di Ilaria Lombardini*
* PhD
Sommario
1. Sintetica cornice normativa di riferimento
2. Il procedimento di interpello: modelli e prassi giudiziarie per interpellare la madre biologica, che si sia avvalsa del diritto di anonimato di cui all’art. 30, d.p.r. n. 396/2000
2.1. L’intervento chiarificatore di Cass. civ., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946 e la disciplina del procedimento di interpello
2.2. Le criticità delle prassi di interpello della madre biologica, che abbia dichiarato alla nascita del figlio di non voler essere nominata
3. Altri profili problematici: l’impossibilità dell’interpello nel caso di madre biologica anonima deceduta
3.1. Espansione del diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini e conseguente estensione dell’interpello a fratelli e sorelle biologici
4. Rilievi conclusivi
1. Sintetica cornice normativa di riferimento
Il diritto dell’adottato alla conoscenza del proprio status e delle proprie origini è disciplinato dall’art. 28 L. 4 maggio 1983, n. 184 e s.m., legge sul “Diritto del minore ad una famiglia” (in seguito: legge adoz.), il riconoscimento di tale diritto è stato introdotto dalla L. n. 149 del 2001[1].
Tuttavia, il comma 7 dell’art. 28 L. n. 184/1983 prevede che l’adottato non possa avere accesso alle informazioni sulle proprie origini qualora la madre biologica abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile). Il comma 7 dell’art. 28 legge adoz. è stato riformulato, a decorrere dal 1° gennaio 2004, dal comma 2 dell’art. 177, d.lgs. n. 196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali (c.d. Codice privacy)[2]. E così la questione del diritto alla conoscenza delle proprie origini, di cui al citato comma 7 art. 28 legge adoz., si innesta nella disciplina del trattamento dei dati personali, con le specifiche disposizioni dell’art. 93, “Certificato di assistenza al parto” del Codice privacy: infatti, tale norma, al comma 1, dispone che in caso di parto in anonimato, ai fini della dichiarazione di nascita il certificato di assistenza al parto sia sempre sostituito “da una semplice attestazione contenente i soli dati richiesti nei registri di nascita”[3]; al comma 2 la suddetta norma stabilisce che il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, se comprensivi dei dati personali, che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, possano “essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del documento”[4]; infine, al comma 3, fulcro della questione, è previsto che, prima del decorso dei cento anni, la richiesta di accesso al certificato o alla cartella può essere accolta relativamente ai dati concernenti la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, “osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”[5].
Pertanto, il comma 7 dell’art. 28, legge adoz. impediva al figlio, in seguito adottato, nato da parto anonimo la possibilità di attivare un procedimento finalizzato a raccogliere l’eventuale revoca della dichiarazione di non voler essere nominata da parte della madre biologica. Visto il dettato di tale disciplina positiva, che cristallizzava la scelta dell’anonimato anziché considerarla in una prospettiva “diacronica”, dopo l’arrêt della Corte edu 25 settembre 2012, ric. 33783/09,Godelli c. Italia, che ha censurato l’Italia per il rigido sistema di protezione dell’anonimato della madre biologica[6], sulla questione si è pronunciata la Consulta. Corte cost. n. 278 del 22 novembre 2013[7] dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 7 dell’art. 28 legge adoz., nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la “massima riservatezza” – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 – su istanza del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.
Si noti, la Corte non censura quanto disposto dall’art. 30, comma 1, del d.p.r. n. 396/2000 sulla tutela del parto anonimo e, facendo espresso riferimento a tale norma, nel dispositivo statuisce: “sarà compito del legislatore introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si è detto”. La Consulta dunque opera un bilanciamento tra i potenzialmente confliggenti diritti coinvolti: il diritto alla ricostruzione identitaria dell’adottato e il diritto della madre biologica all’anonimato e all’oblio, demandando al legislatore l’individuazione delle modalità secondo cui esercitare tale bilanciamento dei diritti concorrenti (modalità di interpellodella madre).
[1] Gli otto commi del vigente art. 28, legge adoz., disciplinano il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini e l’identità dei propri genitori biologici. L’iter è scandito secondo l’età: adottato in età minore, adottato maggiorenne – ma che non abbia ancóra compiuto 25 anni -, adottato ultra-venticinquenne, morte o irreperibilità di entrambi i genitori adottivi; limiti posti al diritto dell’adottato di conoscere le informazioni relative alle sue origini e all’identità dei propri genitori biologici. Per l’analisi della normativa, nonché per l’ampia bibliografia citata, sia permesso rinviare a Lombardini, Sub art. 28 L. 4 maggio 1983 n. 184 , in Commentario breve al diritto della famiglia, a cura di A. Zaccaria4, Padova, 2020, p. 1922 ss.; sui diritti concorrenti dell’adottato, non riconosciuto alla nascita, a conoscere le proprie origini e il diritto della madre biologica all’anonimato, v., di recente, Lombardini I., Una questione problematica ancora aperta dopo le recenti pronunce della giurisprudenza: il diritto dell’adottato, non riconosciuto alla nascita, alla conoscenza delle proprie origini e il diritto della madre all’anonimato, in Le pagine de L’aula civile, aprile 2020.
[2] V. il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 nonché il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla Protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, noto con la sigla GDPR, operativo in Italia dal 25 maggio 2018. In tema, sulla compatibilità tra l’art. 28, comma 7, L. n. 184/1983 e il Regolamento UE n. 679/2016, v. Montaruli, Il parto anonimo e l’accesso alle origini nell’adozione, in www.ilfamiliarista.it (19 febbraio 2018), e già, Montaruli, Parto anonimo e accesso alle origini nell’adozione, in giudice donna.it 1/2017, p. 8 ss.
[3] Pertanto, in tale ipotesi, si possono conoscere i dati identificativi della madre biologica soltanto collegando la dichiarazione di nascita al certificato di assistenza al parto (ora attestazione di avvenuta nascita) o alla cartella clinica.
[4] Un vincolo all’anonimato, che eccede la possibile durata della vita umana allo scopo di proteggere la vita (del nascituro), tutelando la riservatezza dell’identità della madre naturale: così sul punto Corte cost. n. 425 del 2005.
[5] È quest’ultima la disposizione non di rado messa in ombra nella querelle sul diritto del figlio, nato da parto anonimo e poi adottato, alla conoscenza delle proprie origini, nel caso l’adottato presenti l’istanza adducendo specifici motivi di cura e/o genericamente di salute. Sulla problematica, per maggiori dettagli v. infra il § 4., sulle “Buone prassi sanitarie”.
[6] Si veda Corte Edu 25 settembre 2012, ric. 33783/09, Godelli c. Italia, in Nuova g. civ. comm., 2013, I, p. 103, con nota di Long, La corte europea dei diritti dell’uomo censura l’Italia per la difesa a oltranza dell’anonimato del parto: una condanna annunciata; in Fam. e dir. 2013, p. 537, con nota di Currò, Diritto della madre all’anonimato e diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. Verso nuove forme di contemperamento; in Giust. civ. 2013, I, p. 1597, con nota di Ingenito, Il diritto del figlio alla conoscenza delle origini e il diritto della madre al parto anonimo alla luce della recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo; in Corr. giur. 2013, p. 940, con nota di Carbone; in Minori giustizia 2013, 2, p. 340, con nota di Margaria, Parto anonimo e accesso alle origini: la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna la legge italiana; v. altresì Lombardini, Una questione problematica ancora aperta dopo le recenti pronunce della giurisprudenza: il diritto dell’adottato, non riconosciuto alla nascita, alla conoscenza delle proprie origini e il diritto della madre biologica all’anonimato, cit.
[7] Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Gazz. Uff. 27 novembre 2013, n. 48 – Prima serie speciale; nonché in Fam. e dir . 2014, p. 11, con nota di Carbone, Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno; in Nuova g. civ. comm., 2014, I, p. 279, con nota di Long, Adozione e segreti: costituzionalmente illegittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto e con nota di Marcenò, Quando da un dispositivo di incostituzionalità possono derivare incertezze, p. 285 s.; in Corr. giur., 2014, p. 471 ss., con nota di Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia; v. anche G. Finocchiaro, Il segreto sulle origini perde il carattere irreversibile ma la donna può decidere se restare nell’anonimato, in Guida al dir., 2013, n. 49-50, p. 20; Renna, Anonimato materno e diritto alla conoscenza delle origini personali, in Riv. critica dir. priv., 2018, p. 79 s.
