotesi di valorizzazione del danno all’immagine, in cui non rileva la commissione di un reato, ma il mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione che possono essere considerati serventi e co-fattori della prevenzione della corruzione, e che attraverso la finalità della garanzia della trasparenza della pubblica amministrazione rendono i consociati capaci di effettuare un controllo esterno sull’azione amministrativa, di partecipare al dibattito pubblico e di verificare il corretto utilizzo della risorse pubbliche.

Il danno all’immagine si collega necessariamente allo stesso disegno del legislatore contenuto nella l. n. 190/2012 per il quale il Responsabile della trasparenza, non favorendo la pubblicazione di quanto disposto dalla normativa, consente la percezione diffusa di una amministrazione pubblica incapace di rendere la propria identità, le caratteristiche della propria organizzazione, le peculiarità della propria azione “intellegibili”. In tal modo essa appare non trasparente, e quindi possibilmente poco credibile in quanto soggetto pubblico che frappone ostacoli alla propria conoscibilità alla collettività.

Su questo versante si pongono, inoltre, gli interventi normativi[7] in tema di licenziamento disciplinare che incidono sulla configurazione del danno all’immagine. Il legislatore ha sentito la necessità di prevedere una possibile azione della Procura contabile per danno all’immagine in relazione alla condotta del dipendente che utilizza false attestazioni di presenza mediante qualsiasi modalità fraudolenta utile a far risultare in servizio il dipendente, o a trarre in inganno la pubblica amministrazione datrice di lavoro. La norma, inserita nell’ambito della riforma della pubblica amministrazione, ha delle importanti ricadute sull’attività amministrativa intesa sempre di più al servizio del cittadino, che deve essere capace di raggiungere gli obiettivi prefissati in un contesto in cui la performance diviene misurabile ed idonea a valle a determinare dei ripensamenti dei propri assetti organizzativi. La struttura globale della società agevola tali dirompenti conseguenze attraverso la repentina divulgazione di informazioni, per mezzo delle reti e dei mass media, che possono violare i diritti della personalità anche delle persone giuridiche portatrici di interessi, e che vanno contemperati con il valore costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero. L’efficienza, che viene sempre più pretesa dall’amministrazione, accresce la sua stessa credibilità, in un sistema di responsabilità informato alla c.d. accountability, che si fonda sul controllo delle decisioni assunte e degli effetti prodotti. Sembra potersi, dunque, affermare che “… tanto più è efficiente l’azione amministrativa quanto più è credibile la sua immagine”[8].

Più in particolare, dette riforme legislative, che si innestano nella previgente austera riforma Brunetta, accentuano la responsabilità disciplinare del dirigente. La sanzione del licenziamento colpisce anche il dirigente che omette l’adozione del provvedimento di sospensione cautelare o l’attivazione del procedimento disciplinare del dipendente che abbia attestato falsamente e fraudolentemente la propria presenza in servizio. La Procura della Corte dei conti, decorsi tre mesi dal licenziamento, può procedere per danno all’immagine della pubblica amministrazione e l’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice in relazione alla rilevanza che il fatto ha assunto attraverso i mezzi di informazione. Comunque l’eventuale condanna non potrà essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento oltre interessi e spese di giustizia.

Il legislatore ammette la configurabilità del risarcimento del danno all’immagine per il quale non è richiesta la commissione del reato, ma la sola fattispecie astrattamente individuabile come reato, dando conforto alle posizioni della dottrina e della giurisprudenza in un contesto normativo in cui comunque vengono abrogati i precedenti presupposti contenuti nel Lodo Bernardo con l’entrata in vigore del nuovo codice contabile. L’operazione del legislatore, che comunque non può che aprire grandi problematiche ermeneutiche che verranno sviscerate nel tempo, è rilevante poiché tiene in debito conto la valenza della informazione e dell’eco mediatico di situazioni che di fatto e secondo l’opinione pubblica avviliscono l’immagine della pubblica amministrazione. Essa da un lato viene sottoposta ad un controllo interno dove la misurazione della performance indica non il mero rendimento ma il passaggio verso il miglioramento della qualità dei servizi e della competenza dei dipendenti, dall’altro rimane esposta al ruolo della accountability, e dall’altro ancora soggiace all’inevitabile controllo esterno della pubblica collettività attraverso i mezzi di informazione.

