La Buona Fede si presenta come una regola di condotta dal contenuto non predeterminato, non codificato
Indice
1. La buona fede
Dal tessuto codicistico, emerge, invero, l’art. 1337, C.c., che impone alle parti, già nella fase precontrattuale e nella formazione del contratto, di comportarsi correttamente e lealmente. Aggiungasi, poi, che, a mente, dell’art. 1338, C.c., l’obbligo di correttezza si spinge sino al punto di sanzionare la condotta di colui che conoscendo, ovvero dovendo conoscere, cause d’invalidità del contratto non le abbia comunicate alla controparte. Con la conseguenza che l’inadempiente a tal obbligo d’informazione sarà chiamato a risarcire il danno che l’altra parte ha subito per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto. Vogliamo precisare, che, in subiecta materia, trattasi del danno da risarcimento dell’interesse negativo. Ciò che si è chiamati a risarcire, giustappunto, è, dal punto di vista del lucro cessante, l’interesse ad non esser coinvolto in trattative inutili, mentre, da quello del danno emergente, le some spese per la gestione delle medesime.
Dobbiamo mettere in evidenza che l’art. 1337, C.c., non enuncia, a priori, una catalogazione dei comportamenti che la parte dovrebbe osservare ogni qual volta entri in contatto con un’altra parte.
Ciò, in dottrina ed in giurisprudenza, si esprime dicendo anche che la norma da ultima evocata è una clausola generale di Buona Fede, con ciò intendendo significare che essa non contiene una tipizzazione dei comportamenti cui le parti sono chiamati ad osservare nella contrattazione.
Dal formante giurisprudenziale, apprendiamo che l’obbligo di Buona Fede può declinarsi in diverse modalità di condotta, ciò che, per esempio, può tradursi in obbligo d’informazione di circostanze che possono mettere a rischio la posizione contrattuale della controparte.
È ormai principio di diritto che le parti devono comportarsi secondo Buona Fede a prescindere da specifici obblighi contrattuali ovvero extracontrattuali eventualmente imposti dalla clausola generale di cui all’art. 2043, C.c.
Il fondamento “etico” della Buona Fede si rinviene in quell’obbligo di solidarietà sociale ben espresso dall’art.2 della Costituzione. (Cass. Civ., Sez. Un., n. 26972 del 2008; Idem, Sez. Un., n. 21658 del 2009).
In tal direzione, la giurisprudenza della Suprema Corte già si esprimeva negli anni’80 affermando che “La buona fede, intesa in senso etico, come requisito della condotta, costituisce uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni e forma oggetto di un vero e proprio dovere giuridico, che viene violato non solo nel caso in cui una delle parti abbia agito con il proposito doloso di recare pregiudizio all’altra, ma anche se il comportamento da essa tenuto non sia stato, comunque, improntato alla diligente correttezza ed al senso di solidarietà sociale, che integrano, appunto, il contenuto della buona fede“.(Cass. civ., Sez. II, n. 960 del 18 febbraio 1986).
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2. Il canone della buona fede nel tessuto codicistico. La Relazione Ministeriale al Codice Civile del 1942.
Ed è proprio dalla disciplina genarle delle obbligazioni, di cui al Libro quarto del Codice civile,
che il legislatore ha già inteso esplicitare, nella formulazione dell’art. 1175, C.c., l’obbligo delle parti di comportarsi secondo correttezza. Anzi, ciò induce ad una riflessione, nel senso, cioè, che ancor prima di disciplinare la materia contrattualistica, a partire dall’art. 1321, Ss., C.c., il legislatore ha inteso sottolineare che l’obbligo, nel contatto sociale, di uniformarsi a questa generale regola di condotta precede la fase contrattualistica.
Dall’apparato normativo, emerge che l’esortazione rivolta alle parti a comportarsi correttamente si rinviene anche nella fase d’esecuzione del contratto laddove, a mente dell’art. 1375, C.c., si stabilisce che il contratto deve esser eseguito secondo Buona Fede.
Sovviene, in questa direzione, quanto espresso nella Relazione Ministeriale al Codice civile, laddove si afferma, in merito al concetto di buona fede, che “Trasferito tale concetto di solidarietà nell’ambito del rapporto obbligatorio…richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”. (Relazione Ministeriale al Codice civile del 1942, par. 558, pag.117).
Ecco, quindi, facendo nostre le parole poc’anzi tratte dalla suddetta Relazione Ministeriale, il richiamo a quel principio, di cui innanzi abbiam fatto cenno, che impegna, ciascuna parte, a salvaguardare l’interesse giuridico dell’altra, ma nei limiti, però, in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio delle proprie ragioni.
Possiamo pervenire ad una considerazione, e, cioè, che il canone della Buona Fede rappresenta un limite interno della posizione soggettiva contrattuale volto ad evitare che un eccessivo ossequio alla legalità formale trasmodi, poi, in un sacrifico della “giustizia sostanziale”, e, quindi, in un abuso degli strumenti del diritto.