2. Il procedimento di interpello: modelli e prassi giudiziarie per interpellare la madre biologica, che si sia avvalsa del diritto di anonimato di cui all’art. 30, d.p.r. n. 396/2000
A seguito della sentenza Corte cost. n. 278 del 2013, che dichiara l’incostituzionalità dell’anonimato materno “irreversibile”, un indirizzo minoritario della giurisprudenza di merito rileva che, mancando un’apposita legge volta a colmare il vuoto legislativo creato a seguito della declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 28 legge adoz., nella parte in cui non consente di rendere reversibile la scelta dell’anonimato della donna che partorisce, “il giudice non può rendere operativo il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini. La pronuncia della Corte costituzionale detta un principio in base al quale il legislatore dovrà ispirare la futura azione. Rientra nell’attività discrezionale del legislatore la scelta delle modalità di interpello della madre anonima, scelta che non può essere riservata all’organo giurisdizionale anche per evitare diversità di prassi per ogni ufficio giudiziario”[8].
Invece, l’orientamento maggioritario, anche se il legislatore non ha ancora introdotto la disciplina di dettaglio dell’interpello della madre naturale, imposto in materia da Corte Cost. n. 278/2013, non ritiene necessaria una nuova disposizione legislativa, trattandosi di diritti costituzionalmente tutelati derivanti dalla responsabilità genitoriale (art. 30 Cost.). In altri termini, visto che la sentenza Corte Cost. n. 278 del 2013 ha riconosciuto il diritto dell’adottato di verificare se sia ancora interesse della madre biologica mantenere l’anonimato sulla propria identità, ritenuto che la succitata sentenza della Consulta produca conseguenze immediate nella sfera dei diritti dell’adottato dando facoltà al medesimo di verificare se la madre voglia eventualmente revocare la scelta dell’anonimato, alcuni tribunali minorili accolgono l’istanza con cui l’adottato maggiorenne chiede che il giudice voglia interpellare la madre biologica che, alla nascita, aveva dichiarato di non voler essere nominata, per verificare se ella intenda tenere ferma o meno l’originaria dichiarazione, al fine di raccogliere l’eventuale revoca dell’anonimato, legittimando in tal modo l’istante ad accedere alle informazioni che lo riguardano[9].
In assenza di una specifica disciplina normativa dell’interpello, consequenziale alla pronuncia della Consulta n. 278 del 2013, i tribunali minorili che hanno dato immediata attuazione al dictum della Corte costituzionale, procedendo all’interpellodella madre biologica per verificarne l’attuale volontà di revoca o conferma dell’anonimato, hanno seguitoprassi non uniformi. Talvolta si sono limitati ad affermare che il giudice minorile (anche di appello, se richiesto con il reclamo), su istanza del figlio maggiorenne di una donna che, alla nascita, aveva dichiarato di non voler essere nominata e che è stato adottato da terzi, può procedere all’interpello della stessa, “con l’opportuna riservatezza”[10]; a volte invece hanno dettato le regole che in via di prassi devono essere seguite, una volta identificata la madre biologica dell’adottato[11], prevedendo in una precisa modalità operativa le diverse fasi del procedimento[12], che così in sintesi si possono elencare: a) recapito alla madre biologica, in forma “assolutamente riservata” per tramite di “un operatore dei Servizi Sociali”, di una lettera di convocazione proveniente dal Tribunale; b) colloquio con la donna alla sola presenza del giudice onorario delegato dal giudice togato; c) richiesta alla madre biologica di consenso al disvelamento della sua identità; d) in caso di consenso della madre biologica, rivelazione dell’identità del figlio/figlia ricorrente; altre volte hanno indicato le linee guida per l’interpello della madre[13].
Peraltro, Cass. sez. un. n. 1946 del 2017, al punto 11 delle “Ragioni della decisione“, richiama, avallandole, le prassi giudiziarie (che definisce modelli di “protocolli” e “linee guida”) per espletare il procedimento di interpello della madre, che alcuni Uffici giudiziari di merito hanno elaborato e messo in atto. Infatti, secondo le Sezioni Unite, anche se la determinazione generale ed astratta delle modalità del procedimento di interpello è demandata al legislatore, “i protocolliin concreto seguiti” dai tribunali per i minorenni, che in seguito alla sentenza della Corte cost. n. 278/2013 hanno “correttamente” ritenuto di dare corso alla istanza del figlio di interpello della madre biologica per un’eventuale revoca della scelta di anonimato a suo tempo effettuata, dimostrano come le disposizioni di riferimento, arricchite delle indicazionicontenute nella citata pronuncia della Consulta n. 278 del 2013, “siano suscettibili di essere declinate in direzioni pratiche dell’attività e del procedimento, capaci di consentire che, nel terminale del momento applicativo, il contatto con la madre, rivolto a raccogliere un’insindacabile dichiarazione di volontà, avvenga con modalità non invasive e rispettose della sua dignità e, nello stesso tempo, cautelando in termini rigorosi il suo diritto alla riservatezza”[14]. Sempre al punto n. 11 delle “Ragioni della decisione“la Cassazione, a titolo esemplificativo, indica analiticamente le prassi messe in atto da alcuni tribunali perdare attuazione alla pronuncia della Corte costituzionale del 2013, sostanzialmente legittimandole, “nell’esercizio della sua funzione nomofilattica”[15]. Sarebbe utile poterle indicare, in quanto la lettura permetterebbe di trarne una idea chiara e di meglio individuarne e valutarne luci ed ombre [16].
[8] Così App. Milano [decr.] 10 marzo 2015, n. 496, in www.altalex.it, nonché Trib. minori Catania, 26 marzo 2015, in Minori giustizia, 2015, p. 211.
[9] V. Trib. min. Firenze [ord.] 7 maggio 2014, in Fam. e dir. 2014, p. 1003 ss., con nota di Carbone, L’adottato alla ricerca della madre biologica; App. Venezia 21 marzo 2014, App. Catania 5 dicembre 2014, entrambe in Foro it. 2015, I, c. 697; App. Catania 14 ottobre 2015, in Foro it., 2016, I, c. 930, con Osservazioni di Casaburi, nonché Trib. minori Trieste [decr.] 5 marzo 2015,in Fam. e dir. 2015, p. 830 ss., con nota di Carratta, Effettività del diritto alla ricerca della madre biologica.
[10] App. Catania 14 ottobre 2015, cit.
[11] Identificata grazie al decreto emesso dal Tribunale minorile con il quale viene incaricato il Comando provinciale dei carabinieri, con facoltà di subdelega, di svolgere riservati ed opportuni accertamenti in ordine all’identità della madre biologica dell’istante, così Trib. minori Trieste [decr.] 5 marzo 2015, cit.
[12] Fasi previste dal citato Trib. minori Trieste [decr.] 5 marzo 2015.
[13] Come le linee guida adottate dal Trib. min. Bologna con provvedimento del 5 aprile 2017, da leggersi in www.personaedanno.it.
[14] Le frasi virgolettate sono tratte da Cass. civ., sez. un., n. 1946 del 2017, punto 11 delle motivazioni.
[15] Lo ricorda Lenti, L’adozione, in Il nuovo diritto della filiazione (a cura di L. Lenti-M. Mantovani), Trattato di diritto di famiglia. Le riforme 2012-2018, diretto da P. Zatti, II, Milano, 2019, p. 399.
[16] Non essendo possibile in questa sede, per ovvi motivi di “spazio”, si rinvia il lettore al punto 11 delle Ragioni della decisione di Cass. civ., sez. un.,n. 1946/2017.
2.1. L’intervento chiarificatore di Cass. civ., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946 e la disciplina del procedimento di interpello
Come sopra, in estrema sintesi, anticipato, sui contrastanti indirizzi interpretativi della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013 emersi nella giurisprudenza di merito, si pronuncia Cass. civ., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946, uniformando anche le disomogenee prassi di interpello della madre biologica, che abbia scelto di rimanere anonima al momento del parto, messe in atto da alcuni Uffici giudiziari minorili[17]. Le Sezioni unite, in primo luogo affermano, condivisibilmente, l’immediata applicabilità della sentenza della Corte costituzionale n. 278/2013; in secondo luogo definiscono, seguendo la falsariga indicata dalla Consulta, il procedimento di interpello della madre biologica, che abbia dichiarato di non voler essere nominata al momento del parto, delineando altresì analiticamente, con esemplificazioni, alcune prassi di interpello scandite nelle diverse fasi. Cass. n. 1946/2017 enuncia quindi il seguente principio di diritto nell’interesse della legge: “In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice[18], su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre, che alla nascita abbia dichiarato di non voler essere nominata, ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idoneo ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità”.
Con specifico riferimento all’iter da seguire nel procedimento di interpello della madre – che si sia avvalsa all’epoca della nascita della facoltà di non essere nominata – per verificare l’attualità del suo intento di conservare o revocare l’anonimato in modo da dare concreta attuazione alle indicazioni precettive fornite dalla Corte costituzionale, precisa la Cassazione, occorre prendere in considerazione sia il quadro normativo che la concreta prassi di interpello. Si consideri che nel dispositivo Corte cost. n. 278/2013 aveva indicato “i criteri-guida(il tipo di attività, implicante l’interpello della madre; il soggetto chiamato allo svolgimento di una tale attività, identificato nel giudice; le modalità, tali da assicurare l’assoluta segretezza)”[19].
Le Sezioni Unite individuano il procedimento utilizzabile in quello “base”, di volontaria giurisdizione, previsto dall’art. 28, commi 5 e 6, L. n. 184 del 1983[20]. Questo procedimento in camera di consiglio – “previ i necessari adattamenti” volti ad assicurare in “termini rigorosi la riservatezza della madre”, che si impongono in virtù delle indicazioni contenute nella pronuncia della Corte costituzionale – può rappresentare il “contenitore neutro” (così Cass. n. 1946/2017, citando Cass., sez. un., 19 giugno 1996, n. 5629) del procedimento di interpello della madre biologica, vale a dire “di un’interrogazione riservata, esperibile una sola volta, con modalità pratiche nel concreto individuate dal giudice nel rispetto dei limiti imposti dalla natura dei diritti in gioco”, diritti strettamente connessi, ma potenzialmente concorrenti, anzi, confliggenti[21].
Ci si chiede quali siano le peculiaritàdi questo procedimentodi interpello della madre naturale, non regolamentato dal legislatore. Si tratta, come si diceva, di un procedimento camerale e di volontaria giurisdizione già delineato nell’art. 28, commi 5 e 6, legge adoz. in cui: – la competenza è attribuita al tribunale per i minorenni (“l’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza”, ex comma 5, art. 28, legge adoz.), anche se il ricorso è proposto da maggiorenni; – non è previsto l’intervento del pubblico ministero[22]; – l’attività istruttoria, demandata al tribunale per i minorenni[23], è all’apparenza semplificata, si incentra infatti su due punti: l’audizione delle persone di cui si ritenga opportuno l’ascolto e l’assunzione di tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico necessarie allo scopo di valutare che l’accesso alle notizie sulle proprie origini e l’identità della madre biologica non comportino “grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente”, nonché come puntualizzato da Cass., sez. un., n. 1946/2017, dell’equilibrio della madre naturale di cui si chiede l’interpello; – il tribunale per i minorenni, definita l’istruttoria, emette la decisione sotto forma di decreto (“autorizza con decreto l’accesso alle notizie richieste”, recita il comma 6, dell’art. 28, legge adoz., anche se la gravità delle informazioni assunte e le conseguenze delle stesse sulla salute psico-fisica del richiedente e/o della madre possono giustificare, ci pare, un rigetto dell’istanza).
Peraltro, non deve sfuggire che nel “contenitore neutro” del procedimento di interpello in discorso, in cui non possono essere dimenticati i riferimenti normativi alle Convenzioni e gli agganci giurisprudenziali con le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo[24], vanno inserite altresì modalità procedimentali desunte dall’art. 93, d.lgs. n. 196 del 2003,Codice in materia di protezione dei dati personali, secondo cui, come già enucleato supra (§ 1), ai sensi del comma 3, art. 93 Codice privacy, prima del decorso dei cento anni, la richiesta di accesso al certificato di assistenza al parto (ora attestazione di avvenuta nascita) o alla cartella clinica può essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata, “osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”. Pertanto l’art. 93 Codice privacy detta un criterio utile per il giudice, il quale, nel procedere all’interpello della madre, dovrà seguire “modalità idonee a preservare la massima riservatezza e segretezza nel contattare la madre” per verificare se ella intenda confermare l’originaria dichiarazione di anonimato o rimuoverla[25]. “Massima riservatezza” considerato altresì che l’esigenza evidenziata al comma 6, art. 28, legge adoz. di evitare che l’accesso alle notizie sulle proprie origini biologiche non procuri “grave turbamento dell’equilibrio psico-fisico del richiedente” (l’adottato) non può che riguardare anche la madre biologica. L’indicazione normativa, infatti, deve valere per tutte le posizioni coinvolte nella vicenda, pertanto la ricerca della madre naturale e il contatto con la stessa ai fini dell’interpello riservato devono essere gestiti “con la massima prudenza ed il massimo rispetto, oltre che della libertà di autodeterminazione, della dignità della donna, tenendo conto della sua età, del suo stato di salute e della sua condizione personale e familiare”[26] .
Così, le Sezioni Unite, coerentemente con il dettato di Corte cost. n. 278 del 2013, reperendo dal quadro normativo esistente le disposizioni che permettono di integrare la lacuna dell’ordinamento in attesa di un intervento legislativo ad hoc, sembrano aver attuato un condivisibile bilanciamento tra diritti concorrenti: da un lato il diritto dell’adottato non riconosciuto alla nascita alla conoscenza delle proprie origini biologiche nonché dell’identità materna, e dall’altro il diritto all’anonimato della madre, che abbia dichiarato alla momento del parto di non voler essere nominata.
[17] Cass. civ., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946, in Foro it. 2017, I, c. 477 ss., con Osservazioni di Casaburi, e con p>Giudice legislatore, c. 493, e di Amoroso, Pronunce additive di incostituzionalità e mancato intervento del legislatore, c. 494; in Corr. giur. 2017, p. 618 ss. con nota di Bugetti, Sul difficile equilibrio tra anonimato materno e diritto alla conoscenza delle proprie origini: l’intervento delle Sezioni Unite; in Fam. e dir. 2017, p. 740 ss., con nota di Di Marzio, Parto anonimo e diritto alla conoscenza delle origini; in Guida al dir., 2017, fasc. 8, p. 50, con nota di M. Finocchiaro, Parto anonimo: il giudice su richiesta del figlio può interpellare la madre sulla reversibilità della scelta, e Se il diniego persiste il diritto dell’adottato non deve prevalere; nonché in Dir. fam. 2017, p. 320. Del tutto conforme la successiva, meno articolata, Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2017, n. 14162, in Mass. Foro it., 2017, c. 494 (cassa App. Bologna, 6 maggio 2016). In argomento v. anche, per tutti, Stefanelli, Anonimato materno e genitorialità dopo Cass. sez. un., n. 1946 del 2017, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, p. 1041; l’ampio studio di Gigliotti, Parto anonimo e accesso alle informazioni identitarie (tra soluzioni praticate e prospettive di riforma), in E. dir. priv., 2017, p. 901; Checchini, La giurisprudenza sul parto anonimo e il nuovo “istituto” dell’interpello, in Nuova g. civ. comm., 2017, II, p. 1290.
[18] Cfr. Lipari, Giudice legislatore, cit., c. 493 s.
[19] Lo ricorda anche Grasso G., Il diritto dell’adottato adulto di conoscere le proprie origini tra vecchi e nuovi feticci, in Minori giustizia, 4/2018, p. 84.
[20] E’ il procedimento di volontaria giurisdizione previsto qualora l’adottato (la cui madre naturale non abbia dichiarato di voler restare anonima), una volta raggiunta la maggiore età, intenda accedere a informazioni che riguardano le sue origini e l’identità dei propri genitori biologici, presentando istanza al tribunale per i minorenni del luogo di residenza.
[21] Virgolettato tratto da Cass. civ., sez un., n. 1946/2017, punto 9 delle motivazioni.
[22] Considerata però la rilevanza pubblicistica degli interessi in gioco, l’intervento del P.M. deve ritenersi necessario, “perlomeno attraverso l’emanazione di un parere prima che sia emessa la decisione”, così, condivisibilmente, Montaruli, Parto anonimo e accesso alle origini nell’adozione, cit., p. 17.
[23] Cass. n. 1946/2017 accenna, al punto 11 delle Ragioni della decisione, a un “giudice onorario minorile delegato dal giudice togato”.
[24] Cui fa riferimento anche Cass. n. 1946/2017, al punto 9 delle motivazioni. Si vedano gli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 delle Nazioni Unite sui Diritti del fanciullo (l’art. 7 prevede il diritto di quest’ultimo a conoscere l’identità dei propri genitori biologici); l’art. 30 della Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993, relativa alla Protezione dei minori e alla cooperazione in materia di adozione internazionale; l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (l’art. 8 della Cedu concerne il diritto al rispetto della vita privata e familiare), nonché la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, da ultimo la sentenza Corte Edu, 25 settembre 2012 – Ricorso n. 33783/09 Godelli c. Italia, in www.giustizia.it.
[25] Cass. sez un. n. 1946/2017, punto 9 delle Ragioni della decisione.
[26] In termini Cass. sez un. n. 1946/2017, punto 9 delle Ragioni della decisione, su cui non si può che concordare.
2.2. Le criticità delle prassi di interpello della madre biologica, che abbia dichiarato alla nascita del figlio di non voler essere nominata
Tuttavia non si può negare che alcune criticitàsi manifestano nella prassi, nel concreto svolgersi delle diverse fasi del procedimento di interpello della madre biologica. In altre parole, l’effettività del bilanciamento di diritti confliggenti, e quindi la risoluzione del contrasto nel momento applicativo, non sempre si verifica per quanto concerne il profilo della tutela della riservatezza della donna.
Il tribunale minorile di solito delega il giudice relatore a disporre le necessarie ricerche atte a rintracciare la madre biologica anonima del ricorrente (il figlio poi dato in adozione) ai fini di verificare se ella voglia rimuovere il segreto revocando la scelta di rimanere anonima e, nel procedimento camerale già delineato dai commi 5 e 6 dell’art. 28 (v. supra), il giudice dovrebbe inserire le misure necessarie ad assicurare la riservatezza della madre naturale, affinché l’interpello “avvenga con modalità non invasive e rispettose della sua dignità e, nello stesso tempo, cautelando in termini rigorosi il suo diritto alla riservatezza”[27], come afferma Cass. n. 1946/2017, che però non precisa i doveri, in tal senso, dei soggetti coinvolti nel procedimento di interpello.
Ed è proprio questo aspetto, garantire pienamente ed effettivamente la tutela della riservatezza della madre biologica anonima, il punto debole che in concreto si riscontra, a nostro avviso, nell’esperimento dell’interpello[28]. Infatti, nella lunga catena procedimentale dell’interpello della madre biologica[29] vi è il rischio che si verifichino delle défaillances, in qualcuna delle fasi che scandiscono il procedimento, o dei momenti di allentamento della “rigorosa” tutela del diritto alla riservatezza della madre naturale e, di riflesso, del nucleo familiare che può aver costituito dopo l’evento (aspetto, questo, non di rado trascurato). Anche se i giudici dei tribunali per i minorenni, “in quanto giudici specializzati sono già attrezzati, per legge, ad esercitare una giurisdizione ‘mite’ […] nei confronti degli utenti coinvolti nelle procedure minorili”[30] e solitamente agiscono con professionalità pure al fine di assicurare riservatezza alla convocazione, tuttavia occorre riconoscere, da un lato, che “non ci sarà mai un articolato normativo idoneo ad evitare abusi, o l’uso prepotente ed illegittimo, o anche semplicemente irragionevole, di funzioni pubbliche”[31], dall’altro che solitamente un compito tanto delicato quale l’interpello della madre biologica, che abbia optato per il parto in anonimato, viene affidato a un giudice onorario (selezionato non sempre in modo accurato) [32], o all’assistente sociale.
Uno degli anelli deboli della lunga catena procedimentale dell’interpello della madre che abbia scelto l’anonimato al momento del parto, può identificarsi, non di rado, nell’intervento dei servizi sociali. I servizi sociali, struttura spesso preziosa per la tutela del minore, anche in materia di adozione nelle sue varie fasi (nell’accertamento dello stato di abbandono ai fini anche della successiva dichiarazione dello stato di adottabilità, nonché nell’affidamento preadottivo ed eventuale revoca, fino alla dichiarazione di adozione[33]) possono però costituire nel procedimento in discorso l’anello debole sotto il profilo della riservatezza (in particolare nelle piccole città in cui sovente ogni segreto è un non-segreto), dunque del rispetto della dignità della madre biologica, e, in definitiva, della corretta funzionalità del procedimento di interpello della medesima.
Pur nel rispetto e la tutela di tutte le posizioni coinvolte – madre biologica e suoi congiunti, figlio istante, famiglia adottiva, le cui esigenze di privacy sono spesso lasciate in secondo piano[34] -, non può trascurarsi la necessità di particolare cautela nella ricerca e nell’approccio alla madre naturale ai fini dell’interpello, per evitare che possa essere percepito come un atto invasivo e perturbante, e, dunque la necessità di attivare operatori sociali di sicura professionalità e riservatezza. Anche se nel procedimento di interpello della madre biologica saranno rispettate tutte le possibili cautele (e il tribunale per i minorenni terrà conto, in particolare, dell’età, dello stato di salute psico-fisica della donna, delle sue condizioni familiari, sociali e ambientali) non sarà facile per la stessa dover affrontare il coinvolgimento emotivo, nonché, soprattutto in presenza di un coniuge o di altri figli, anche il solo fatto di essere contattata dai servizi sociali o dal giudice. Infatti, nella prassi dei tribunali per i minorenni si è constatato come spesso la decisione della donna di revocare oppure no l’anonimato sia influenzata e determinata dalla presenza o meno di altri figli ed in particolare dalla conoscenza da parte degli stessi della vicenda adottiva[35].
[27] Così Cass. sez un. n. 1946/2017, punto 11 delle motivazioni.
[28] “Le risposte procedimentali a tali esigenze delle varie prassi locali, già ad un esame sommario, spesso consistono in escogitazioni empiriche, farraginose, lasciate alla buona volontà del singolo operatore, macchinose e financo inefficaci rispetto allo scopo”, osserva un magistrato, G. Grasso, Il diritto dell’adottato adulto di conoscere le proprie origini tra vecchi e nuovi feticci, cit., p. 85.
[29] Non si può non ricordare che nel procedimento di interpello in discorso sono coinvolte molte persone: giudici, cancellieri, polizia giudiziaria del tribunale per i minorenni cui si rivolge l’interessato, responsabile del reparto di maternità e dell’ufficio cartelle cliniche, personale incaricato di rintracciare la madre – per esempio l’ufficio dell’anagrafe per verificare la permanenza in vita della donna e individuare il luogo di residenza – personale impiegatizio del comune di residenza, altri giudici e cancellieri incaricati di contattarla, servizi sociali interpellati …
[30] Così il Presidente Trib. min. Firenze, Trovato L., La conoscenza delle origini nelle pronunce della Corte costituzionale e della Cedu. Possibili linee ricostruttive, in Diritto di famiglia e minorile: istituti e questioni aperte, a cura di C. Cottatellucci, Torino, 2016, p. 275-309, spec. p. 303.
[31] Ancora Trovato L., La conoscenza delle origini nelle pronunce della Corte costituzionale e della Cedu. Possibili linee ricostruttive, cit., p. 304.
[32] Lo rileva Lo Voi, Mors omnia solvit? Parto anonimo e valutazione circa l’attualità del diritto all’anonimato della madre biologica nel caso di morte della stessa, in Dir. fam. pers., 2018, p. 1130.
[33] Sul punto v., anche per la bibliografia ivi citata, Lombardini, Sub art. 28 L. 4 maggio 1983 n. 184 , in Commentario breve al diritto della famiglia, a cura di A. Zaccaria, cit., p. 1922 ss.
[34] Si tratta della “tutela degli interessi di cui sono portatori i soggetti coinvolti nell’adozione legittimante”, osserva Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, cit., p. 476.
[35] V. Montaruli, Il parto anonimo in caso di morte della madre e l’estensione dell’accesso alle origini ai fratelli: quale bilanciamento?, nota a Trib. min. Genova, 23 maggio 2019, in www.ilfamiliarista.it (28 novembre 2019).
3. Altri profili problematici: l’impossibilità dell’interpello nel caso di madre biologica anonima deceduta
Un problema di non facile soluzione si pone quando non sia possibile esperire l’interpello per morte (o irreperibilità) della madre biologica che al momento del parto si sia avvalsa della facoltà di non essere nominata.
Quid se l’interpello non è possibile per morte o irreperibilità della madre biologica “anonima”?
Sulla spinosa questione ha statuito Cass. civ., 21 luglio 2016, n. 15024[36].
Secondo la Corte l’intervenuta morte della madre biologica, la quale si era avvalsa della facoltà di non essere nominata nell’atto di nascita del figlio, dato in adozione, senza che abbia potuto essere interpellata ai fini dell’eventuale revoca di tale dichiarazione, non osta all’accoglimento della domanda del figlio stesso, che chiede di conoscerne le generalità.
Il principio è stato riaffermato, con motivazioni anche più articolate, dalla successiva Cass. civ., sez. I, 9 novembre 2016, n. 22838[37], la quale riconosce che il diritto dell’adottato – nato da donna che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata exart. 30, comma 1, d.p.r. n. 396/2000 – ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l’identità della madre biologica sussistee può essere concretamente esercitato anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto (non rilevando nella fattispecie il mancato decorso del termine dei cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto [attestazione di avvenuta nascita] o della cartella clinica di cui all’art. 93, comma 2 e comma 3, d. lgs. n. 196/2003), salvo il trattamento lecito e non lesivo dei diritti di terzi dei dati personali conosciuti. Va sottolineato che la Cassazione, nella pronuncia n. 22838/2016, evidenzia la necessità di “una forma più intensa della tutela della riservatezza”, spettante ai genitori biologici, con riguardo alle informazioni relative alla nascita e all’abbandono del figlio, poi adottato, “trattandosi di vicende umane tendenzialmente percepite in modo negativo sul piano etico e sociale”.
In estrema sintesi, con le motivazioni che: – l’irreversibilità del segreto negherebbe totalmente il diritto del figlioa conoscere le proprie origini ogni qualvolta manchi oggettivamente, a causa della morte della madre naturale o della sua irreperibilità, la possibilità di revocare l’originaria dichiarazione di anonimato; – si sottoporrebbe così il riconoscimento e l’esercizio di un diritto della persona di rilievo primario ad un fattore meramente eventuale, quale il momento in cui si chiede il riconoscimento del proprio diritto; – l’interpretazione della norma, che consideri l’intervenuta mortedella donna un ostacolo assoluto al riconoscimento del diritto a conoscere le proprie origini da parte dell’adottato, determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento, tra i figli nati da donne che hanno scelto l’anonimato, ma non sono più in vita, e i figli di donne che possono essere interpellate sulla reversibilità della scelta fatta alla nascita, la Suprema corte (Cass. 21 luglio 2016, n. 15024, Cass. 9 novembre 2016, n. 22838, nonché la confermativa Cass. 7 febbraio 2018, n. 3004, ord., su cui v. anche nel prosieguo), statuisce il libero accesso da parte del figlio alle informazioni sui dati identificativi della madre biologica che sia morta o irreperibile, a prescindere da un espresso suo consenso a revocare l’anonimato.
Non può non segnalarsi che Cass. 22838/2016 “ha “superato” il principio – non intaccato neppure dalla pronuncia della Corte costituzionale del 2013 – secondo cui mai è consentito l’accesso alle informazioni identificative della donna, che abbia dichiarato di non voler essere nominata, senza il consenso quest’ultima; per sostituirvi l’opposto principio, secondo cui, (almeno) alla sua morte, detto accesso è consentito a prescindere dal suo consenso o, addirittura, contro la sua espressa volontà in senso contrario”[38]. Si consideri che mentre l’interpello della madre biologica – che si sia avvalsa della facoltà di non essere nominata al momento del parto – in forza di una revoca espressa dell’originaria dichiarazione rende possibile il superamento della rigidità del parto in anonimato (Corte cost. n. 278/2013), e quindi l’accesso ai dati identificativi della stessa, con le due pronunce del 2016 in esame la Cassazione “si è richiamata al principio, affermato dalla Corte costituzionale, di “reversibilità del segreto” non tanto per colmare una lacuna normativa […], quanto per disapplicare una regola legale”, l’art. 93, comma 2, Codice privacy, che, come noto, rende “accessibili a chi vi abbia interesse” i dati personali identificativi della donna che, all’atto del parto, abbia dichiarato di non voler essere nominata, soltanto decorsi cento anni dalla formazione del documento, e non alla sua morte[39]. Né può sfuggire la necessità di tutelare i discendenti della madre biologica anonima, su cui si è espressa di recente anche la giurisprudenza di merito[40].
Per inciso, si ricorda che le due pronunce in discorso sono state richiamate, e quindi legittimate, da Cass. sez. un. n. 1946/2017, cit. e che la Corte di cassazione è tornata ad esprimersi sulla questione con l’ordinanza n. 3004/2018. Cass. civ., ord., 07/02/2018, n. 3004 è in linea con le precedenti sopra citate pronunce del 2016, ne riprende il percorso argomentativo, ampliando però il perimetro della questione, giacché l’irreperibilità della madre viene equiparata al decesso, e sottolineando l’indispensabile “reversibilità del segreto”. Riafferma pertanto che sussiste il diritto del figlio, nato da parto anonimo, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identità personale della madre, anche se la stessa siamorta o irreperibile e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto mediante interpello; poiché non può ritenersi operativo, oltre il limite della vita della madre, il termine, stabilito dal d.lgs. n. 196 del 2003, che permette l’acquisizione dei dati relativi alla propria nascita solo decorsi cento anni dalla data del parto, infatti, una diversa soluzione “determinerebbe la cristallizzazione della sceltadell’anonimato da parte della madre anche dopo la sua morte e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la necessaria reversibilità del segreto”, considerato “l’affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre, proprio in ragione della revocabilità di tale scelta”[41].
[36] Cass. civ., 21 luglio 2016, n. 15024, in Foro it. 2016, I, c. 3114, con Osservazioni di Casaburi; in Nuova g. civ. comm. 2016, 1484, con nota di Stanzione, Il diritto del figlio a conoscere le proprie origini nel dialogo tra le Corti; in Fam. e dir. 2017, p. 15 ss, con nota di Andreola, Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima; in dottrina su anonimato materno e diritto alla conoscenza delle origini, v., ampiamente, Stefanelli, Diritto all’identità, in A. Sassi – F. Scaglione – S. Stefanelli, Le persone e la famiglia, III, 4, La filiazione e i minori, Tr. Sacco2, Milano, 2018, p. 507 ss.; Carbone, Con la morte della madre al figlio non è più opponibile l’anonimato: i giudici di merito e la Cassazione a confronto, in Corr. giur., 2017, p. 24; sulla tutela del diritto alla riservatezza dopo la morte del suo titolare, su cui non è possibile soffermarsi in questa sede, v. Tescaro, La tutela post mortem dei diritti della personalità morale e specialmente dell’identità personale, in www.juscivile.it, 2014.
[37] Cass. civ., sez. I, 9 novembre 2016, n. 22838, in Foro it., 2016, I, c. 3784, con Osservazioni di Casaburi; in Guida dir., 2017, n. 6, p. 52 ss., con nota critica di M. Finocchiaro, La Cassazione “fa sue” le prerogative del legislatore; in Nuova g. civ. comm. 2017, p. 319 ss., con nota di Stanzione, Scelta della madre per l’anonimato e diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini, con la ricostruzione dell’evoluzione del diritto di conoscere le proprie origini nell’ordinamento italiano e nei maggiori ordinamenti europei; in Fam. e dir. 2017, p. 19 ss. con nota di Andreola, Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima;in Rass. d. civ., 2017, p. 673, con nota di Tescione, L’anonimato materno: un diritto al banco di prova.