  1. Il “nuovo” danno all’immagine dopo l’entrata in vigore del codice della giustizia contabile

Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, che è nato per la spinta di continui e susseguenti arresti pretori, viene necessariamente normato con l’art. 17, comma 30 ter, decreto legge 1° luglio 2009, n.78, che prese il nome di Lodo Bernardo. La disposizione fondamentalmente costruiva la disciplina del danno all’immagine su tre canoni:

  • Le procure della Corte dei conti potevano iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge.
  • Le procure della Corte dei conti esercitavano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97. Tali casi e modi erano costituiti dalla sentenza penale di condanna irrevocabile e dai reati “propri” contenuti nel capo I, del titolo II, del secondo libro del codice penale.
  • Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione di dette disposizioni, salvo che fosse stata già pronunciata sentenza anche non definitiva, era nullo e la relativa nullità poteva essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi avesse avuto interesse, innanzi alla competente Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decideva nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito.

Le disposizioni prestarono il fianco ad accese critiche della giurisprudenza contabile e riuscirono a resistere al giudizio di costituzionalità culminato nella sentenza della Corte costituzionale 15 dicembre 2010 n. 355[9], nonché al successivo giudizio delle Sezioni riunite della Corte dei conti che portò alla pubblicazione della sentenza 19 marzo 2015 n. 8/QM[10].

Tuttavia il legislatore ha iniziato ad introdurre fattispecie “specifiche” di danno all’immagine apparentemente senza un coerente disegno logico, se non funzionalizzato alla progressiva necessità di trovare misure volte all’efficientamento anche attraverso obblighi di pubblicità e trasparenza, ovvero mediante forme di contenimento di ulteriori declinazioni di mala amministrazione che si esprimono con comportamenti illeciti e fraudolenti del pubblico dipendente. Inoltre la disposizione contenuta nell’art. 1 comma 62 della legge n.190/2012 (che ha novellato la l. n.20/1994) ha introdotto criteri per la quantificazione del danno all’immagine individuando il limite del duplum della utilità percepita o della somma appresa e circoscrivendo la norma alla “commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione”. Si è affacciata dunque una norma che si è sganciata dal limite di un ambito normativo predefinito cui ascrivere la fattispecie di reato.

Si è delineato un nuovo panorama giuridico sul danno all’immagine che si evolve verso l’autosufficienza distaccandosi da condotte di reato specifiche, in relazione al quale la giurisprudenza contabile ha evidenziato come l’art. 17 comma 30 ter del d. l. n. 78/2009 favorisce irragionevoli ed irrazionali disparità tra azioni criminose di minore gravità perseguibili per danno all’immagine e reati di maggiore gravità e di intrinseca potenzialità a far sorgere discredito istituzionale.

Il legislatore, nella pendenza del sopracitato giudizio, ha emanato il decreto legislativo 26 agosto 2016 n. 174 (codice della giustizia contabile) che ha abrogato, con l’art. 4 comma 1 lett. g) dell’Allegato 3, le suindicate norme limitative consentendo la contestazione, a fronte del danno all’immagine, di qualsiasi forma di reato e non solo di quelli contenuti nella legge n. 97 del 2001, purché esso venga accertato con sentenza passata in giudicato[11]. La novella codicistica segna dunque la “riespansione” della tutela del danno all’immagine precedentemente compressa e rilegata ad alcune fattispecie tipiche di reato.

