Il principio di prevedibilità nell’ordinamento penale.
Il principio di legalità, previsto dalla Costituzione e dalla CEDU in materia penale, richiede che il reato e la relativa pena siano assistiti da una solida base legale. Dottrina e giurisprudenza, infatti, onde garantire tale risultato, riconoscono la validità dei cosiddetti corollari del summenzionato principio, quali quello della riserva di legge, di tassatività, di precisione, di determinatezza e di prevedibilità. In particolare, il principio di prevedibilità opera come vincolo sia per il legislatore sia per i giudici. La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, infatti, ha suggerito un’applicazione evolutiva del principio di prevedibilità, sottolineando la necessità altresì della sussistenza di un diritto vivente che interpreti la norma incriminatrice in stretta coerenza con il dato letterale. In un primo momento, il principio di prevedibilità era letto come solo vincolo legislativo attinente alla fase di redazione della legge penale. Successivamente, però, è stata acquisita la consapevolezza che la formulazione di una norma chiara e precisa debba essere accompagnata da un’interpretazione giurisprudenziale fedele alla fattispecie penale astratta, così come ivi descritta. Il principio di prevedibilità consente, in tal modo, di rendere effettivamente preventivabili gli effetti della norma incriminatrice da parte dei consociati. L’attività della giurisprudenza, talvolta, fornisce una lettura “innovativa” dei fatti penalmente rilevanti tale da non poter essere prevista sulla scorta della semplice lettura del dato positivo. Ciò è accaduto di recente con una pronuncia della Corte di Cassazione, in cui sono state punite ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 56 e 628 c.p., la condotta di tentata violenza posta in essere dal reo ai fini dell’impossessamento di un bene altrui. L’indirizzo seguito in questa sede dalla Cassazione è stato criticato da una parte della giurisprudenza e dalla dottrina. È stato, infatti, obiettato che l’imprevedibilità degli effetti sfavorevoli per il reo di una simile impostazione giurisprudenziale renderebbe la sentenza di condanna incompatibile con il principio di legalità di cui all’articolo 25, comma 2, della Costituzione.
Si legga anche:”Principio di tassatività, concorso esterno ed erosione del giudicato”
L’ordinamento giuridico in materia penale rappresenta un sistema normativo “chiuso”. Il Legislatore si esprime ogniqualvolta in cui talune e specifiche fattispecie astratte risultano connotate da un tale disvalore sociale da richiedere una risposta sanzionatoria penale. La riserva di legge, il divieto di analogia ed il principio di tassatività, insieme ai corollari della precisione, determinatezza e prevedibilità, contribuiscono tutti insieme a garantire la sussistenza di una solida base legale al precetto penale. Come precisato di recente dalla giurisprudenza di legittimità, il principio nazionale e convenzionale di legalità, insieme ai suoi corollari, deve essere letto in ottica del favor rei. Difatti, richiedere una formulazione chiara e precisa della fattispecie penale astratta significa consentire ai consociati di autodeterminarsi liberamente nella consapevolezza di ciò che è lecito e di ciò che non lo è secondo l’ordinamento giuridico in un determinato periodo storico.
Il principio di prevedibilità, come anzidetto, concorre a garantire il risultato pratico di cui sopra, vincolando il legislatore nell’esercizio della funzione normativa in materia penale. Il principio di prevedibilità, infatti, impone una descrizione circostanziata degli elementi costitutivi del reato, in modo da consentire un’immediata percezione della rilevanza penale della condotta umana, così come prescritta nella norma incriminatrice.
Il principio di prevedibilità nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
La lettura costituzionalmente orientata del principio di prevedibilità, in termini di precisione del dato positivo formulato dal Legislatore, si accompagna ad una lettura evolutiva suggerita dalla giurisprudenza CEDU. La Corte di Strasburgo, infatti, si è parimenti preoccupata di garantire, attraverso i principi convenzionali in materia, una qualità della legge penale tale da consentire ai consociati di orientare consapevolmente le proprie azioni. Sicché, oltre a ribadire la necessità di una precisa formulazione normativa del reato, la Corte Europea ha sottolineato, altresì, l’importanza di un quadro giurisprudenziale sull’interpretazione ed applicazione del reato coerente e non frammentario.
La prevedibilità degli effetti del reato deve essere, dunque, garantita non solo dalla precisione e chiarezza della norma incriminatrice ma anche dall’interpretazione che la giurisprudenza effettua circa la medesima disposizione. Il principio di prevedibilità nel diritto CEDU sancisce, altresì, un vincolo di interpretazione restrittiva e fedele alla lettera della norma penale nei confronti dei giudici. Ciò consentirebbe ai consociati di orientare il proprio comportamento in maniera conforme al significato percepito dalla lettura del precetto sanzionatorio.
Il principio di prevedibilità richiede, quindi, una formulazione precisa delle norme incriminatrici ed un’interpretazione coerente con il contenuto delle medesime, in modo da garantire un risultato applicativo prevedibile e trasparente per i consociati.
Tali principi sono stati oggetto di applicazione da parte della stessa Corte EDU in numerose pronunce. Si pensi al caso Contrada c. Italia del 2015 sulla configurazione del concorso esterno in associazione mafiosa ovvero al caso De Tommaso del 2017 sulla violazione delle prescrizioni del “vivere onestamente” e del “rispettare le leggi” contenute nelle misure di sorveglianza speciale[1].
L’indirizzo della Corte di Strasburgo è stato recepito, altresì, dalla giurisprudenza nazionale che ne ha fatto diretta applicazione in numerosi casi. Si pensi alla dichiarazione di incostituzionalità del reato di plagio, ad oggi abrogato proprio in ragione della ravvisata indeterminatezza ed imprecisione dello stato di soggezione cui doveva essere indirizzata la condotta del reo. Un ulteriore esempio applicativo si riscontra nelle pronunce rese dalla Corte di Cassazione in materia di atti persecutori ex art. 612 bis c.p.[2] ovvero sulle circostanze aggravanti specifiche di cui all’art. 80 del T.U. in materia di sostanze stupefacenti[3].