[38] Così Granelli, Il c.d. “parto anonimo” ed il diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini: un caso emblematico di “dialogo” fra Corti, in www.jus civile, 2016, p. 569.
[39] Per il virgolettato v. ancora Granelli, ibidem; v. anche sul punto Bugetti, Sul difficile equilibrio tra anonimato materno e diritto alla conoscenza delle proprie origini: l’intervento delle Sezioni Unite, cit., p. 624 ss., spec. p. 633; De Belvis, Il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini biologiche, in Fam e dir. 2017, p. 937 ss., spec. p. 941 s.; Renna, Anonimato materno e diritto alla conoscenza delle origini personali, cit., p. 82.
[40] V., di recente, Trib. min. Genova, decreto 13-23 maggio 2019, da leggersi in www.quotidianogiuridico.it (09 settembre 2019),con Osservazioni di Nocera e in www.ilfamiliarista.it (28 novembre 2019) con nota di Montaruli, Il parto anonimo in caso di morte della madre e l’estensione dell’accesso alle origini ai fratelli: quale bilanciamento?“; anche parte della dottrina ha sottolineato la mancata tutela, effettiva, nelle citate pronunce, dei discendenti della madre “anonima”: v., per tutti, Andreola, Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima, cit., p. 15 ss. e p. 19 ss.; nonché, ampiamente, sotto diversi profili, M. Finocchiaro, La Cassazione “fa sue” le prerogative del legislatore, cit., p. 57 ss., spec. p. 59 s.
[41] Così Cass. civ. n. 3004/2018, in www.altalex.com. Per una riflessione in merito a tutela dei dati personali e morte dell’interessato, v., anche per la bibliografia ivi citata, Sasso, La tutela dei dati personali “digitali” dopo la morte dell’interessato (alla luce del Reg. UE 2016/679), in Dir. succ. e fam., 2019, p. 181, spec. p. 191 e p. 204 s.
3.1. Espansione del diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini e conseguente estensione dell’interpello a fratelli e sorelle biologici
Sulla questione, e precisamente sotto il profilo dell’espansione soggettiva del diritto di conoscenza delle proprie origini da parte dell’adottato con riguardo a fratelli e sorelle biologici, è intervenuta, di recente, Cass. civ. 20 marzo 2018 n. 6963[42], che ha enunciato il seguente principio: l’adottato che abbia compiuto venticinque anni di età ha diritto, nei casi di cui alla L. n. 184/1983, art. 28, comma 5, legge adoz.di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti, non solo l’identità dei propri genitori biologici, ma anche quella delle sorelle e fratelli biologici adulti, previo interpellodi questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto.
Occorre chiarire fin da subito un punto essenziale: la sentenza Cass. n. 6963/2018 concerne la fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 28 legge adoz., vale a dire i casi dell’adottato riconosciuto alla nascita e poi dato in adozione che chiede di conoscere le proprie origini, e non la fattispecie dell’adottato, nato da madre che abbia scelto il c.d. parto in anonimato, che chiede l’accesso alle proprie origini e ai dati identificativi della madre naturale disciplinata dal comma 7 dello stesso art. 28. Ora, il citato comma 5 prevede, come noto, che “L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origineel’identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica.
Dunque, “Much Ado About Nothing?” Non esattamente. Infatti, la Suprema Corte ha dato della citata disposizione (comma 5, art. 28 legge adoz.) una interpretazione “costituzionalmente e convenzionalmente orientata”, di fatto una lettura estensiva. Il punto clou del percorso argomentativo seguito da Cass. n. 6963/2018 è il seguente: considerato che il comma 5 dell’art. 28 prevede che “l’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine “e” l’identità dei propri genitori biologici”, è necessario “stabilire se la formula legislativa possa essere qualificata come un’endiadi e, conseguentemente, esprimere un concetto unitario per il tramite di due termini coordinati ovvero se formula congiunta abbia una valenza pleonastica, o se contenga, invece, due ambiti d’informazioni non necessariamente coincidenti. […] Il riferimento alle origini, congiunto con quello relativo all’identità dei genitori biologici, può implicare uno spettro più esteso d’informazioni, al fine di ricostruire in modo effettivo il quadro dell’identità personale”. La Corte opta per quest’ultima soluzione: una “interpretazione costituzionalmente e convenzionalmenteorientata” della norma, cosicché il diritto di accedere alle informazioni sulla propria origine include oltre ai genitori biologici, in particolare nel caso in cui non sia possibile risalire ad essi, anche i congiunti come i fratelli e le sorelle, pur se non esplicitamente richiamati dalla disposizione. “La natura del diritto e la funzione di primario rilievo nella costruzione dell’identità personale, che viene riconosciuta alla scoperta della personale genealogia biologico-genetica”, chiarisce la Corte, “induce ad accogliere tale interpretazione estensiva”. Peraltro, aggiunge la Cassazione, poiché il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini rispetto ai fratelli non ha natura potestativa, è necessario procedere in concreto al bilanciamento degli interessi tra le due posizioni, vale a dire tra il diritto del richiedente adottato di conoscere le proprie origini e quello dei fratelli e delle sorelle a non voler rivelare la propria parentela biologica e a non voler mutare la costruzione della propria identità attraverso la conoscenza di informazioni ritenute negativamente incidenti sul raggiunto equilibrio di vita. Per realizzare il corretto bilanciamento fra le due posizioni, almeno astrattamente in conflitto, deve riconoscersi, a fratelli e sorelle componenti del nucleo familiare originario il diritto di essere interpellatiin ordine all’accesso alle informazioni sulla propria identità, trovandosi a confronto posizioni giuridiche soggettive di pari rango.
Così Cass. n. 6963/2018 equipara la posizione di fratelli e sorelle biologici dell’adottato a quella della madre naturale, che aveva optato per il parto in anonimato, per cui il diritto alla conoscenza delle proprie origini da parte dell’adottato istante deve trovare adeguato bilanciamento con posizioni soggettive contrapposte di fratelli e sorelle biologici, quali il diritto all’oblio e alla riservatezza. Ancora, il diritto a conoscere le proprie origini è limitato all’accesso, riservato, alle informazioni relative all’identità delle sorelle e fratelli biologici adulti, con esclusione di vincoli di parentela o relazionali e con obbligo di trattamento dei dati personali conosciuti non lesivo dei diritti altrui e il procedimento di interpello sarà esperito seguendo i protocolli elaborati dai vari tribunali per i minorenni, richiamati e da Cass. sez. un. n. 1946/2017 (su cui v. supra i §§ n. 2. e 2.1.).
È indubbio che Cass. civ. n. 6963/2018 opera “una progressiva valorizzazione del diritto alle origini, al di là di quelli che sono i rapporti giuridici formali di parentela, che l’adozione piena determina”[43] e pare sottovalutare il rischio che un accesso indiscriminato alle proprie origini da parte dell’adottato può comportare, oltre che per il medesimo (cfr. art. 28, comma 6, legge adoz.) anche per la tutela degli interessi della “controparte”, eventualmente della madre, se defunta o irreperibile, e soprattutto per gli eventuali terzi, suoi discendenti, che potrebbero trovarsi coinvolti nella vicenda. Infatti, anche se la sentenza concerne il comma 5 legge adoz., quindi l’istante è l’adottato riconosciuto alla nascita, adottato spesso non in tenerissima età e che sovente ha convissuto con i fratelli e le sorelle, eventualmente con i nonni, nella famiglia di origine, dei quali conserva il ricordo, e che dunque fanno parte del suo vissuto e così altrettanto per i fratelli e le sorelle[44], non deve però trascurarsi che la questione dell’accesso alle proprie origini biologiche necessariamente si correla “alla tutela di cui sono portatori tutti i soggetti coinvolti nell’adozione legittimante” (non solo l’adottato, ma anche adottanti, genitori biologici e loro congiunti), e che è “un complesso intreccio di interessi”[45].
Quindi,la pronuncia Cass. n. 6963/2018, che (con riferimento al comma 5 dell’art. 28, legge adoz.) estende il diritto dell’adottato adulto alla conoscenza delle proprie origini anche a fratelli e sorelle biologici previo loro interpello, solleva qualche perplessità, perché, in definitiva, e tutto considerato, non può negarsi che l’interpello, pur se condotto con le “opportune cautele”, possa costituire una grave intrusione nella vita di questi ultimi e sconvolgere delicati assetti familiari e relazionali[46], situazioni concrete che soloil giudicepotrà valutare. Pertanto sarebbe opportuno attribuire “espressamente” al giudice il potere-dovere di una previa valutazione della validità dei motivi sottostanti all’istanza[47].
