Mentre alcune questioni assai delicate paiono sul punto di essere (o sono già state) risolte da una magistratura di legittimità sempre più attenta alle istanze di merito, avanzate in materia di legislazione degli stupefacenti, rimane sempre in attesa di una convincente e definitiva soluzione (legislativa e giurisprudenziale) l’equivoco del tema della “detenzione ad uso esclusivamente personale”.
E’ indubbio che sullo specifico concetto, la cui concreta applicazione, in origine, pareva assai circoscritta – atteso il ben poco chiaro portato semantico della novella del 2006 – si sono faticosamente raggiunti medio tempore, alcuni significativi approdi giurisprudenziali, che hanno favorito uno spettro di operatività dell’istituto, improntato indubbiamente ad un criterio di maggiore ampiezza.
1) Così, è ormai costante l’indirizzo – di rilevanza strettamente processuale – che la previsione della lett. a) del comma 1 bis dell’art. 73 dpr 309/90 non comporti una inversione dell’onere della prova, vale a dire cioè, che compete sempre all’accusa dimostrare la destinazione alla cessione in favore di terzi (cfr. ex plurimis Cass. sez. III, sentenza 13.01.2012 n° 919).
All’indagato(/imputato), che invochi l’operatività di quella, che può e deve venire classificata come una vera e propria causa di giustificazione, compete solo un “ibrido” onere di allegazione (cfr. ex multis Cass. Cass. Pen., sez. VI, 1 giugno 2011, n. 21870), che costituisce, ad un globale esame dei caratteri che tratteggiano i doveri probatori delle parti, sanciti ex lege, una categoria metodologica spuria.
Essa, infatti, assume ed esprime pieno valore di prova, ma pare, altresì, rivestire un carattere residuale e di un’operatività condizionata, la quale si limita solamente alla confutazione di eventuali elementi addotti dall’accusa.
Viene, dunque, esclusa la sussistenza di una previsione di carattere eminentemente presuntivo, soprattutto, ancorata ai valori-soglia desunti tabellarmente, in base alla quale si possa escludere tout-court la riferibilità al caso concreto dell’esimente in parola.
Se tale, infatti, fosse stato il profilo essenziale e strutturale della norma, ci si sarebbe trovati dinanzi ad una indebita deroga al principio dell’onus probandi con inversione dello stesso.
Si sarebbe trattato di un’impostazione normativa, del tutto inammissibile, in quanto essa avrebbe vanificato e di fatti disapplicato gli ulteriori criteri valutativi, di profilo soggettivo, che la lett. a) del comma 1 bis contiene.
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Altrettanto importante appare quell’indirizzo giurisprudenziale che ha decretato il superamento – e la concreta irrilevanza ai fini che ci occupano – del tetto-limite, negativo, introdotto dalla locuzione “...che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministero della Salute…”.
Già ad un primo esame, si è potuto sostenere che l’espressione, trasfusa nella norma indicata, non pareva brillare per chiarezza, in quanto appariva pacifica la circostanza che il legislatore non si era, certo, premurato di specificare se il limite evocato interagisse, in relazione alla dose media giornaliera od alla quantità massima detenibile.
Venivano, così, ingenerati gravi dubbi in relazione a quale avrebbe dovuto essere il quantum effettivo di principio attivo, posto a presidio della soglia di presunta punibilità.
Un’interpretazione strictu sensu della norma, avrebbe, dunque, comportato la elementare quanto grave conseguenza che l’eventuale superamento del limite massimo di principio attivo (ad es. mg. 500 per i derivati dalla cannabis, ove fosse stato applicato come criterio discretivo la Q.M.D.), si sarebbe accreditato come fondamentale, quanto automatico, criterio ermeneutico per escludere la ricorribilità dell’uso personale.
La giurisprudenza maggioritaria ha, invece, preferito optare per la configurazione di un criterio parzialmente misto.
In ipotesi di travalicamento del limite-soglia di principio attivo1, vale a dire, quindi, della sostanza netta, la norma prevede, infatti, il recupero del dato ponderale, concernente la quantità lorda2, quale criterio ermeneutico suppletivo.
3) Altro significativo approdo ermeneutico consiste nel superamento di quell’orientamento che, in parziale deroga all’indirizzo appena indicato, ha sempre intenso utilizzare e richiamare il peso lordo complessivo come criterio preponderante (se non addirittura esclusivo) rispetto a tutti gli altri parametri introdotti con la novella del 2006.
E’, infatti, dato assolutamente incontroverso che, ad avviso dei primi interventi interpretativi concernenti la novella introdotta con la L.49/2006, il peso lordo dello stupefacente finisse per costituire il discrimine fondamentale per la formulazione di una prognosi di destinazione della droga in un senso o nell’altro, anche perchè esso appare canone espressamente previsto – seppure in forma supplente – dalla norma in oggetto.
Medio tempore, la giurisprudenza, attraverso una valorizzazione costante e progressiva di quei profili di soggettività, recuperati da una visione più completa e socialmente contestualizzata della norma, ha rimodulato, su di un piano di effettiva pari dignità, tutti i canoni espressi dal comma 1 bis, i quali tutti contribuiscono alla formulazione del giudizio di destinazione dello stupefacente.
Il profilo quantitativo, quindi, ha assunto la propria effettiva dimensione, cioè un valore puramente indiziario di ordine logico ed indicativo3, tutt’altro che concludente, però, ai fini della prognosi riguardante la destinazione dello stupefacente.
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Da ultimo, è importante richiamare una ulteriore rilevante circostanza, proprio riallacciandosi alle osservazioni appena espresse a chiusura del paragrafo che precede.
Ad un progressivo depotenziamento dell’esclusivo valore probatorio conferito, da un indirizzo minoritario, all’aspetto ponderale lordo, si è, infatti, correlato un significativo riconoscimento della autonoma rilevanza degli altri criteri indicati dalla norma.
In special modo, il pur generico paradigma riassunto nella locuzione “altre circostanze dell’azione” ha assunto il carattere di previsione di chiusura, di parametro cui ricorrere fosse residualmente, ma ampliando, comunque, lo spettro della discrezionalità del giudice.
Valorizzando la soggettività di una complessiva situazione, la norma, prima la dottrina e la giurisprudenza, poi, all’atto pratico, hanno favorito il processo di contestualizzazione di una condotta (la detenzione di stupefacenti) all’interno della realtà dell’agente.
Così hanno assunto rilievo le condizioni di vita della persona, sia dall’ampio punto di vista culturale e relazionale – da un lato – sia in base ad un’ottica più orientata a d un profilo economico/finanziario – dall’altro -.
La possibilità di disporre di risorse monetarie lecite, con le quali acquistare, talora, anche piccole scorte di sostanza stupefacente; le modalità di acquisto di quantitativi spesso non proprio modici, ma, peraltro, giustificabili e giustificati dalla volontà dell’assuntore di ridurre al minimo le occasioni di contatto con il mondo dello spaccio, oltre che di acquistare a prezzi inferiori a quelli usuali; l’identikit della persona assuntrice, per lo più ben inserita socialmente, con un lavoro, con un grado di preparazione scolastica medio-alta, hanno tutti costituito, dunque, concreti e tangibili elementi di fatto, sui quali modulare il giudizio di rilevanza penale della condotta detentiva.
Senza volere dilungarsi in stucchevoli discettazioni, si può ricordare, altresì, che anche la presenza (o l’assenza, a seconda dei casi) di strumenti istituzionalmente finalizzati allo spaccio (ritenuti bilancini, taglierini, cellophane) è stata sempre tenuta in debita considerazione allo scopo dei pervenire ad un effettivo giudizio prognostico
Il confezionamento (altro elemento espressamente richiamato ex lege), è, inoltre, anch’esso apparso, ma solo quando frazionato, dato sintomatico, che può apparire idoneo ad escludere l’uso personale.
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Esaurite queste premesse di ordine sistematico, ritengo sia necessario evidenziare come la struttura della lett. a) dell’art. 73 comma 1 bis dpr 309/90, si presti ad equivoci e contraddizioni sostanziali se è vero che autorevole dottrina4, ha ritenuto contemperabile, la irrilevanza dello stato di tossicodipendenza del soggetto inquisito, con la possibile utilizzabilità di tale qualità personale, in un’ottica difensiva, onde giustificare come detenzione, un condotta, all’apparenza, illecita.
Se pure la architettura (e la concezione strutturale) della norma permette di ritenere rispettata – seppure formalmente ed in condizioni del tutto estreme – la previsione dell’art. 101 co. 2 Cost. e dell’art. 533 co. 1 c.p.p., in tema di discrezionalità del giudice, ritiene chi scrive che l’individuazione di una pluralità di paradigmi (flessibili e malleabili sul piano logico-deduttivo), dai quali dedurre l’effettiva e concreta ravvisabilità della scriminante in questione, possa non risultare conforme alla indicazione contenute nell’art. 25 co. 2 Cost..
Nel momento in cui il parametro quantitativo viene realmente ad assumere una natura indicativo-residuale5, è lecito e doveroso domandarsi se i canoni ermeneutici, utilizzabili allo stato e fissati dalla legge, siano realmente adeguati agli scopi cui essi sarebbero funzionali e se si debba ripensare ad altre metodiche.
Il timore di chi scrive riposa, infatti, nella evidente discrasia che si verifica quotidianamente in relazione a vicende tra loro analoghe, ma che sortiscono esiti spesso contraddittori e intollerabilmente differenti.
E’ ovvio che in questo modo non si predica l’adesione ad una forma di “pensiero unico”, ma è, altrettanto, evidente che si rende necessaria una razionalizzazione dei criteri oggettivi in base ai quali la detenzione di stupefacenti può essere ritenuta esente da sanzioni penali.