3. La declinazione dell’obbligo di Buona Fede. Un caso pratico.
Ora, proprio partendo da quest’ultima considerazione, e, cioè, su come la Buona Fede, poi, rappresenti un limite interno alla posizione contrattuale soggettiva, si pensi a due soggetti, i quali, l’uno in veste di promissario acquirente, e, l’altro, in quella di promittente venditore, si determino alla stipulazione d’un contratto preliminare avente ad oggetto la prestazione, reciproca, del consenso per la successiva stipulazione d’un contratto definitivo avente ad oggetto il trasferimento della proprietà d’un bene immobile. Aggiungasi, poi, che il bene oggetto della traslazione sia gravato da una formalità pregiudizievole, cioè, da un’ipoteca che l’alienante s’impegna a cancellare.
Giunti al rogito, l’alienante palesa di non voler procedere contestualmente al pagamento del prezzo d’acquisto all’estinzione dell’ipoteca, chiedendo ulteriore termine d’una settimana e manifestando, anzi, l’intenzione di depositare quanto si verrebbe a corrispondere nelle mani del notaio rogante a garanzia dell’estinzione della predetta formalità pregiudizievole.
Il notaio, dal lato suo, manifesta all’acquirente che, per prassi, si è sempre proceduto, contestualmente all’adempimento della controprestazione, ossia al pagamento del prezzo, alla cancellazione ovvero al trasferimento dell’eventuale ipoteca di cui l’immobile potrebbe esser gravato, che, comunque, rinviare tal operazione potrebbe esporre il medesimo compratore ad oneri non anticipatamente quantificabili.
L’acquirente, pertanto, conveniva in giudizio, la promittente venditrice per esser stata inadempiente all’obbligo di tenere indenne l’immobile dall’ipoteca alla stipula del rogito, esercitando, ivi, altresì, il recesso dal contratto preliminare con restituzione del doppio della caparra. Si costituiva nel giudizio la promittente alienante, la quale eccepiva che l’acquirente, giammai, avrebbe potuto esercitare il recesso, avendo, stragiudizialmente, esercitato il diritto di risoluzione contrattuale con diffida, e, oltre, che la stessa parte acquirente, semmai, era inadempiente all’obbligo di Buona Fede per non aver concesso che si addivenisse alla stipulazione del rogito con spostamento del termine per il trasferimento dell’ipoteca.
Così tratteggiati i contorni del caso che ci occupa, la soluzione cui perviene la Corte territoriale manifesta un ossequio ai quei principi di diritto di cui abbiam innanzi discettato.
In disparte, per un momento, il crinale della Buona Fede, il Giudicante si occupa di precisare, facendo corretta applicazione dei principi enunciati dalla Sezioni Unite (Cass. Civ., Sez. Un., n. 553 del 14 gennaio 2009), che, invero, non è precluso ad una parte, che abbia già, in via stragiudiziale, esercitato la risoluzione del contratto di diritto, con contestuale richiesta di risarcimento dei danni, esercitare, poi, in sede processuale, il recesso dal contratto con contestuale restituzione della caparra a causa dell’inadempimento dell’altra.
Cosicché, contrariamente alla tesi di parte convenuta, l’attrice avrebbe agito esercitando un proprio diritto, quello di chiedere il recesso dal contratto preliminare con contestuale restituzione del doppio della caparra, non essendogli, questa facoltà, preclusa dall’aver esercitato, prima e fuori dal giudizio, la risoluzione di diritto del contratto in questione.
Venendo, ora, alla questione dell’inadempimento dell’obbligo di Buona Fede, lo stesso Giudicante rileva, in punto di diritto, che l’acquirente affatto si è resa inadempiente a tal obbligo, e ciò facendo, anche in tal caso, corretta applicazione dei principi di diritto elaborati in materia dalla giurisprudenza.
Pertanto, s’è vero, da un lato, anche facendo perno su quanto riportato nella prefata relazione, che ciascuna delle parti deve salvaguardare l’interesse e la posizione contrattuale dell’altra, è, tuttavia, altrettanto vero che tal salvaguardia deve avvenire nei limiti in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio della propria posizione.
E per il Giudicante, domandar all’acquirente di spostare il termine per la cancellazione dell’ipoteca gravante sul cespite promesso in vendita, comporta un “apprezzabile sacrificio” della posizione contrattuale di quest’ultimo, atteso l’impossibilità, ex ante, di quantificare gli eventuali oneri per provvedere all’estinzione di tal formalità laddove poi l’alienante si manifestasse inadempiente. Si conclude, pertanto, con l’accoglimento della domanda di parte attrice acquirente, sicché con il recesso dal contratto preliminare per inadempimento del promittente alienante e contestuale restituzione del doppio della caparra ricevuta da parte di quest’ultima. (Trib. Reggio Emilia, Sent. n. 358 del 21 febbraio 2013).
4. Conclusioni
Abbiam appreso, scrutinando la giurisprudenza in esame, che l’obbligo di Buona Fede e di Correttezza pervade il tessuto ordinamentale codicistico, dal momento della genesi dell’obbligazione, per via dell’art. 1175, C.c., fino all’esecuzione del contratto, ex art. 1375, C.c., passando per la fase delle trattative e della sua formazione, ex artt. 1337, 1338, C.c.
Che l’obbligo d’attivarsi secondo il modello di condotta della Buona Fede prescinde da specifici obblighi contrattuali ovvero extracontrattuali, non codificabili a priori, trattandosi di una clausola generale di solidarietà, spingendo, semmai, le parti ad impegnarsi affinché sia salvaguardata la posizione contrattuale della controparte, ma con un limite, e, cioè, che esso non importi un apprezzabile sacrifico della posizione giuridica contrattuale della controparte.
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