Il perno centrale del principio autonomistico delle università può essere individuato all’articolo 33 della Costituzione che al primo comma recita “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, nonché al sesto comma che proclama che le università hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
Dati questi brevi cenni, il principio autonomistico nell’università è un percorso molto lungo che viene proclamato con la Costituzione ma per il quale bisogna attendere la legge 9 maggio 1989, n. 168[1]. Difatti, l’articolo 6 della di tale legge, rubricato “autonomia delle università”, dispone che “Le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.”.
Pertanto, da tale dettato si individuano le seguenti autonomie: didattica, scientifica, organizzativa, normativa, finanziaria e contabile.
Infine, la legge del 30 dicembre 2010, n. 240[2], che ha avuto lo scopo di incrementare l’autonomia universitaria, anche dal punto di vista dei propri organi di governo e delle strutture, al fine di incentivare il merito, la valorizzazione, le responsabilità, l’efficienza e la qualità del sistema universitario. È indubbio come alla legge 9 maggio 1989, n. 168, venga attribuito il merito del riconoscimento dell’autonomia universitaria sancita dal dettato costituzionale.
Autonomia didattica
L’autonomia didattica consiste nel riconoscere a ciascuna università la potestà di emanare un proprio Regolamento didattico di Ateneo che disciplina le attività formative, gli obiettivi formativi, le classi di appartenenza dei corsi di studio, nonché detta la disciplina per il rilascio dei vari titoli di studio. La legge del 1989 ha introdotto l’autonomia didattica, ma il percorso viene concluso con l’emanazione del decreto ministeriale n. 509 del 1999 che definisce la nuova tipologia dei titoli di studio che gli Atenei possono rilasciare e, allo stesso tempo, conferisce agli stessi l’autonomia di determinare la propria offerta formativa, potendo scegliere sulle denominazioni e i curricula dei corsi di studio.
Autonomia scientifica
La previsione del riconoscimento dell’autonomia scientifica avviene con i principi costituzionali indicati nell’articolo 9 che dispone “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” e, inoltre, dall’articolo 33 della Costituzione che recita “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
Il riconoscimento dell’autonomia scientifica all’università avviene con il Decreto del Presidente della Repubblica dell’11 luglio 1980, n. 382 che, appunto, dispone l’università come sede primaria di libera ricerca, istituisce il dipartimento universitario, il dottorato di ricerca e il ruolo del ricercatore, nonché ha previsto la possibilità di stipulare contratti e convenzione per attività di ricerca, anche per conto terzi. Successivamente, la legge 9 maggio 1989, n. 168, nell’istituire il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST), oggi Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), all’articolo 6 sottolinea il ruolo fondamentale affidato alla ricerca, riconoscendole a tutti gli effetti l’autonomia scientifica.
Autonomia organizzativa
Per autonomia organizzativa si intende la potestà di ogni ateneo di creare e gestire le strutture organizzative interne necessarie al suo funzionamento e al perseguimento dei fini istituzionali. Tale autonomia può essere ricollegata all’articolo 2, comma 1, del d.lgs. 165 del 2001 che recita:
“Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive. Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:
a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. A tal fine, periodicamente e comunque all’atto della definizione dei programmi operativi e dell’assegnazione delle risorse, si procede a specifica verifica e ad eventuale revisione;
b) ampia flessibilità (dei dirigenti che assumono le determinazioni per l’organizzazione degli uffici come previsto dall’articolo 5, comma 2 del d.lgs. 165 2001) garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali da assumersi ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici;
d) garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, anche attraverso l’istituzione di apposite strutture per l’informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;
e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell’utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell’Unione europea.”