[42] Cass. civ. 20 marzo 2018 n. 6963 (cassa App. Torino, decr. 27-12-2013), in Foro it. 2018, I, c. 1134 ss. con nota di Casaburi, Privilegia ne inroganto. La Cassazione/legislatore riconosce e insieme limita il diritto alle origini nei confronti delle sorelle e dei fratelli biologici; in Nuova g. civ. comm., 2018, I, p. 1223, con nota di Long, L’adottato adulto ha diritto a conoscere l’identità dei fratelli biologici, se essi vi consentono; in G. cost., 2018, p. 1504 ss., con nota di Astone, Sul diritto dell’adottato a conoscere le generalità delle proprie sorelle.
[43] Figone, Adozione: sì alla conoscenza dei fratelli e delle sorelle, in www.ilfamiliarista.it (14 agosto 2018).
[44] Con riferimento alla ricerca dei fratelli e delle sorelle adottati, v. le riflessioni di Lenti, L’adozione, in Il nuovo diritto della filiazione (a cura di L. Lenti-M. Mantovani), Trattato di diritto di famiglia. Le riforme 2012-2018, diretto da P. Zatti, II, cit., p. 401 s., che si pone dal punto di vista dell’adottato richiedente e altresì dal punto di vista opposto, dei fratelli e sorelle ricercati; Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, cit., p. 486 s.
[45] Per il virgolettato v. ancora Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, cit., p. 476 s..
[46] In tal senso, di recente, anche Trib. min. Genova, decr., 23 maggio 2019, cit.
[47] Così, condivisibilmente, un magistrato, Trovato L., La conoscenza delle origini nelle pronunce della Corte costituzionale e della Cedu. Possibili linee ricostruttive, cit., p. 307; v. già in tal senso Trib. min. Bologna, 30 gennaio 1996, in Dir. fam. pers., 1996, p. 656, che aveva positivamente valutato la finalità strettamente sanitaria della richiesta di conoscenza delle proprie origini e “l’assenza del rischio di ricatti affettivi”.
4. Rilievi conclusivi
In chiusura, alla luce di quanto esposto pare opportuno rilevare che il dibattito ancora aperto sul tema oggetto del presente scritto non dovrebbe più vertere sull’ormai acquisito diritto dell’adottato di accedere – per motivi identitari o di salute – alla conoscenza delle proprie origini biologiche, compresi, se del caso, i dati identificativi della madre naturale, che si sia avvalsa della facoltà di non essere nominata al momento del parto, previo suo interpello[48], bensì dovrebbe piuttosto riguardare, a nostro avviso, in attesa di un compiuto intervento del legislatore[49] lemodalità di esercizio di questo diritto e i limiti del medesimo, nonché i possibili strumenti alternativi e/o complementari all’interpello, per tentare di superare le criticità di cui si è detto.
In attesa di un intervento organico del legislatore, che riscriva, come da più parti si auspica, la legge 4 maggio 1983, n. 184, oppure anche solo di un intervento parziale, o meglio, “settoriale” limitato alla questione oggetto del presente scritto, è logico chiedersi checosa si possa “fare” nell’immediato.
Una priorità ci sembra sia quella di assicurare la facile accessibilità dei dati non identificativi, in primis sanitari, in stretta relazione con la loro utilizzabilità ai fini medici, essendo la conoscenza dei dati biologici funzionale alla tutela della salute.
Preso atto che un gran numero di istanze volte ad esercitare il diritto di accesso alle proprie origini biologiche è presentato per motivi di salute, e considerato che ai sensi del comma 3 dell’art. 93 Codice protezione dati personali (Codice privacy), prima del decorso dei cento anni, per motivi sanitari “la richiesta di accesso al certificato [di assistenza al parto o, attualmente, attestazione di avvenuta nascita] o alla cartella clinica può essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata, osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”, resta il problema che, spesso, le informazioni di carattere sanitario, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di malattie ereditarie trasmissibili, sono generiche e incomplete[50], spesso insufficienti, per esempio, per orientare nella cura di malattie geneticamente trasmissibili: non conoscendo la propria anamnesi familiare in caso di necessità l’adottato non potrebbe ricorre alla donazione di organi o di cellule da parte di individui (fratelli, genitori) geneticamente affini, anche se la Corte Costituzionale nella sentenza n. 278/2013 ha dichiarato essere “Altrettanto evidente che debba, inoltre, essere assicurata la tutela del diritto alla salute del figlio, anche in relazione alle più moderne tecniche diagnostiche basate su ricerche di tipo genetico”. E deve riconoscersi che qualora i dati sanitari fossero completi, conservati correttamente e facilmente accessibili si ridurrebbe probabilmente il numero delle istanze di accesso ai dati identificativi della madre biologica e, quindi, dei procedimenti di interpello della medesima.
Pertanto, considerato che la possibilità di accesso agli elementi non identificativi e, a maggior ragione, identificativi, per quanto autorizzabile allo stato attuale della normativa, può essere vanificata dalla mancata regolamentazione delle modalità di raccolta e conservazione dei dati medesimi, si potrebbero introdurre (siglare e mettere in atto) delle c.d. Prassi uniformi (a livello nazionale o almeno regionale)da seguire nelle strutture ospedaliere, nei casi di parto in anonimato o nelle situazioni di non riconoscimento materno, per la raccolta, comunicazione e conservazione delle informazioni e dei dati. A titolo esemplificativo (non essendo possibile soffermarsi sul tema in questa sede, esorbitando ciò dai limiti imposti al presente contributo) si veda, sulle “Buone prassi sanitarie”, il Documento elaborato dal Gruppo di lavoro “Ospedali e nascite” Servizio Madre segreta, Settore Centro assistenza minori e famiglia – Provincia di Milano,nel giugno 2014[51].
Non solo, ma allo scopo di assicurare la qualità e l’omogeneità dell’intervento socio sanitario, nonché il necessario raccordo con il tribunale per i minorenni, si potrebbero altresì adottare dei Protocolli di Intesa, fra tribunale per i minorenni, comune/provincia e Azienda sanitaria locale finalizzati a definire le linee operative e le procedure condivise per una corretta gestione dei casi di parto in anonimato (e di nascita di neonato non riconosciuto da uno o da entrambi i genitori). Un raro esempio è il recente Protocollo di Intesa, “per il parto in anonimato”, siglato in data 13 luglio 2017, tra il Tribunale per i minorenni di Taranto, la Procura della Repubblica per i minorenni di Taranto e la ASL di Taranto[52]. Il Protocollo “operativo” adottato concerne il Parto in anonimo ed altre situazioni di pregiudizio per i neonato, e mira: – a dettare disposizioni per la struttura ospedaliera in merito alla conservazione degli atti e dei dati sanitari, della donna che decide di partorire in anonimato e del neonato, nonché dei dati identificativi della medesima; – a rendere edotta la madre, che dichiari di non voler essere nominata, della normativa vigente in materia e del diritto del figlio di conoscere le proprie origini biologiche; nonché, ed è questo il punto innovativo ed essenziale, – a prevedere le procedure operative condivise per consentire, in futuro, l’esercizio del c.d. diritto a conoscere le proprie origini da parte del figlio poi adottato. Ancora, si può richiamare come esempio, il Protocollo d’intesa per le buone prassi tra il Tribunale per i minorenni di Roma(Presidenza) e il Comune di Roma (Dipartimento V Politiche sociali e della salute)[53].
Con riferimento poi all’auspicato intervento, se pur parziale e ridotto ai “minimi termini”, del legislatore, sulla materia oggetto del presente scritto, l’intervento potrebbe incentrarsi su due aspetti, strettamente connessi: la revoca del segreto da parte della madre e il procedimento di interpello, di cui si sono messe in luce, supra, alcune criticità.