La sentenza 9 novembre 2016 n. 201 della Corte dei conti Sezione giurisdizionale Lombardia[12] rappresenta il primo arresto pretorio dopo l’emanazione del codice di giustizia contabile che compie la prima ricostruzione ermeneutica dei presupposti per la sussistenza del danno all’immagine. La decisione afferma che, con l’art. 4 lett. h) dell’all. 3 del codice, viene abrogato, a decorrere dalla novella codicistica, il primo periodo dell’art. 17 comma 30 ter del decreto legge n. 78/2009, lasciando dunque in vigenza il periodo per il quale “… può essere esercitata dal PM contabile -a pena di nullità- soltanto a fronte di una sentenza penale definitiva di condanna del pubblico dipendente per uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. richiamati dall’art. 7 legge 27 marzo 2001, n.97”. La Corte lombarda sostiene che “… va osservato che quest’ultima norma (art. 7 legge 27 marzo 2001, n.97) è stata parimenti abrogata dal predetto art. 4 dell’allegato 3 del Codice (vedasi lett. g.), venendo così meno la previgente limitazione del novero dei delitti per i quali è perseguibile il danno all’immagine … con conseguente necessità di individuare, in sede interpretativa, la attuale portata della disciplina relativa al risarcimento del danno all’immagine”. Inoltre il codice ha ritenuto di disporre all’art. 4 comma 2 dell’all. 3 che “Quando disposizioni vigenti richiamano disposizioni abrogate dal comma 1, il riferimento agli istituti previsti da queste ultime si intende operato ai corrispondenti istituiti disciplinati nel presente codice”.

Il punto fondamentale della parte motiva della sentenza riguarda il passaggio per il quale viene sostenuto che il “corrispondente istituto”, cui fa riferimento detta norma, non può che essere il generale e onnicomprensivo istituto del “danno erariale” cui fa univoco riferimento l’art. 51 e seguenti del d. lg. n. 174/2016. Dunque, tale ampia e non tipizzata categoria ben può annoverare anche il danno all’immagine arrecato alla p.a. in tutte le sue mutevoli manifestazioni, in assenza, dopo la suddetta abrogazione dell’art. 7 l. n. 97/2001, di limiti normativi specifici alla generale e doverosa perseguibilità di tale danno. Del resto, il danno all’immagine viene contemplato espressamente solo dall’art. 51, comma 6, del codice, che sancisce: “La nullità per violazione delle norme sui presupposti di proponibilità dell’azione per danno all’immagine è rilevabile anche d’ufficio”, sicché, in mancanza di ulteriori specificazioni normative, tali nuovi “presupposti” di proponibilità della domanda di risarcimento del danno all’immagine (alla luce dell’abrogazione del cennato lodo Bernardo e del menzionato art. 7 della l. n. 97 del 2001) non possono che essere individuati in quelli previsti dal medesimo articolo 51 comma 7 (unica disposizione del codice che appare colmare il vuoto normativo determinatosi in conseguenza delle suddette abrogazioni), ai sensi del quale: “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”. Poiché, dunque, nell’art. 51 comma 6 del codice, si fa espresso riferimento al danno all’immagine, il contenuto di detta norma, in combinato con il generale richiamo nel successivo comma 7 a delitti commessi a danno della p.a. accertati con sentenza penale irrevocabile, conduce a ritenere che, ai fini dell’individuazione dei “presupposti” di che trattasi, tali reati siano da individuare, sul piano testuale e logico, senza la previgente delimitazione, in tutti i delitti commessi a danno delle pubbliche amministrazioni da dipendenti pubblici (o da soggetti legati da rapporto di servizio). Ad avviso della Corte lombarda, dunque, dopo la novella del d. lg. n. 174 del 2016, qualsiasi delitto commesso da pubblici dipendenti (o da soggetti legati da rapporto di servizio alla p.a.) in danno della p.a., accertato con sentenza penale definitiva, è idoneo a configurare – senza più la limitazione tipologica di cui all’abrogato art. 7 della legge n. 97 del 2001 – il presupposto per l’eventuale promovimento dell’azione risarcitoria per il danno all’immagine di cui al comma 6 dell’art. 51 del menzionato codice. Tale lettura in conformità al dettato legislativo assicura una coerenza del sistema recuperando condotte penalmente rilevanti che per l’offensività dei valori di buon andamento, imparzialità e di legalità costituzionalmente rilevanti non potevano sfuggire al vaglio del P.M. contabile, qualora quei fatti criminosi fossero giunti attraverso la rete di informazione alla collettività che li avrebbe percepiti e collegati ad un’idea di pubblica amministrazione non trasparente, non efficiente ed efficace, e quindi non credibile[13].

Il nuovo codice contabile pone il problema dell’immediata applicabilità della nuova disciplina ai giudizi in corso in accordo con la natura processuale dell’azione del P.M. contabile e della disposizione del citato all. n. 3, che all’art. 2 comma 1 del detto allegato prevede che “le disposizioni di cui alla parte III, Titolo I, Capi I, II e III del Codice, che disciplinano l’istruttoria del pubblico ministero, si applicano alle istruttorie in corso alla data di entrata in vigore del Codice, fatti salvi gli atti già compiuti secondo il regime previgente. Le disposizioni di cui alla Parte II, Titoli II, III, IV e V si applicano ai giudizi in corso”. Ne consegue che l’art. 51 comma 7, ove stabilisce che la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del d. lg. n. 165/2001 nonché degli organismi e degli enti da esse controllati per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato, può applicarsi a tutti gli inviti a dedurre notificati dopo l’entrata in vigore del codice (Corte dei conti, Sezione Liguria, 25 gennaio 2018, n. 16; Sezione Piemonte, 30 giugno 2017, n. 56; Sezione Lombardia, 15 marzo 2017, n. 33).

Se, invece, le nuove norme codicistiche fossero ritenute non di carattere processuale ma sostanziale, esse sarebbero utilmente invocabili quando la condanna definitiva per reati non necessariamente “propri” sia successiva all’entrata in vigore del codice della giustizia contabile, ponendosi la novella come fatto costitutivo della fattispecie di danno erariale anche per condotte compiute anteriormente (Corte dei conti, Sezione I Appello, 1 marzo 2018 n.96; Sezione I Appello 5 febbraio 2018 n. 52 e 53; Sezione II Appello 21 settembre 2017 n. 114; Sezione Veneto, 19 dicembre 2016 n. 219). Secondo il predetto indirizzo -confermato anche in secondo grado con sentenza n. 53/2018 della I Sezione di Appello- “Alla luce della citata normativa e della ritenuta natura sostanziale del requisito dell’esistenza della sentenza penale irrevocabile di condanna ai fini della integrazione degli elementi costitutivi del danno all’immagine, dovrà, quindi, ora, essere valutato se sia indispensabile che il predetto requisito sussista già al momento della proposizione della domanda o se sia sufficiente che lo stesso sussista al momento della decisione in giudizio. Sul punto, chiarito che l’esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna si pone quale condizione dell’azione e non quale presupposto processuale, può ritenersi sufficiente che esso sussista al momento della decisione. Quanto alla differenza logico-giuridica tra i presupposti e condizioni dell’azione, la dottrina ha chiarito che mentre i primi sono quegli elementi la cui esistenza è necessaria per lo stesso accesso al processo, le seconde sono quelle condizioni, senza le quali non è possibile ottenere dal giudice adito una pronuncia nel merito sulla pretesa dedotta in giudizio”. Inoltre la sentenza n. 53/2018, nell’affermare che il regime introdotto con la novella codicistica costituisce un trattamento peggiorativo in quanto allarga l’ambito di applicazione del danno all’immagine, impone che le norme codicistiche debbano trovare il loro naturale svolgimento per fatti commessi a decorrere dall’entrata in vigore del nuovo codice. Questa conclusione, in effetti, farebbe protendere per una visione pubblicistica della responsabilità amministrativa per danno all’immagine, poiché varrebbe il principio di irretroattività delle sanzioni di carattere punitivo.

E’ anche vero che la giurisprudenza non ha esplorato un’altra ipotesi ermeneutica dell’art. 51 del d. lg. n. 174/2016. In sostanza l’analisi del codice può condurre all’affermazione che l’abrogazione dell’art. 17 comma 30 ter sia stata voluta in modo pressoché totale e che essa possa travolgere anche i modi previsti dal comma 7 dell’art. 51. La deduzione che i modi di cui al comma 7 costituiscono i nuovi parametri del danno all’immagine sono stati ricavati in via interpretativa. Per cui analogamente si potrebbe ritenere, mediante altro ragionamento ermeneutico, che i relativi presupposti siano contenuti nel comma 6, esaurendo esso tutte le condizioni di proponibilità dell’agire del pubblico ministero. La norma si riferirebbe dunque non tanto alla disciplina che segue (comma 7) ma a quella che precede (comma 1) che riguarda la notizia specifica e concreta di danno. L’art. 51 comma 1 riproduce il contenuto del primo periodo dell’art. 17 comma 30 ter del d. l. n. 78/2009 richiedendo una notizia specifica e concreta come illustrata dalle sentenze n. 12 e 13 delle Sezioni riunite del 2011 (sentenza 3 agosto 2011 n. 12/2011/QM e sentenza 3 agosto 2011 n. 13/2011/QM). La mancanza di una notizia specifica e concreta può essere fatta valere con l’azione di nullità da chiunque ne abbia interesse. Questa rilevabilità, che costituisce la condizione di proponibilità, può avvenire anche d’ufficio.

In tal modo la disciplina del danno all’immagine, proprio in virtù del predetto riferimento al “corrispondente istituto” di cui al citato all. 3 del codice, risulterebbe individuata nell’ambito dell’art. 51 commi 1 e 6 che sono norme che ampliano i presupposti di proponibilità dell’azione per il danno all’immagine, essendo necessaria una notizia specifica e concreta la cui mancanza può essere rilevata anche d’ufficio. Quindi si riaffaccia quella disciplina delineata dalle Sezioni riunite con sentenza n.10/2003/QM con ampio spazio di azione del pubblico ministero, tanto consentendo l’applicazione del principio del giusto processo, della tutela effettiva anche davanti al giudice contabile atteso che il codice ha affermato con gli art. 2, 3 e 4, anche per il giudizio contabile, la piena rilevanza dei principi provenienti dal diritto europeo.

  1. Considerazioni conclusive e problematiche rimaste aperte

Le caratteristiche del danno all’immagine, che è nato da un lato traendo vigore dalla responsabilità amministrativa e dell’altro dalla necessità che i principi indicati nell’art. 97 cost. trovino tutela nell’azione delle procure contabili, giunge a far sostenere che “quello all’immagine, in particolare delle pubbliche amministrazioni, costituisce un danno polifunzionale, proprio in ragione della pluralità degli interessi offesi coinvolgenti funzioni e interessi pubblici primari”[14].

Il danno all’immagine ben si presta a manifestare quella doppia sfaccettatura della responsabilità amministrativa che richiama sia il carattere sanzionatorio e deterrente sia la natura compensativa e riparatoria della responsabilità civile, delle quali probabilmente il Giudice delle leggi ha fatto prevalere in modo implicito il primo (Corte costituzionale 16 dicembre 1998 n. 453)[15], pur riconoscendo entrambe le funzioni (Corte cost.  n. 371/1998).

In ogni caso, a voler propendere per la vocazione compensativa, non può sottacersi come recentemente la Corte di cassazione con la sentenza a Sezioni unite 7 febbraio – 5 luglio 2017 n. 16601 ha espresso il seguente principio “nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile”[16]. Per cui essa pur avendo una prevalente valenza risarcitoria, non sfugge alle implicazioni dei danni punitivi. La predetta multifunzionalità comporta non solo la funzione di riparazione del danno, ma anche le finalità deterrenti e/o punitive, così che il danneggiante viene obbligato a un risarcimento ulteriore rispetto a quello riparatorio.

In tema di danno all’immagine, probabilmente a tale finalità può rispondere il comma 1-sexies dell’art. 1 della l. n. 20 del 1994 laddove prevede la possibile condanna al duplum del valore patrimoniale dell’utilità o della somma di denaro percepita dal dipendente, da cui possono emergere verosimilmente i caratteri del danno punitivo[17]. La medesima riflessione può riguardare la liquidazione in via equitativa (fatta salva dalla giurisprudenza contabile), atteso che la condotta del danneggiante diviene parametro di riferimento ai fini della determinazione del quantum risarcitorio[18].

Sul piano della disciplina legislativa molte questioni rimangono aperte, in quanto la novella codicistica ha proceduto ad una serie di abrogazioni perdendo l’occasione di dare un definitivo e completo assestamento alla materia.

A seguito del d. lg. n. 174/2016, l’intervento pretorio ha ritenuto che il danno all’immagine abbia ricevuto un impulso positivo tantoché esso può essere riconosciuto dal giudice contabile se un reato è stato commesso e se esso sia stato accertato con sentenza passata in giudicato.

Occorre, tuttavia, non dimenticare che nell’ordinamento giuridico permane la disposizione sopra citata sulla quantificazione del danno all’immagine, introdotta con la legge anticorruzione, che impone la ricorrenza di un’utilità o della somma percepita[19]. Ne deriva che tale elemento materiale integra la fattispecie e deve essere accertato del giudice contabile, con l’effetto che viene affermata l’immanenza della necessaria verificazione di un danno alla pubblica amministrazione.

Tuttavia l’assetto normativo desumibile dall’art. 51 comma 7 del d. lg. n. 174/2016, ed accolto in giurisprudenza, non è andato esente da critiche[20]: si è infatti sostenuto che il reato sulla base del quale è possibile la perseguibilità per danno all’immagine non debba essere obbligatoriamente acquisito con sentenza penale irrevocabile. Ciò in quanto verrebbero violati il principio del giusto processo e della celerità dei processi nonostante le riforme che hanno consentito l’eliminazione della pregiudiziale penale in favore dell’autonomia dei giudizi. Inoltre non sono mancati interventi giurisprudenziali che, successivi all’emanazione del codice, hanno ritenuto sufficiente la sola commissione di atti illeciti non costituenti reato, anche in analogia con quelle disposizioni normative che hanno introdotto fattispecie tipizzate di danno all’immagine.

Sicuramente non si potrà prescindere dal necessario bilanciamento di interessi che spetta integralmente alla discrezionalità del legislatore. Sarà dunque necessario porre nel giusto equilibrio la tutela da un lato della credibilità, del prestigio e dell’immagine dell’istituzione in stretta correlazione all’osservanza dell’art. 97 cost., e dall’altro la posizione dell’agente pubblico che non dovrà imbattersi nel timore di incorrere in responsabilità erariale con ulteriore appesantimento dell’efficacia, efficienza, imparzialità, buon andamento ed economicità della pubblica amministrazione.

Uno spunto utile potrebbe essere fornito dallo sminuito clamor fori da sempre ritenuto dai giudici contabili elemento atto a permettere la quantificazione del danno e non requisito costitutivo (Corte dei conti, Sezione II Appello, 10 maggio 2017 n. 271) del danno all’immagine. Infatti la lesione all’immagine può dirsi veramente concretizzata allorquando esiste una diffusione mediatica dell’offesa capace di dilaniare la fiducia della collettività nell’istituzione pubblica, discreditando l’immagine della p.a.. Per altro verso il semplice illecito probabilmente non presenterebbe quel grado di aggressività del bene giuridico protetto tale da innescare un’azione per responsabilità amministrativa, che minerebbe l’azione amministrativa invece di rendere “per i dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo” (Corte. cost. n. 453/1998). La predetta considerazione chiaramente non contraddice la scelta del legislatore di far discendere da azioni non illecite forme tipizzate di danno all’immagine, poiché in quei casi la volontà del legislatore è stata quella di rinvenire responsabilità per danno all’immagine in contesti nevralgici dell’azione amministrativa dove appare immanente l’intento di contenimento della corruzione e di promozione della trasparenza mediante atti e procedure antagoniste alla stessa.