Autonomia normativa
L’autonomia normativa si concretizza nel potere di emanare atti normativi aventi valore vincolante come gli statuti e i regolamenti. Gli statuti e i regolamenti sono fonti secondarie e pertanto rappresentato il potere normativo da parte della pubblica amministrazione di darsi ordinamenti autonomi. Lo Statuto rappresenta le linee fondamentali dell’amministrazione, l’individuazione degli organi e delle strutture, nonché le loro principali attribuzioni. I regolamenti sono atti formalmente amministrativi ma sostanzialmente normativi, non possono derogare a norme di legge o alla Costituzione e non possono prevedere sanzioni penali. I regolamenti sono, pertanto, atti integrativi e/o attuativi dello Statuto e la loro funzione consiste nel regolamentare nel dettaglio una particolare materia o le funzioni attribuite ad un organo.
Autonomia finanziaria e contabile
L’autonomia finanziaria è stabilita dall’articolo 6, comma 1, della legge 168 del 1989, che recita “Le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.”. Il successivo articolo 7 è rubricato proprio “autonomia finanziaria”.
Tale articolo, al comma 1, indica le tre tipologie di entrate dell’università, individuabili in primo luogo nei trasferimenti dello Stato, in secondo luogo nei contributi obbligatori nei limiti della normativa vigente e, infine, in tutte quelle forme autonome di finanziamento, quali contributi volontari, proventi di attività, rendite, frutti e alienazioni del patrimonio, atti di liberalità e corrispettivi di contratti e convenzioni.
L’autonomia finanziaria degli Atenei comporta anche che le somme non impegnate da ciascuna università nel corso dell’esercizio finanziario vanno ad incrementare le disponibilità dell’esercizio successivo[3].
Inoltre, incrementa la responsabilità degli Atenei in riferimento alla gestione delle risorse, prevedendo in capo agli Atenei una programmazione finanziaria annuale e triennale. In aggiunta, gli Atenei regolamentano in autonomia, entro i limiti di legge, il regime delle tasse e dei contributi degli studenti.
Infine, le università adottano un regolamento di ateneo per l’amministrazione, la finanza e la contabilità, emanato con decreto rettorale[4]. Tale regolamento disciplina i criteri, le relative procedure amministrative e finanziarie e le connesse responsabilità, in modo da assicurare la rapidità e l’efficienza nell’erogazione della spesa e il rispetto dell’equilibrio finanziario del bilancio, consentendo anche la tenuta di conti di sola cassa. Il regolamento disciplina altresì le procedure contrattuali, le forme di controllo interno sull’efficienza e sui risultati di gestione complessiva dell’università, nonché dei singoli centri di spesa, e l’amministrazione del patrimonio. Pertanto, la previsione di tale regolamento rappresenta la piena espressione anche dell’autonomia finanziaria della gestione[5].
Volume consigliato
Amministrazione Digitale – e-Book in pdf
Il processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione ha avuto di recente una brusca accelerazione a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Dopo una prima fase di digitalizzazione forzata di alcune attività amministrative – che si è resa necessaria in seguito all’adozione da parte del Governo italiano di misure di contenimento della pandemia – nel corso dei mesi è emersa con evidenza l’esigenza di giungere, in prospettiva futura, alla conclusione del percorso di trasformazione digitale avviato oltre quindici anni fa ma ancora, in larga parte, incompiuto. Il Decreto Legge “Semplificazioni” (D.l. n. 76/2020) contiene alcune disposizioni molto rilevanti in materia di digitalizzazione dell’attività amministrativa: si tratta di uno dei provvedimenti normativi più importanti degli ultimi anni. La parola chiave è “switch off”, cioè “spegnere”, ovvero abbandonare le modalità di lavoro ed erogazione dei servizi diverse da quelle indicate dal Legislatore. Dopo una lunga convivenza forzata con la carta, la modalità digitale diventa (obbligatoriamente) l’unica modalità di gestione dei procedimenti amministrativi e di erogazione di servizi pubblici a cittadini e imprese. Due le novità rispetto al