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Premessa
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La dichiarazione di Rio
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Lo sviluppo sostenibile e la VAS
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Il ruolo della Provincia – L’esperienza della Provincia di Treviso
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– Il P.T.C.P.
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– Le finalità del Piano
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– Le funzioni di controllo della Provincia in materia ambientale
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Il quadro normativo e l’assetto delle competenze. Le criticità
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– La proliferazione normativa
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– La competenza dello Stato in materia di tutela dell’ambiente
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– La competenza della Regione in materia di pianificazione territoriale
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– La normativa sullo sviluppo economico
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conclusioni
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Premessa
Il contesto socio-economico attuale, la crisi, la ricerca di un nuovo assetto nel modello di sviluppo rendono il tema, se possibile, ancora più controverso e di difficile lettura.
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La dichiarazione di Rio
Nella dichiarazione di Rio del 1992, si affermava il principio secondo il quale: “Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all’ambiente ed allo sviluppo delle generazioni presenti e future. Al fine di pervenire ad uno sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo”.
Il problema di fondo resta sempre quello di conciliare sviluppo economico e tutela dell’ambiente.
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Lo sviluppo sostenibile e la vas
Presupposto fondamentale per giungere ad un equilibrio può essere riconosciuto nella definizione europea di sviluppo sostenibile; concetto questo che introduce ad uno sviluppo ammissibile in quanto “sostenibile” (cioè tale da non provocare il degrado irrecuperabile delle risorse disponibili, né per il presente né per il futuro) e che sollecita gli amministratori e i tecnici a considerare con nuova attenzione la valutazione continua della qualità delle loro previsioni nella pianificazione del territorio.
La L. R. veneta 11/2004, riprendendo gli indirizzi dati dalla Direttiva 2001/42/CE3, ha introdotto la Valutazione Ambientale Strategica come procedura per la costruzione sostenibile dei processi di pianificazione territoriale, sottoponendo quest’ultima alla “valutazione preventiva degli esiti prevedibilmente conseguenti alla trasformazione delle risorse territoriali indotta dalle politiche del territorio” permettendo così scelte progettuali che presentano maggiori probabilità di conseguire gli effetti desiderati e risultano più facilmente condivisibili.
Per perseguire la sostenibilità in modo concreto si dovrebbe fare riferimento al principio di precauzione, e questo significa riorientare l’intera economia e i modi di produrre e consumare.
Una rivoluzione di questo tipo è impensabile da realizzare in tempi brevi, pertanto dobbiamo considerare lo sviluppo sostenibile non come un obiettivo da conseguire celermente, ma piuttosto come una finalità da perseguire, che si sostanzia in un insieme di condizioni che devono essere rispettate nel governo delle trasformazioni del territorio.
Queste condizioni possono essere considerate sia come obiettivi specifici e sia come azioni da proporre per il conseguimento di un livello di qualità ambientale da raggiungere nel medio e lungo periodo e che devono essere integrate con tutte le proposte di trasformazione e sviluppo dei vari altri piani.
Parlando di sostenibilità, o meglio di “sviluppo sostenibile”, dobbiamo definire, se possibile in termini concreti, quali sono gli indicatori in grado di segnalare se una situazione è definibile sostenibile, e il limite oltre il quale le azioni sul territorio, determinate da esigenze socio-economiche, creano problemi (crisi) senza ritorno (irreversibili) al nostro sistema “territoriale-ambientale”.
Va comunque detto che la normativa in atto impone, in alcuni settori, il raggiungimento di determinati limiti, e pertanto il livello di sostenibilità può essere associato a valori analitici precisi, vedi indicatori per la qualità dell’aria, dell’acqua, del suolo, così come quelli per il rumore, o per le emissioni elettromagnetiche.
Se invece parliamo di territorio e/o uso del suolo ci troviamo di fronte ad una situazione completamente diversa.
Osservando le città, vediamo che ne esistono di dimensioni spaziali estremamente ampie; in cui vivono milioni di persone, con vari livelli di qualità della vita, forse non ottimali, ma per il fatto che continuino a viverci, che il numero di abitanti sia in costante ascesa, che difficilmente queste persone pensino di trasferirsi, ci fa ritenere che la qualità della vita è comunque sostenibile.