Si rimette quindi al legislatore un nuovo intervento al fine di pervenire a quel “punto di equilibrio” individuato dalla citata sentenza n. 453/1998 della Consulta, evitando in tal modo interventi giurisprudenziali che hanno reso così ondivaga la materia, ritenuti altresì eccentrici da taluna dottrina[21] più che desiderosi di offrire reale tutela al patrimonio pubblico.

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Note

[1] M. Sinisi, Sistema anticorruzione e responsabilità amministrativa: vecchie e nuove fattispecie di responsabilità e tipologie di danno, in M. Andreis – R. Morzenti Pelligrini, Cattiva amministrazione e responsabilità amministrativa: atti dell’incontro preliminare AIPDA, Università degli studi di Bergamo, 7 giugno 2016, Giappichelli, Torino, 2016, 85.

[2] V. Berlingò, Cattiva amministrazione “sistemica” e nuove funzioni della responsabilità per danno erariale, in M. Andreis – R. Morzenti Pelligrini, Cattiva amministrazione e responsabilità amministrativa: atti dell’incontro preliminare AIPDA, Università degli studi di Bergamo, 7 giugno 2016, Giappichelli, Torino, 101.

[3] Corte dei conti sezione giurisdizionale Lombardia, 27 luglio 2015 n.135, in www.corteconti.it.

[4] Corte dei conti, sezione giurisdizionale Umbria, 25 giugno 2014 n. 62, in www.corteconti.it.

[5] Corte dei conti, 1° sezione centrale di appello, 4 febbraio 2016, n. 63, in www.corteconti.it; idem Corte dei conti, 1° sezione centrale di appello, 5 febbraio 2018, n. 53, in www.corteconti.it

[6] D. Bolognino, Per una risposta corale dell’amministrazione etica al fenomeno corruttivo: compiti e responsabilità del responsabile responsabile della prevenzione e l’auspicabile task force della prevenzione, Lav. pubb. amm., 5, 2013, 811.

[7] A. Cilento, Il “nuovo” danno all’immagine della pubblica amministrazione tra efficienza e credibilità, Diritto e processo amministrativo, 2018, 1, 171-204.

[8] A. Cilento, Il “nuovo” danno all’immagine, cit..

[9] G. Costantino, Corte costituzionale sentenza 15 dicembre 2010 n. 355, Nota a sentenza, Foro it., 2001, parte I, col. 664; G. Marena, Il danno all’immagine da illegittimo esercizio della funzione pubblica, Danno resp., 2011, 3, 298; V. Rapelli, Il danno all’immagine della pubblica amministrazione innanzi alla Corte costituzionale: confini e prospettive, Giur. it., 2011, 8-9, 1907; E. Follieri, L’autonomia e la dipendenza tra processi in materia di responsabilità pubbliche, Dir. proc. amm., 2014, 2, 39; A. Vetro, L’evoluzione della giurisprudenza in materia di danno all’immagine, Lexitalia.it, 2012, 7; A. Vetro, Sentenza della Corte costituzionale 1° dicembre 2010 n. 355 sul danno all’immagine delle pubbliche amministrazioni. Problematica sulla vincolatività dell’interpretazione della normativa esaminata dalla Consulta, Lexitalia.it, 2011, 2; V. Raeli, Il danno all’immagine della p.a. tra giurisprudenza e legislazione, federalismi.it, 2014.

[10] F. M. Longavita, Problematiche afferenti al danno non patrimoniale, www.contabilità-pubblica.it; M. Oricchio, La denuncia di danno, in A. Canale – F. Freni – M. Smiroldo, Il nuovo processo innanzi la Corte dei conti, 2017, 291; A. Gribaudo, Il codice della giustizia contabile, 2017, 213; F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, 2016, 1750.