In buona sostanza, si ritiene che una rideterminazione del valore soglia del principio attivo, oggi ancorato ai limiti tabellari ministeriali in modo, che nella quotidiana pratica, risulta del tutto ininfluente ed irrilevante, perchè usualmente disatteso, potrebbe, invece, giovare a rendere chiaro il precetto normativo.
In una prospettiva di riflessione e di rimodulazione della norma, così da superare incertezze, equivoci e contraddizioni, appare necessario, ad avviso di chi scrive:
1. stabilire un valore-soglia di natura mista e cioè individuare un dato quantitativo, la cui essenza abbia riguardo effettivamente sia al peso lordo, che al principio attivo;
2. confermare la valenza dirimente di qualsiasi altro elemento di natura soggettiva, con evidenti e tassative precisazioni in ordine ai caratteri degli stessi, che rendano gli stessi chiari e determinati.
In relazione al primo punto, credo che la scelta che propongo assolva ad una avvertita necessità di individuare parametri sufficientemente precisi.
Dalle premesse che precedono, oltre che dalla necessità di addivenire al rispetto di caratteri di certezza del contenuto precettivo della norma, deriva la ipotesi di ricorrere all’opzione di fissare un limite massimo concernente il peso lordo del campione di stupefacente che si possa detenere (oltre il quale la detenzione non può essere ritenuta finalizzata al consumo personale).
Lo scrivente si rende perfettamente conto della conseguenza che potrebbe derivare dall’adozione di una simile prospettazione, la quale introdurrebbe una presunzione iuris tantum, cioè una forma di prova logica predeterminata, la quale, pur ammettendo prova contraria, sovvertirebbe il vigente regime, provocando una deroga al principio dell’onere della prova, che verrebbe a ricadere sull’indagato/imputato.
E’, altrettanto, chiaro che suona come ben poco metabolizzabile il principio di sollevare il PM dall’obbligo di dimostrare la propria tesi, in quanto un indirizzo di tale tipo si potrebbe prestare, comunque, a doglianze, ex parte, ipotizzanti abusi ed arbitrii e renderebbe, comunque, assai circoscritto e compresso l’esercizio del diritto di difesa.
E’, peraltro, altrettanto palese, la necessità, di pervenire ad una situazione di sufficiente armonizzazione dei parametri valutativi, sì da superare situazioni di discrasica contraddizione.
Al parametro del peso lordo va, dunque, abbinato necessariamente un altro limite invalicabile, che concerne il principio attivo.
La prognosi di destinazione all’uso esclusivamente personale, alla luce della tesi che si svolge, dovrebbe, pertanto, venire formulata, solo ove i valori indicati rimanessero al di sotto del limite stabilito per legge.
In ipotesi di eventuali superamenti del valore soglia, in relazione ad uno dei due canoni quantitativi, potrebbero soccorrere, in modo complementare i cd. criteri soggettivi, che – ad avviso dello scrivente – dovrebbero, peraltro, tassativamente formare oggetto di indicazione da parte della norma.
In presenza di uno stato di incertezza, che si esprima in via esclusiva, relativamente ai dati squisitamente ponderali, il dubbio potrebbe venire risolto proprio attraverso una anamnesi sia della persona che detiene, sia dell’habitat ove egli vive ed opera.
Così potrebbero formare oggetto di codificazione
a) la capacità redditiva effettiva lecita;
b) la condizione di tossicodipendente ed assuntore;
c) la omogeneità tipologica della sostanza detenuta;
d) l’assenza di precedenti relativi a cessioni a terzi;
e) l’assenza di segnalazioni o precedenti di polizia;
f) plausibilità delle dichiarazioni dell’indagato/imputato o di testimoni.
Ovviamente non si può ritenere l’elencazione che precede del tutto esaustiva, ma, in ogni caso, i paradigmi indicati possono costituire una esplicita e seria tipizzazione del concetto odiernamente trasfuso nella locuzione “circostanza dell’azione”.
Venendo introdotta, attraverso rigorosi limiti quantitativi, tra loro combinati, una presunzione iuris tantum, le circostanze soggettive sopra indicate (e quelle che fossero ulteriormente previste) potrebbero assolvere alla funzione di prova contraria, idonea a confutare la prospettazione accusatoria, limitando, in questo modo l’asperità del principio così introdotto ed il vulnus che può derivare dalla scelta di addivenire all’inversione dell’onere della prova, ponendolo a carico dell’indagato/imputato.
Rimini, lì 9 marzo 2013
1 “… sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute…” recita il comma 1 bis dell’art. 73
2 “…avuto riguardo al peso lordo complessivo…” recita sempre il comma 1 bis dell’art. 73
3 Cfr. INSOLERA-MANES La disciplina penale degli stupefacenti, GIUFFRE’ 2012 pg. 89
4Cfr. Amato “Soglie presuntive per individuale l’illecito”, Guida al diritto 12/06
5Insolera /Manes La disciplina penale cit. pg. 89
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