Per contro nel territorio agricolo, in alcune aree, la grande proliferazione di edificato sparso ha determinato una situazione estremamente complessa, certamente compromessa, che ha modificato il paesaggio in modo irreversibile, e che determina, in alcuni casi, problemi di forte disagio per gli esseri umani (vedi problemi connessi con gli odori determinati dallo spargimento liquami e il pericolo per la salute umana dovuto agli antiparassitari e composti chimici distribuiti sul territorio) ed anche per l’esistenza di alcune specie animali.
In questa situazione è davvero possibile, nella pianificazione territoriale, porsi come obiettivo fondamentale lo sviluppo sostenibile e quindi l’obiettivo di modificare in tutti i settori, che presentano una tendenza negativa nei confronti della sostenibilità, l’andamento degli indicatori ambientali?
In altre parole, è possibile modificare la tendenza a sfruttare le risorse ambientali al
di sopra della loro capacità di rigenerazione che ha caratterizzato fortemente gli ultimi decenni?
Di chi la responsabilità? Quali sono gli strumenti di tutela?
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Il ruolo della Provincia – L’esperienza della provincia di Treviso
4.1 – Il P.T.C.P.
Riducendo la prospettiva in ambito provinciale, un notevole sforzo è stato compiuto con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di recente approvazione, che ha fatto propri tali principi ispiratori, traducendoli in prescrizioni e direttive, seppure nel limitato ambito di competenza della Provincia.
4.2- Le finalità del piano
Il processo impostato dal PTCP guida la trasformazione del territorio trevigiano lungo finalità di sviluppo e riordino.
Il piano è infatti fondato sul presupposto secondo cui nel territorio provinciale nessuna politica di sviluppo è ammissibile se non sostenuta da una contestuale e correlata politica di riordino, ed anzi, è il graduale perseguimento di obiettivi di riordino che rende possibile il necessario avvio delle politiche di governo locale verso gli obiettivi di sviluppo senza ulteriore degrado del sistema delle risorse locali.
L’itinerario delle finalità, cui è riferito il PTCP, è dedotto in particolare anche dalle opzioni dichiarate negli ambiti regionale veneto e provinciale trevigiano e complessivamente condivise a tutti i livelli di confronto partecipativo e che sono:
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riordino e riqualificazione delle aree urbanizzate esistenti;
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ridotto consumo di nuovo suolo;
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valorizzazione e tutela delle aree naturalistiche, SIC e ZPS;
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costruzione di una rete ecologica;
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riassetto idrogeologico del territorio;
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realizzazione di nuove infrastrutture;
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trasformazione di infrastrutture esistenti;
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valorizzazione del turismo;
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recupero delle valenze monumentali;
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valorizzazione e tutela del territorio agroforestale;
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protezione e difesa da inquinamento;
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protezione civile.
Essi sono stati confrontati con le criticità individuate sul territorio provinciale che qui si richiamano sinteticamente:
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la disseminazione di aree produttive;
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la criticità della viabilità/mobilità;
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la disseminazione delle edificazioni in zona agricola;
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i problemi di carattere idrogeologico (in fase di analisi);
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le trasformazioni del paesaggio;
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lo stato dei centri storici;
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la scarsa qualità dell’aria in alcune zone della provincia (in fase di analisi);
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la qualità delle acque superficiali e sotterranee (in fase di analisi);
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la carenza di aree naturali in alcune parti della provincia;
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la carenza di piani logistici di livello sovra-aziendale;
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la mancanza di attenzione all’innovazione tecnologica;
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la carenza di servizi qualificati alle imprese;
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le dimensioni troppo piccole delle imprese.