 

[11] A. Traversi, Le nuove frontiere del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, Rivista della Guardia di Finanza, 2018, 3; M. Oricchio, La denuncia di danno, in A. Canale – F. Freni – M. Smiroldo, Il nuovo processo, cit.; A. Nocera, La responsabilità amministrativo-contabile del magistrato e il danno all’immagine della Amministrazione giudiziaria, Corr. giur., 2017, 10, 1295; D. Perrotta, Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, tra tendenze giurisprudenziali (espansive), scelte del legislatore (restrittive) e il nuovo codice di giustizia contabile, federalismi.it, 2018, 8; V. Tenore, La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Giuffrè Editore, Milano, 2018, 291.

[12] L. D’Angelo, Codice della Giustizia Contabile e danno all’immagine della p.a.: un apprezzabile ampliamento di tutela, Giustamm, 2016, 12.

[13] A. Cilento, Il “nuovo” danno all’immagine , cit..

[14] A. Lamorgese, Il danno all’immagine delle persone giuridiche, N. giur. civ., 2010, II, 231.

[15] V. Raeli, Il modello della responsabilità amministrativa come “clausola generale” e le fattispecie sanzionatorie, Lexitalia.it, 2014, 4; F. Pizza, Funzione compensativa della responsabilità amministrativa e impossibilità di una azione preventiva a tutela della finanza pubblica, Giustamm, 2016, 3; A. Stalteri, La Corte dei conti e il danno all’immagine dell’ordinamento sportivo provocato dagli arbitri di «calciopoli», Resp. civ. prev., 2013, 1, 267.

[16] E. Sacchettini, Una bizzarra categoria di danni estranea al sistema, Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 2017, 33, 50; G. Ponzanelli, Sezioni unite e danni punitivi, Cont. imp., 2017, 4, 1122; G. Ponzanelli, Le Sezioni unite sui danni punitivi tra diritto internazionale privato e diritto interno, N. giur. civ., 2017, 10, 1413; G. Ponzanelli, La decisione delle Sezioni unite: Cambierà qualcosa nel risarcimento del danno?, Riv. dir. civ., 2018, 1, 300; C. Consolo, Riconoscimento di sentenze, specie USA e di giurie popolari, aggiudicanti risarcimenti punitivi o comunque sopracompensativi, se in regola con il nostro il nostro principio di legalità, Corr. giur., 2017, 8-9, 1050; F. Ruggiero, Danno di un ente esponenziale: la responsabilità multifunzionale, Danno resp., 2018, 1, 82.

[17] N. Di Modugno, Il c.d. risarcimento per danno all’immagine della p.a, cit.; A. Nocera, La responsabilità amministrativo-contabile del magistrato e il danno all’immagine della Amministrazione giudiziaria, Corr. giur., 2017, 10, 1295; G. Bottino, Le sanzioni “limpide” e le sanzioni “nascoste” nella responsabilità amministrativa, Intervento a Convegno AIPDA (Roma, 06.02.2014), www.segrataricomunalivighenzi.it. L’autore per converso sostiene che l’art. 1, comma 1-septies, della l. n. 190/2012 introduce nell’ordinamento giuridico una sanzione “limpida”, tipizzata dalla legge.

[18] G. Di Vetta, Danno all’immagine della P.A.: funzione punitiva?, Danno resp., 2013, 8-9, 871; D. Chindemi, Il danno erariale in materia di responsabilità medico-sanitaria, Resp. civ. prev., 2011, 5, 1166 B; M. Didonna, Il danno all’immagine e al prestigio della p.a. nella prospettiva dell’attuale giurisprudenza, Corr. giur., 2012, 11, 1307.

[19] M. Oricchio, La denunzia di danno, in A. Canale – F. Freni – M. Smiroldo, Il nuovo processo, cit..

[20] A. Vetro, Problematiche relative al danno all’immagine della pubblica amministrazione, perseguibile innanzi alla Corte dei conti, dopo l’entrata in vigore del c.d. codice di giustizia contabile, Lexitalia.it, 2018, 1.

[21] M. Clarich – F. Luiso – A. Travi, Prime osservazioni sul recente codice del processo avanti alla Corte dei conti, Dir. proc. amm., 2016, 4, 1271.

Emanuela Placanica

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