Il pagamento del canone locatizio da parte del nuovo compagno può comportare la perdita dell’assegno di divorzio

Riferimento normativo: articolo 5, Legge n. 898/1970

La vicenda processuale

Con ordinanza n. 12335, depositata il 10 maggio 2021, la Cassazione ha stabilito che l’ex moglie perde il diritto all’assegno di divorzio qualora si faccia garantire dal nuovo compagno il pagamento del canone abitativo. Il Tribunale, pronunciando sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva disposto la revoca dell’assegno di mantenimento già riconosciuto alla ex moglie, sul presupposto che questa intrattenesse una relazione stabile con un altro uomo, palesatasi con la garanzia fideiussoria da lui prestata per il pagamento del canone di locazione dell’appartamento di residenza della donna. La Corte d’appello confermava la decisione del Tribunale, richiamando la recente giurisprudenza di legittimità relativamente ai criteri ermeneutici per l’attribuzione dell’assegno di divorzio. Secondo la Corte territoriale, laddove si affermi che la fideiussione prestata dal terzo per il pagamento del canone di locazione dell’immobile ove risiede la ex moglie e il lungo protrarsi di tale obbligo dimostrino l’esistenza di una relazione stabile, l’assegno divorzile deve essere negato. Se non si tenesse conto di ciò, la conclusione sarebbe la stessa in quanto il fatto che la ex coniuge abbia potuto pagare un canone di locazione di 650 euro mensili, dimostra un’autosufficienza economica tale da escludere il diritto all’assegno di divorzio, perchè dimostrativo della mancanza di squilibrio economico delle parti.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’ex moglie, sollevando due motivi:

  1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, commi 6 e 10, della l. n. 898/1970, degli articoli 115, commi 1 e 2,c.p.c., degli artt. 2727 e 2728, commi 1 e 2, e 116, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 comma 1, nn3 e 4, c.p.c., per avere, la Corte d’Appello confermato la decisione del tribunale di negare l’assegno di divorzio sull’assunto che la stessa avesse instaurato una relazione stabile e ciò in quanto un soggetto terzo, con fideiussione, aveva prestato una garanzia all’adempimento del canone di locazione e, inoltre, alla dichiarazione della stessa ricorrente:”Io mi frequento con una persona, ma non ho alcuna convivenza stabile”, aveva attribuito valore confessorio, sottintentendo l’esistenza di una convivenza more uxorio.
  2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, commi 6 e 10, e 9, comma 1, della legge n. 898/1970, dell’art. 115, commi 1 e 2, e 116, commi 1 e 2, c.p.c., degli artt. 2727, 2728, commi 1 e 2, e 2697, commi 1 e 2, del codice civile, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., ed all’art. 111 Cost.,  e ciò in quanto, la Corte d’Appello aveva negato il diritto all’assegno di divorzio, “con una motivazione contraddittoria e illogica”, in virtù dell’importo del canone di locazione, ritenuto sufficiente a dimostrare l’autonomia economica della ricorrente, senza tener conto che, in quel periodo, la stessa beneficiava dell’assegno di mantenimento di 450 euro mensili.

La Suprema Corte ha, in primis, evidenziato che non è necessaria la prova del cambiamento in meglio della condizione economica del coniuge a cui viene versato l’assegno, in quanto l’intervenuta convivenza fa cessare automaticamente il diritto all’assegno di divorzio (cfr. Cassazione n. 5974/2019)[1]. E’, infatti, principio consolidato che la formazione di una nuova famiglia da parte del percipiente l’assegno, faccia perdere il diritto allo stesso. In tal senso è sufficiente che l’obbligato che chiede di accertare la sopravvenuta insussistenza del diritto a percepire l’assegno divorzile, dimostri l’instaurazione di una relazione stabile dell’ex coniuge con un nuovo partner integrando tale prova una presunzione valida per far ritenere la formazione di una nuova famiglia di fatto e gravando sul beneficiario dell’assegno l’onere di provare che la convivenza in essere non integra la formazione di una nuova famiglia (cfr. Cass. n. 17453/2018). Sulla base di questi principi, a parere della Cassazione, bene ha interpretato la Corte territoriale i due elementi che hanno portato alla revoca dell’assegno: la garanzia personale, a decorrere dal 2007 e la frequentazione, dichiarata e confermata dalla stessa donna con il garante della fideiussione del canone locativo.

La Corte, inoltre, chiarisce che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., può rivestire sia la forma della violazione di legge (da interpretarsi come negazione o affermazione dell’esistenza o meno di una norma ovvero dell’attribuzione alla stessa di un significato inappropriato ), sia della falsa applicazione di norme di diritto, la quale si manifesta allorquando il giudice applica alla fattispecie concreta una norma diversa da quella corretta. Ciò può dipendere da un errore nella individuazione della norma generale e astratta, sotto la quale sussumere la fattispecie, o da un errore nello stesso accertamento dei fatti. Premesso ciò, gli ermellini chiariscono che le doglianze riguardanti l’erronea ricognizione della fattispecie concreta sulla base delle risultanze di causa, riguardano la valutazione del giudice di merito. La ricorrente ha contestato la valutazione della prova indiziaria compiuta dalla Corte d’Appello, tacciandola come vizio di violazione di legge e sollecitando una nuova valutazione nonostante nel giudizio di legittimità ciò non sia ammesso perchè cristallizzato sul piano processuale. Oggetto del vizio di cui al novellato art. 360[2], comma 1, n. 5, c.p.c, è “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”[3]. Spetta solo al giudice di merito il compito di individuare le fonti alla base del proprio convincimento e di scegliere tra le risultanze complessive del processo quelle ritenute idonee a dimostrare la veridicità dei fatti. Non è compito del giudice di legittimità sottoscrivere o meno la ricostruzione dei fatti contenuti nella decisione impugnata né reinterpretare gli elementi alla base della decisione di merito.

Per i motivi esposti, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento  delle spese del giudizio.

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Note

[1]In senso contrario, vedasi la sentenza n. 16982/2018, secondo la quale l’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento, cessa qualora l’altro coniuge instauri una convivenza stabile e continuativa con un’altra persona, salva la dimostrazione che la somma dei redditi di questa nuova convivenza non trasformi in melius le condizioni economiche.

[2]L’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012 ha riformulato l’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. che prevede, quale specifico vizio denunciabile per Cassazione, l’omesso esame di un “fatto storico”, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato discusso tra le parti e abbia carattere decisivo.

[3]Ordinanza n. 22786/2018.

Sentenza collegata

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francesca de carlo

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