Considerato che larevocabilità della dichiarazione della madre biologica di non voler essere nominata costituisce “il punto di equilibrio costituzionalmente necessario” tra il diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini-diritto all’identità e le ragioni di tutela della madre, “della sua immagine, della reputazione sociale e familiare, e di riflesso della sua esistenza libera dai condizionamenti negativi” derivanti da quella scelta[54], al fine di diminuire o almeno contenere il numero dei procedimenti di interpello della madre naturale, si potrebbe prevedere la reversibilità del segreto ad istanza della madre, mediante la revoca, in ogni tempo, della dichiarazione di non voler essere nominata, dunque la facoltà per la donna di rinunciare preventivamente all’anonimato a prescindere dall’istanza del figlio[55], come già è previsto in altri ordinamenti.
Ci si chiede altresì se lo strumento dell’interpello della madre biologica, così come procedimentalizzato, con istanza presentata al tribunale per i minorenni, sia l’unica soluzione possibile compatibilmente con le indicazioni espresse da Corte cost. n. 278 del 2013, o se possa prospettarsi una scelta di mezzi più adatti (deflazionando al contempo il contenzioso a carico dei tribunali per i minorenni) per assicurare equamente la conciliazione dell’anonimato della madre con la domanda del figlio in seguito adottato di avere accesso alle informazioni sulle proprie origini e ai dati identificativi della madre.
La Francia, per esempio, si è dotata di un apposito meccanismo, deformalizzato, e, soprattutto,”diacronico”, come riconosciuto anche da Corte edu nella sentenza del 25 settembre 2012, ric. 33783/09, Godelli c. Italia, mediante l’istituzione di un organo collegiale (il Conseil National pour l’accès aux origines personnelles c.d. CNAOP)[56]. Il Conseil, creato con la legge n. 2002-93 del 22 gennaio 2002, ha come obiettivo essenziale quello di facilitare l’accesso alle proprie origini biologiche, in collegamento e collaborazione con il rappresentante in ogni “département” (provincia) e con gli enti autorizzati a occuparsi di adozioni. Si rivolgono al CNAOP i figli non riconosciuti alla nascita o nati da parto anonimo, adottati, o non adottati in carico ai servizi sociali (pupilles de l’État), per conoscere le proprie origini (dati sanitari e/o generalità dei genitori biologici), ma altresì questi ultimi (non solo la madre, ma anche il padre), che, avendo chiesto il segreto sulla loro identità possono, in qualunque momento, rimuovere il segreto. Inoltre, attualmente, la legislazione francese, pur riaffermando per la donna il diritto del parto in anonimato, rafforza per la medesima le possibilità di revocare la sua decisione, aumentando al contempo le possibilità di informazioni lasciate per il figlio (che costituiscono, ci pare, quasi una sorta di revoca indiretta e/o pro futuro)[57]. Pertanto, nel caso in cui il figlio presenti istanza al fine di conoscere le proprie origini familiari e genetiche, il Conseil solo qualora dall’incrocio dei dati non risulti la revoca dell’anonimato da parte del genitore biologico farà contattare nella massima riservatezza, dal personale specializzato del département (provincia), il genitore naturale (di solito la madre) rimasto anonimo, allo scopo di verificare la sua volontà di mantenere l’anonimato o, invece, di rimuoverlo consentendo così al figlio l’accesso a tutti i dati conservati presso il CNAOP, non solo a quelli sanitari.
Ancora, e non è un aspetto di poco conto, all’art. L.147-7 del Code de l’action sociale et des familles è previsto che l’accesso alle proprie origini biologiche: – non ha alcun effetto sullo stato civile e sul rapporto di filiazione (e dunque non incide sul rapporto di adozione); – “non dà origine ad alcun diritto o obbligo a beneficio o a carico di nessuno”[58].
Non può non rilevarsi che, introducendo una normativa analoga nel nostro ordinamento, il procedimento di interpello della madre, che ha dichiarato di non voler essere nominata alla nascita del figlio, diverrebbe con tutta probabilità una ipotesi residuale.
[56] Si tratta di un organo non giurisdizionale, una sorta di Autorità amministrativa indipendente, “a composizione mista e paritetica” – magistrati, rappresentanti di associazioni, medici – posta presso il Ministro degli affari sociali. V. www.cnaop.gouv.fr.
[48] Infatti (v. supra i §§ 2 e segg.) il consolidato riconoscimento, graduale ma in progress, del citato diritto dell’adottato pare essere il denominatore comune di tutta la recente giurisprudenza di legittimità in argomento.
[49] Che rivisiti in modo organico anche la vigente legge adoz., intervento non certo prossimo, se si considerano da un lato le differenti priorità che l’attuale situazione sanitaria ed economica impongono, dall’altro la difficoltà di approvazione di una nuova normativa su temi divisivi, perché eticamente sensibili: si pensi al disegno di legge n. 1978 del 18 giugno 2015 (frutto dell’unificazione di più iniziative parlamentari) che è rimasto fermo in Commissione ed è poi decaduto al termine della precedente legislatura, nonché al più recente disegno di legge 7 novembre 2018, n. 922, “Norme in materia di diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche” ad iniziativa dei senatori S. Pillon e F. Urraro, osannato da alcuni ed aspramente criticato da altri, da leggersi tutti al momento in cui si scrive, in www.senato.it .
[50] E per i motivi più diversi: frettolosità nella raccolta, dati risalenti nel tempo, o perché la donna che sceglie l’anonimato “si avvicina alla struttura pubblica poche ore prima del parto e lascia l’ospedale appena possibile”; inoltre “le prassi di raccolta dei dati anamnestici attualmente in uso presso i punti nascita e gli stessi esami medici effettuati nelle neonatologie sono molto diversificate e fondamentalmente affidate alla sensibilità della singola persona responsabile dei reparti”, rileva Trovato L., in Audizioni al Senato sul d.d.l. 1978 e 1765 , 20 febbraio 2017, in www.senato.it >files > 1978_-_raccolta_contributi.
[51] Da leggersi in www.cittametropolitana.mi.it > Madre_Segreta > doc; progetto simile in Toscana denominato “Mamma segreta”, nel Lazio “Progetto di tutela della nascita”.
[52] In www.sanita.puglia.it.
[53] In www.hsangiovanni.roma.it. Nel Protocollo, che risale al 29 ottobre 2007, si sottolinea la necessità, a garanzia della salute del bambino, di “registrare tutti i dati anamnestici materni, [..] tutti gli esami diagnostici indispensabili all’accertamento di patologie a trasmissione genetica”, e, qualora la donna non acconsentisse, si indicano “le analisi che ‘comunque’ dovranno essere fatte al bambino” nonché, “ove necessario, ulteriori accertamenti diagnostici, senza ulteriori autorizzazioni o richieste”.
[54] Stefanelli, Anonimato materno e genitorialità dopo Cass. sez. un., n. 1946 del 2017, cit., p. 1061.
[55] E’ questo un rilievo diffuso: v. Balestra, Il diritto alla conoscenza delle proprie origini tra tutela dell’identità dell’adottato e protezione del riserbo dei genitori biologici (nota a Corte Cost. 25 novembre 2005, n. 425), in Familia 2006, II, p. 155 ss., spec. p. 161; Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto europeo della famiglia: il “dilemma” del diritto della donna partoriente all’anonimato, in G. Gabrielli – S. Patti – A. Zaccaria – F. Padovini – M.G. Cubeddu Wiedemann – S. Troiano (a cura di), Liber amico rum per Dieter Henrich, Parte generale e persone, Torino, Giappichelli, 2012, p. 204.
[57] Infatti, oltre alla possibilità già esistente di revocare, in ogni momento, il segreto, la legge del 2002 prevede: – la possibilità di lasciare i propri dati identificativi per il figlio, in busta chiusa che sarà aperta se un giorno il figlio farà richiesta di accesso ai dati sulle proprie origini biologiche; – la possibilità di lasciare delle informazioni non identificative, che permetteranno al figlio di comprendere le circostanze dell’abbandono; la possibilità di lasciare i propri dati identificativi nel dossier, affinché il figlio possa, se lo vorrà, ritrovarli.
[58] L’art. 1 147-7, inserito nel Code de l’action sociale et des familles dalla legge n. 2002-93 del 22 gennaio 2002, recita infatti: “L’accès d’une personne à ses origines est sans effet sur l’état civil et la filiation. Il ne fait naître ni droit ni obligation au profit ou à la charge de qui que ce soit” (in www.legifrance.gouvfr).
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