In tutti questi casi la giurisprudenza nazionale e convenzionale si sono espresse sulla necessaria coesistenza dei requisiti della precisione e della prevedibilità della legge penale. La qualità della legge deve essere garantita nei termini di cui sopra, in modo da consentire ai cittadini di prevedere, anche con appropriato ricorso a consulenti esperti ed illuminati, le conseguenze che possono derivare da una determinata condotta.
La precisione della norma incriminatrice deve, tuttavia, essere controbilanciata dalla necessaria flessibilità della lettera della disposizione normativa al fine di consentire alla legge di adeguarsi alle circostanze del caso concreto. L’incessante divenire delle dinamiche relazionali nel tessuto sociale rendono, infatti, impossibile una produzione normativa onnisciente. A tal fine, infatti, l’ordinamento giuridico consente il ricorso a clausole di chiusura delle fattispecie sussumibili nella norma incriminatrice ovvero allo strumento dell’interpretazione estensiva, onde adeguare e correggere il fuoco applicativo delle medesime norme a fronte delle istanze di tutela emergenti nella prassi.
Quando il risultato dell’interpretazione della norma incriminatrice fornita dalla giurisprudenza è “evolutivo”, perché non di immediata deduzione letterale, è necessario che la relativa applicazione, se sfavorevole per il reo, operi solo per l’avvenire. Si richiama, quindi, il principio costituzionale e sovranazionale dell’irretroattività sfavorevole della legge penale, intesa nella sua accezione sostanziale.
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La configurazione del tentativo di rapina impropria in caso di tentata violenza o minaccia in assenza di spossessamento.
Un caso emblematico ha riguardato la configurazione del tentativo di rapina impropria con riferimento alla condotta di tentata violenza, posta in essere dal reo per assicurarsi l’impunità, in vista dell’impossessamento del bene altrui, non realizzato.
L’articolo 628, comma 2, del c.p. prevede l’irrogazione della stessa pena, prevista dal primo comma in caso di rapina propria, ai casi in cui altresì il reo adoperi la violenza o la minaccia dopo la sottrazione del bene altrui, al fine di assicurare a sé o ad altri l’impunità.
L’orientamento tradizionale della giurisprudenza riteneva inammissibile il perfezionamento della rapina impropria in forma tentata. Secondo questo indirizzo sarebbe necessario che entrambe le fattispecie criminose, di furto e di percosse o minaccia, risultino perfezionate.
Diversamente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[4] hanno ritenuto ragionevole ritenere che la ratio sottesa alla norma sia assicurata anche nel caso in cui il soggetto agente tenti di sottrarre il bene altrui, avendo già usato violenza ovvero minacce per assicurarsi l’impunità. Con il delitto di rapina impropria il Legislatore ha inteso punire più gravemente le condotte di furto e di minaccia o violenza, già ex se penalmente rilevanti.
A suscitare, invece, maggiori dubbi e perplessità è il caso in cui l’agente adoperi violenza o minaccia senza aver precedentemente sottratto la res, non essendovi riuscito per cause a lui non imputabili.
Le posizioni della dottrina e della giurisprudenza sono contrapposte, dal momento che, a differenza di una giurisprudenza maggioritaria concorde, la dottrina, invece, nega la configurabilità del tentativo di rapina impropria nel caso in oggetto.
L’indirizzo contrario alla configurazione del tentativo di rapina impropria in tali ipotesi è stato, di recente, condiviso da una giurisprudenza minoritaria[5]. La condivisione di tale orientamento ha giustificato la rimessione della questione alle Sezioni Unite, che hanno ribadito e sposato l’orientamento favorevole. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, infatti, hanno affermato la configurabilità del tentativo di rapina impropria, anche in assenza di sottrazione della cosa mobile altrui. Nel caso di specie il principio di legalità, in termini di prevedibilità del diritto vivente è da dirsi rispettato, atteso che a favore di tale tesi sussiste una letteratura giurisprudenziale consolidata e granitica.
La dottrina contraria al suindicato indirizzo contesta la violazione del principio di legalità, in ragione dell’imprevedibilità di un simile effetto dall’interpretazione letterale del dato normativa. Le argomentazioni fornite a sostegno di tale indirizzo si poggiano sul ritenuto nesso di contestualità dell’azione complessiva posta in essere. Il dato positivo della norma incriminatrice in commento richiederebbe, infatti, che l’aggressione al patrimonio e quella alla persona debbono sussistere indipendentemente dalla forma consumata o tentata.
Pertanto, i sostenitori dell’indirizzo contrario ritengono che tale interpretazione legittimerebbe una violazione del divieto di analogia da parte della giurisprudenza. Si dubita, infatti, che si tratti di un risultato interpretativo normalmente prevedibile. Si obietta, infatti, che il dato positivo sembra scandire un preciso ordine logico e cronologico delle condotte, prevendendo per prima la sottrazione e successivamente la violenza ovvero la minaccia, in quanto finalizzate all’impunità. Sicché l’inversione cronologica delle dinamiche fattuali richieste ai fini della configurazione del reato di rapina impropria risulterebbe, dunque, inammissibile.
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Note
[1] Cass., SS. UU., sent. 40076/2017; C. Cost., sent. n. 25/2019.
[2] C. Cost., sent. n. 172/2014.
[3] Cass., SS. UU., sent. 36258/2012.
[4] Cass., SS. UU. sent. n. 34952/2012.
[5] Cass., sent. n. 3796/1999.
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