passato. Da un lato il termine assai breve dato alle amministrazioni per organizzarsi e una scadenza ravvicinatissima: il 28 febbraio 2021. Dall’altro, l’obbligo di ricorrere a soluzioni, sistemi e piattaforme unici per tutte le amministrazioni (SPID, CIE, pagoPA, appIO). Il segnale è chiaro: non ci sono più scuse per rimandare la trasformazione digitale che diventa, quindi, una vera e propria urgenza per tutte le amministrazioni. La presente analisi si propone di mettere in fila le prossime scadenze per provare a stimolare un approccio alla trasformazione digitale in cui i singoli adempimenti, non più trattati come monadi, siano considerati, in una prospettiva unitaria, come una parte di una strategia complessiva. La scelta di realizzare una guida agli switch off trova ragion d’essere proprio nella necessità per le amministrazioni di avere, alla luce dei recenti interventi legislativi, un quadro sistematico e aggiornato delle norme vigenti. Questo testo – almeno nelle intenzioni e anche attraverso il tono discorsivo dell’esposizione – vuole essere utile non solo alle amministrazioni, ma anche ai loro fornitori e consulenti che vogliano approfondire in modo agevole le attività da porre in essere per concludere il processo di trasformazione digitale. La trattazione, che non ha pretesa di esaustività, mira a fornire una sintetica ma puntuale guida alle principali scadenze che vengono analizzate criticamente con l’indicazione di tutte le risorse utili per un ulteriore approfondimento. Siamo sempre più convinti, infatti, che la crescente complessità delle regole dell’amministrazione digitale sia una delle ragioni della loro scarsa attuazione. Il primo capitolo è dedicato all’introduzione alla normativa e alla strategia nazionale sulla trasformazione digitale. Il secondo capitolo contiene una ricostruzione complessiva degli obblighi in capo alle amministrazioni e dei diritti digitali di cittadini e imprese. Il terzo capitolo approfondisce gli switch off del 28 febbraio 2021 e le attività da effettuare entro tale data. Il quarto capitolo, infine, ricostruisce le sanzioni e le responsabilità per gli Enti che non ottemperano al dettato normativo. L’obiettivo, ambizioso, è quello di aiutare le amministrazioni in questo delicato passaggio, fondamentale per renderle sempre meno distanti dai cittadini e sempre più orientate al servizio della comunità. Ernesto BelisarioAvvocato cassazionista, è specializzato in diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione. Si occupa da anni di diritto delle tecnologie e innovazione nel settore pubblico, assistendo imprese e pubbliche amministrazioni in questioni relative al diritto delle tecnologie e del diritto amministrativo in ambito stragiudiziale e giudiziale. È stato Consigliere del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e componente del Tavolo permanente per l’innovazione e l’Agenda digitale italiana. È il curatore di lapadigitale.it, progetto di informazione e formazione di Maggioli Editore.Francesca RicciulliAvvocato. Assiste pubbliche amministrazioni, imprese e società pubbliche in questioni relative al diritto amministrativo e al diritto delle tecnologie, con particolare riferimento alla trasparenza dell’attività amministrativa, ai contratti pubblici e alle varie implicazioni del processo di digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni.Stelio PagnottaICT e communication consultant. Si occupa di comunicazione istituzionale, con particolare riferimento al settore della digitalizzazione della pubblica amministrazione. Giornalista pubblicista, è autore di articoli e pubblicazioni in materia di diritto delle nuove tecnologie e innovazione nella PA.
Ernesto Belisario, Francesca Ricciulli, Stelio Pagnotta | 2021 Maggioli Editore
14.90 €
Note
[1] Avente ad oggetto “Istituzione del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica”.
[2] Recante “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario“.
[3] Articolo 7, comma 3, legge del 9 maggio 1989, n. 168.
[4] Articolo 7, comma 7, legge del 9 maggio 1989, n. 168.
[5] Articolo 7, comma 8, legge del 9 maggio 1989, n. 168.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento