La Corte di Cassazione (I sezione) con apposita ordinanza (n. 12060/2013) ha sollevato, in via incidentale e su richiesta di parte, questione di legittimità costituzionale verso numerose disposizioni della legge elettorale vigente, la n. 270/2005 (c.d. Porcellum). In questo intervento, ci soffermeremo sul primo profilo d’incostituzionalità rilevato dalla Suprema Corte, ossia se l’impossibilità in capo al cittadino elettore di esprimere la preferenza, indicando il nominativo di un deputato e di un senatore, si configuri in contrasto con gli artt. 56, comma 1, e 58, comma 1, della Costituzione laddove, rispettivamente per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, stabiliscono che il suffragio debba essere diretto oltre che universale, e con l’art. 48, comma 2, della Carta che indica la libertà quale caratteristica del voto.
In relazione al primo parametro inovocato, la Corte di Cassazione ritiene che l’espressione “suffragio diretto” presupponga una scelta da parte dell’elettore, con conseguente incostituzionalità del voto indiretto in qualsiasi forma esso possa essere “consegnato dal legislatore”.
In primo luogo, quale premessa generale, va osservato che il legislatore costituente ha preferito rimettere a quello ordinario la determinazione del sistema elettorale, a differenza di altre Carte costituzionali europee come quella di Weimar o quella spagnola del 1978, consentendo in questo modo il più rapido e facile adattamento del sistema elettorale al mutamento della situazione.
In secondo luogo, il riferimento degli art. 56, comma 1, e 58, comma 1, del Testo fondamentale al fatto che i due rami del Parlamento italiano devono essere eletti a suffragio universale e diretto indica, da un lato il divieto di una modalità di elezione fondata essenzialmente su un criterio ristretto e censitario, dall’altro che l’elezione debba svolgersi in una sola fase, avente cioè come effetto immediato la preposizione degli eletti nella carica (cfr., C. MORTATI, Istituzioni di Diritto Pubblico, Vol. I, Padova, Cedam, 1976, p. 436). Pertanto, alla luce di queste considerazioni, sarebbe incostituzionale solo una disposizione normativa di legge ordinaria che prevedesse la presenza di uno o più collegi ristretti di elettori selezionati, o meglio di grandi elettori, ai quali affidare in ultima analisi la scelta degli organi rappresentativi (Cfr., G. M. SALERNO, Art. 56 Cost., in V. CRISAFULLI – L. PALADIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Padova, Cedam, 1990, p. 363). Entrambi questi aspetti non sono per nulla messi in discussione dal Porcellum. Infatti, la legge elettorale vigente né limita l’esercizio del voto a questa o a quella categoria di elettori, né impedisce l’immediata immissione degli eletti all’interno delle due Assemblee parlamentari. Questo significa che, in base alla nostra Costituzione, non può ricavarsi alcuna declaratoria d’incostituzionalità per la previsione di liste bloccate di candidati, giacché questa circostanza non rientra nella nozione di suffragio diretto.
Più convincente, invece, ci pare il richiamo al carattere libero del voto, enunciato solennemente nell’art. 48, comma 2, della Costituzione, e utilizzato come ulteriore parametro dalla Cassazione nella sua ordinanza di rimessione per sostenere l’incostituzionalità della mancata preferenza ad opera dell’elettore. Sul punto, va evidenziato come la libertà del voto è stata sempre intesa quale divieto di indebiti condizionamenti esterni che incidano sulla determinazione dello stesso e quale necessità di offrire all’elettore la scelta tra più liste concorrenti. Restano, al contrario, estranee al dettato costituzionale, ad avviso della giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. n. 203/1975), le modalità e le procedure di formazione della volontà dei partiti o dei gruppi politici occasionali, poiché l’elettore resta pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato attraverso il voto di preferenza. Proprio quest’ultimo passaggio della sentenza n. 203/1975 della Corte costituzionale potrebbe quindi sollevare più di un dubbio sulla compatibilità a Costituzione, in particolare all’art. 48, comma 2, del sistema delle liste bloccate.
(1) Università degli Studi di Padova
(2) Giornalista. Esperto di sistemi politici e relazioni internazionali
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