In particolare, durante la stesura del Piano, alcuni obiettivi, relativi agli aspetti insediativi, sono stati definiti in maniera puntuale, ovvero:
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contenimento di ulteriori iniziative edificatorie improprie nel territorio agricolo;
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graduale liberazione del territorio agricolo dall’edificato improprio esistente, sia abitativo che produttivo;
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progressiva concentrazione, per iniziativa pubblica e/o imprenditoriale, delle attività produttive del settore secondario disperse nel territorio agricolo ed urbano, ovvero di nuovo impianto, in poli attrezzati connessi ai maggiori sistemi infrastrutturali esistenti, secondo programmi ed a condizioni di interesse generale, e prevalentemente raggruppate per omogeneità di comparto o filiera;
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progressiva concentrazione, per iniziativa pubblica, imprenditoriale o proprietaria, delle abitazioni improprie disperse nel territorio agricolo in nuovi borghi attrezzati secondo programmi ed a condizioni di interesse generale;
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interventi edificatori abitativi attrezzati di nuovo impianto e/o di rinnovo in compendi territoriali di adeguata estensione, esclusivamente nelle frange urbane e/o nella città consolidata e/o in aree dismesse esterne agli abitati, per iniziativa pubblica od imprenditoriale secondo programmi ed a condizioni di interesse generale;
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interventi edificatori abitativi in aree di minore estensione esclusivamente nelle frange urbane e nella città consolidata per il riordino/rinnovo degli ordìti insediativi esistenti;
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interventi di recupero urbanistico ed edilizio nei centri storici, delle ville venete e dei complessi ed edifici di significativo carattere culturale ed ambientale, e pertinenze afferenti, secondo programmi ed a condizioni di interesse generale;
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sostegno alla diffusione coordinata della fruizione turistica in tutto il territorio provinciale;
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sostegno alla crescita ed alla diffusione delle opere e prestazioni per il risarcimento/superamento di condizioni di disagio sociale;
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collegamenti ai nuovi grandi tracciati infrastrutturali dell’Unione Europea e della Regione Veneto;
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previsione di modifiche ed integrazioni alla rete viaria locale, per il miglioramento delle condizioni di mobilità all’esterno degli abitati, per la deviazione degli attraversamenti all’ interno di essi e per la connessione tra i compendi insediativi destinati alle attività economiche aggregate ed i nodi di interscambio della mobilità;
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tutela dei caratteri strutturali, naturalistici, percettivi e documentari delle risorse del territorio provinciale.
Gli obiettivi saranno progressivamente realizzati dai PAT (Piani di Assetto del Territorio comunali) e dai PI (Piano degli Interventi) con programmi d’intervento, ai quali il PTCP riconosce il carattere di rilevante interesse generale, che potranno essere realizzati alla luce della capacità economica che è insita nei nuovi strumenti urbanistici.
La trasformazione territoriale, infatti, esige investimento di risorse che possono essere prodotte, in misura prevalente, dalle iniziative di investimento basate sull’uso/trasformazione delle risorse immobiliari offerte ai promotori economici dalle previsioni urbanistiche.
Con queste operazioni di carattere prevalentemente privatistico che attengono a processi e programmi di trasformazione insediativa, si deve ottenere, oltre alla remunerazione delle risorse imprenditoriali a sostegno della continuità dei cicli di crescita, anche una sostanziale ricaduta sociale derivante non dall’incremento della capacità impositiva delle Amministrazioni pubbliche di competenza territoriale, ma da accordi tra il privato ed il pubblico che possano garantire risorse economiche per l’investimento sociale e la qualificazione ambientale.
Si delinea così, per le politiche pubbliche della trasformazione insediativa, un più convincente ed utile ruolo verso uno “sviluppo sostenibile”.
La disciplina della trasformazione materiale, formale, funzionale degli insediamenti, non più finalità unica e neppure prevalente di un qualche “ordinato assetto del territorio”, assume il ruolo di supporto
normativo condizionante di processi di trasformazione i cui obiettivi sono prioritariamente la qualificazione ambientale e lo sviluppo economico.
Questi dovranno essere conseguiti mediante azioni e norme che puntino alla tutela delle qualità in atto, al recupero delle qualità degradate, alla rifondazione delle qualità perdute od inesistenti, sostituendo la conservazione per vincoli con la politica della trasformazione per condizioni, consistente non più nel proteggere per vincoli ma nel progettare per condizioni.
E’ però anche vero che queste politiche della trasformazione sostenibile potrebbero, in particolare nel mercato immobiliare, indurre tendenze verso l’eccesso incontrollato dell’offerta, ma esse, se mai si manifestassero, dovrebbero essere rilevate attraverso il monitoraggio del Piano e quindi corrette con le azioni di gestione di quest’ultimo.
La questione da porre a questo punto è quella dell’efficacia in concreto di tale sforzo pianificatorio.
Costruzione di strade e rotonde, pianificazione eolica e fotovoltaica, ripristini di cave, rete di corridoi naturalistici, multifunzionalità delle aziende agricole, gestione di aree protette e archeologiche: le problematiche del territorio vanno oggi ormai ben oltre i soli temi dell’architettura e della città.
La pianificazione può ancora avere un ruolo se si riconosce ad essa un ruolo guida, uno strumento guida per una nuova cultura del territorio.
- – Le funzioni di controllo della Provincia in materia ambientale
La Provincia è inoltre autorità amministrativa di controllo in materia ambientale; tale competenza è ribadita dall’art. 19, comma 1, del D. Lgs. 267/2000 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, oltre che, nelle specifiche materie, dal D. Lgs. 152/2006 e dalla normativa regionale vigente.
In particolare l’art. 197 del D. Lgs. 152/2006 prevede che alle province competono:
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il controllo e la verifica degli interventi di bonifica ed il monitoraggio ad essi conseguenti;
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il controllo periodico su tutte le attività di gestione, di intermediazione e di commercio dei rifiuti, ivi compreso l’accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto;
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la verifica ed il controllo dei requisiti previsti per l’applicazione delle procedure semplificate, con le modalità di cui agli articoli 214, 215, e 216;
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l’individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento di cui all’articolo 20, comma 2, del D. Lgs. 267/2000, ove già adottato, e delle previsioni di cui all’articolo 199, comma 3, lettere d) e h), nonché sentiti l’Autorità d’ambito ed i comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti.
Ai fini dell’esercizio delle proprie funzioni le province possono avvalersi, mediante apposite convenzioni, di organismi pubblici, ivi incluse le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA), con specifiche esperienze e competenze tecniche in materia.
Gli addetti al controllo sono autorizzati ad effettuare ispezioni, verifiche e prelievi di campioni all’interno di stabilimenti, impianti o imprese che producono o che svolgono attività di gestione dei rifiuti. Il segreto industriale non può essere opposto agli addetti al controllo, che sono, a loro volta, tenuti all’obbligo della riservatezza ai sensi della normativa vigente.
Nell’ambito delle funzioni di controllo, le Province sono chiamate a sottoporre ad adeguati controlli periodici gli stabilimenti e le imprese che smaltiscono o recuperano rifiuti, curando, in particolare, che vengano effettuati adeguati controlli periodici sulle attività sottoposte alle procedure semplificate e che i controlli concernenti la raccolta ed il trasporto di rifiuti pericolosi riguardino, in primo luogo, l’origine e la destinazione dei rifiuti.
Nell’ambito delle specifiche competenze in materia di controllo, spetta, altresì, alla Provincia l’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, previste dalla normativa in materia di rifiuti, i cui proventi, ai sensi dell’art. 263 del D. Lgs. 152/2006, vanno destinati all’esercizio delle funzioni di controllo in materia ambientale.
Nel difficile compito di assicurare un efficace controllo del territorio, è assolutamente necessario ricercare le maggiori sinergie possibile con tutti gli Enti e le forze di Polizia che operano in materia ambientale.
In questo contesto, una positiva esperienza si è sviluppata in Provincia di Treviso.
L’Amministrazione Provinciale, al fine di razionalizzare le azioni di controllo di tipo ambientale, ha intensificato il proficuo rapporto di collaborazione esistente con il Coordinamento Provinciale del Corpo Forestale dello Stato e con il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri.
A tale riguardo tra la Provincia di Treviso, il Coordinamento Provinciale del Corpo Forestale e il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri è stata condivisa l’opportunità di definire appositi Protocolli di Intesa.
Le azioni vengono concordate e coordinate in incontri periodici, con la partecipazione dei referenti della Provincia, dell’Arpav (Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione Ambientale per il Veneto), del Coordinamento Provinciale del Corpo Forestale dello Stato e del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Treviso.
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Il quadro normativo e l’assetto delle competenze. Le criticità
Malgrado gli sforzi l’attività di tutela dell’ambiente risulta sempre più difficile.
5.1 – La proliferazione normativa
Il quadro normativo di riferimento è desolante.
Assistiamo ad una proliferazione di norme, di riforme e contro-riforme, nella gestione del territorio e dell’ambiente che disorienta anche chi è chiamato ogni giorno a tentare di darne applicazione.
Il Testo Unico (unico solo di nome in realtà) dal 2006 ad oggi è stato soggetto a continue modifiche e riscritture radicali.
A tale situazione, va aggiunto il difficile assetto di competenze: allo Stato la tutela dell’ambiente, alle Regioni il governo del territorio.
5.2 – La competenza dello Stato in materia di tutela dell’ambiente
Nell’esercizio delle proprie competenze in materia di tutela e valorizzazione dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, le Regioni sono tenute a rispettare la disciplina dettata dalle leggi statali, le quali, per quanto riguarda la “tutela”, prevedono il conferimento alle Regioni di precise funzioni amministrative, imponendo per il loro esercizio il rispetto del principio di cooperazione tra Stato e Regioni, e, per quanto riguarda le funzioni di “valorizzazione”, dettano i principi fondamentali che le Regioni stesse sono tenute ad osservare.
Nel nuovo art. 117 della Costituzione, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema viene riconosciuta come valore di rilevanza costituzionale e quindi come interesse trasversale o orizzontale collegato funzionalmente alle varie materie di competenza statale e regionale.
La competenza esclusiva dello Stato trova fondamento nella necessità dì una effettiva uniformità ed omogeneità strategica dell’azione di tutela, su tutto il territorio nazionale, e nella esigenza di definire dei livelli minimi di protezione.
5.3 – La competenza della Regione in materia di pianificazione territoriale
Ad avviso della Corte Costituzionale, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., nel governo del territorio e nella pianificazione territoriale lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio.
La relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi.
5.4 – La normativa sullo sviluppo economico
Appare sempre più difficile conciliare le norme ambientali con i vari interventi normativi, spesso non coordinati, in materia di sviluppo economico e incentivi alle attività produttive.
Pochi esempi per rendere l’idea della complessità della questione:
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La normativa sullo sportello unico delle attività produttive consente, seppure entro certi limiti, l’ampliamento delle attività esistenti anche in zona impropria, così di fatto superando tutti i livelli di pianificazione;
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La recentissima introduzione della s.c.i.a. (segnalazione certificata di inizio attività) che sostituisce la d.i.a., portandosi dietro dubbi di applicazione in materia edilizia o di applicazione della normativa ambientale, con il dichiarato fine di consentire la cosiddetta “impresa in un giorno”, appare difficilmente inquadrabile in un contesto di efficace pianificazione.
Gli esempi potrebbero continuare a lungo.
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Conclusioni
La tendenza evidente è quella di trasformare la presenza e il ruolo della pubblica amministrazione da soggetto regolatore delle attività a controllore successivo della regolarità e liceità delle attività dichiarate e avviate.
Al lodevole intento di snellire le procedure burocratiche, l’appesantimento normativo, fa da contrasto la dubbia capacità dell’amministrazione di riuscire ad espletare meglio le funzioni assegnate per la tutela del territorio.
Spesso la nitidezza degli obiettivi teorici contrasta con i limiti degli strumenti metodologici e normativi che abbiamo a disposizione: persiste tutta una serie di norme obsolete o mal ridisegnate, ridondanti se non contraddittorie, e di competenze troppo frammentate e ingombranti che continuano a creare ostacoli ad una corretta gestione dei beni e ad una giusta evoluzione dei processi di sviluppo.
Stato e Regioni, Province e Comuni, Enti Pubblici e Ordini Professionali, Parchi e Soprintendenze, tutti devono trovare, al di fuori degli schemi tradizionali, momenti veri di autocritica e tavoli di confronto e di verifica reale per dare ai propri organismi le occasioni e le modalità per costruire davvero insieme un nuovo rinascimento umanistico di cui il bel paesaggio sia specchio fedele.
Perché mai l’amministrazione, senza interventi strutturali che ne migliorino l’efficienza, dovrebbe riuscire in modo più tempestivo nell’attività di controllo successivo piuttosto che in quello preventivo?
Se si vuole ancora tentare di tutelare il territorio, va dato nuovo impulso ad una pianificazione territoriale moderna che individui, come prassi pianificatoria, le misure di compensazione, per il riequilibrio delle qualità ecologiche, ambientali e paesaggistiche, da attuare per qualsiasi intervento esterno alle aree già urbanizzate, ciò al fine di rispettare il principio della sostenibilità.
Sarà necessario che Comuni, Provincia, Regione ed altri Enti di governo del territorio operino in modo coerente e concertato, che siano attribuiti agli obiettivi priorità e che si cerchi di conseguirli in sinergia.
Tutti devono trovare, al di fuori degli schemi tradizionali, momenti veri di autocritica e tavoli di confronto e di verifica reale per uno sforzo condiviso, fra tutti i soggetti del territorio, pubblici e privati, per riaffermare il primato dell’ambiente.
Per continuare a fare il nostro lavoro, bisogna crederci fino in fondo e forse è ancora possibile raggiungere buoni risultati.
Dott. Carlo Rapicavoli
Direttore Generale e Dirigente del Settore Ambiente e Pianificazione Territoriale della Provincia di Treviso
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