Il procedimento di rettificazione del sesso

Redazione 23/09/19

di Beatrice Irene Tonelli

Sommario

1. Inquadramento storico normativo

2. Il procedimento

3. In particolare il caso del richiedente minorenne

4. Conclusioni

1. Inquadramento storico normativo

Come noto nel nostro sistema giuridico gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, in base a quanto disposto dall’art. 5 c.c. Prima dell’entrata in vigore della Legge n. 164/1982, pubblicata su GU n.106 del 19 aprile 1982, non era quindi lecito eseguire interventi chirurgici di riassegnazione di sesso diverso da quello di nascita[1].

Nei fatti, chi intendeva accedere a tali trattamenti si rivolgeva a cliniche estere per eseguire l’intervento chirurgico negli Stati che ammettevano tale pratica per poi fare rientro in Italia e presentare una domanda di rettificazione del dato anagrafico di genere ai sensi dell’artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello stato civile all’epoca vigente) e art. 454 c.c.

Tali disposizioni, tuttavia, erano limitate ai casi di emenda di errori materiali commessi al momento della formazione dell’atto di nascita, come nelle fattispecie, rare ma pur sempre possibili, di ambiguità dei genitali esterni o di sviluppo naturale tardivo del soggetto verso il sesso opposto a quello inizialmente accertato o ancora di contemporanea presenza nello stesso individuo dei caratteri sessuali di entrambi i sessi.

La stessa Corte Costituzionale[2] era stata investita della questione di legittimità in merito a tali disposizioni proprio per la parte in cui il diritto vivente non le riteneva applicabili a casi di volontario mutamento dei caratteri sessuali dell’individuo, ma la questione fu rigettata.

Con la promulgazione della Legge n. 164/1982, venne dunque riconosciuto il diritto dell’individuo alla rettificazione di attribuzione di sesso e venne introdotto e disciplinato un procedimento speciale ad hoc.

Nella formulazione originaria, si prevedeva che la domanda giudiziale, per ottenere la rettificazione del sesso enunciato nell’atto di nascita, fosse introdotta nella forma del ricorso al tribunale del luogo di residenza dell’attore; il presidente del tribunale avrebbe nominato il giudice istruttore e fissato con decreto la data di trattazione e il termine per la notifica al coniuge e ai figli della parte istante. Il procedimento si sarebbe svolto con la partecipazione necessaria del Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 70 c.p.c. (art. 2). Ove fosse risultato necessario eseguire l’adeguamento chirurgico dei caratteri sessuali, il Tribunale lo avrebbe autorizzato con sentenza. Si sarebbe poi svolta una seconda fase, in camera di consiglio, per l’accertamento della effettuazione del trattamento autorizzato, e la conseguente emanazione del provvedimento di rettifica della attribuzione di sesso nell’atto di nascita (art. 3).

Nei casi in cui la riassegnazione chirurgica con modificazioni dei caratteri sessuali fosse già avvenuta, all’estero o comunque senza la formale autorizzazione giudiziaria[3], si prevedeva che il Tribunale disponesse la rettificazione ai sensi dell’articolo 454 c.c. con sentenza, passata in giudicato, attributiva di un sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita (art. 1)[4].

La nuova disciplina fu subito portata al vaglio della Consulta[5], superato positivamente con il definitivo riconoscimento del rango costituzionale del diritto all’effettiva identità sessuale come diritto fondamentale ai sensi dell’art. 2, 3 e 32 Costituzione e art. 8 Convenzione Europea Diritti Uomo.

Dopo 29 anni, la disciplina del procedimento è stata novellata dall’art. 31 D. Lgs. 150/2011 che, in attuazione della delega per la semplificazione dei riti speciali civili, ha abrogato gli artt. 2 e 3 e l’art. 6, comma 2 della L. 164/1982, prevendo l’applicazione del rito ordinario di cognizione.

Le due domande giudiziarie, l’una avente ad oggetto la autorizzazione al trattamento chirurgico demolitivo, l’altra avente ad oggetto la rettificazione degli atti di stato civile in cui recepire l’intervenuta riassegnazione del genere, sono sorrette dalla medesima causa petendi, ovvero la condizione personale di disforia di genere, e quindi cumulabili ex art. 103 e 104 c.p.c.

Una prima questione che era già stata posta al vaglio della giurisprudenza sin dall’entrata in vigore della L. 164/1982 era se, per ottenere la rettifica del genere attribuito nell’atto di nascita, dovesse essere necessario aver preliminarmente ottenuto l’autorizzazione giudiziaria all’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso e averlo eseguito, e quindi se oggetto dell’indagine istruttoria dovesse essere, o meno, l’effettiva esecuzione della modificazione anatomica. Sul punto si crearono due orientamenti opposti, l’uno che negava l’accoglimento della richiesta di rettificazione degli atti di stato civile se non a seguito dell’accertata modificazione anatomica, qualificando quindi l’esecuzione dell’intervento quale fatto costitutivo per la proposizione della domanda[6], l’altro che, viceversa, riteneva necessario accertare la serietà del percorso individuale di transizione, indipendentemente dall’avvenuta esecuzione dell’intervento chirurgico[7].

La novella del 2011 avrebbe dovuto risolvere il contrasto in quanto ha abrogato l’art. 3 L. 164/1982 ed ha espressamente previsto che il tribunale autorizzi l’intervento di mutamento di sesso “solo ove necessario”, ammettendo quindi che l’accoglimento della domanda di rettificazione del genere assegnato all’atto di nascita prescinda dalla trasformazione fisica dell’individuo, e si fondi piuttosto sull’accertamento della condizione personale del richiedente, sulla serietà ed univocità del percorso di transizione e sulla compiutezza dell’approdo finale.

Alcune corti di merito, tuttavia, hanno continuato ad aderire al precedente orientamento nonostante l’intervenuta novella legislativa. Esemplare a tal proposito il caso affrontato da Tribunale di Piacenza nel 2012, che aveva respinto la domanda dell’attore per difetto di esecuzione dell’intervento chirurgico demolitivo pur a suo tempo autorizzato, decisione confermata da Corte di Appello di Bologna nel 2013, ma riformata dalla decisione della Corte di Cassazione del luglio 2015[8].

A distanza di pochi mesi, tale orientamento ha trovato autorevole conferma dalla Consulta, che si è espressa affermando che il trattamento chirurgico modificativo dei caratteri sessuali primari non costituisce prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma è solo un possibile mezzo, rimesso alla scelta del soggetto che chiede la rettificazione, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico[9]

Questa interpretazione del resto è in perfetta aderenza con quanto statuito in merito a livello sovranazionale dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con una decisione del marzo 2015[10] in cui è stato accertato che imporre un intervento chirurgico per accedere alla rettifica del genere risultante negli atti di stato civile costituisce violazione dell’art. 8 CEDU.

Le successive pronunce nazionali di merito hanno quindi recepito in modo uniforme tale insegnamento[11].

[1] In quanto intervento demolitivo degli organi genitali, la riassegnazione chirurgica di sesso è una procedura tale da determinare la perdita permanente della funzione riproduttiva e come tale non è lecitamente effettuata se non previa espressa autorizzazione della autorità giudiziaria. Sono invece legittimi e liberamente accessibili, sulla base del consenso dell’avente diritto, i trattamenti, anche chirurgici, di tipo estetico e le terapie endocrinologiche.

[2] Corte Costituzionale sentenza 26/07/1979 n. 98 su www.giurcost.org. La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Tribunale di Livorno, presso il quale il richiedente aveva presentato domanda di rettifica dell’atto di nascita con attribuzione del sesso femminile allegando che, pur essendo nato con caratteri sessuali maschili, si era sempre identificato nel genere femminile, si era sottoposto ad intervento demolitivo ricostruttivo a Casablanca ed era socialmente integrato ed accettato nel proprio contesto di riferimento come persona di sesso femminile.
Con esito conforme si pronunciò l’anno seguente anche la Corte di Cassazione, sezione prima, sentenza del 3/4/1980 n. 2161: “L’accertamento e la documentazione del sesso della persona, effettuate in sede di atto di nascita, ai sensi degli artt. 67, 70 e 71 dell’ordinamento dello stato civile (R.D. 9 luglio 1939 n 1238), con esclusivo riguardo agli organi genitali esterni, sono suscettibili di successiva rettificazione, a norma degli artt. 165 e seguenti del predetto ordinamento, manifestamente non in contrasto con gli artt. 2 e 24 della Costituzione (sentenza della Corte Costituzionale n. 98 del 1979), solo in conseguenza di sopravvenute modificazioni dei caratteri sessuali, per una evoluzione naturale ed obiettiva di una situazione originariamente non ben definita o solo apparentemente definita, ancorché ricollegata all’orientamento psichico della persona medesima, o coadiuvata da interventi chirurgici diretti ad evidenziare organi già esistenti, e non anche, pertanto, per il mero riscontro di una psicosessualità contrastante con i chiari caratteri degli organi sessuali, ovvero per interventi chirurgici di tipo manipolatorio o demolitorio, rivolti a mutare la realtà anatomica naturale” (in termini v 1236/75, mass. N. 374696; v 3948/74, mass n. 372518).
Nel panorama europeo, un caso del tutto analogo fu portato alla attenzione della Commissione della Corte Europea dei Diritti dell’uomo (decisione 9 maggio 1978, nel caso Daniel Oosterwijck contro governo belga). Si trattava di una cittadina belga che, dopo essersi sottoposta a terapia ormonale e vari interventi chirurgici, aveva assunto aspetto esteriore ed identità di genere maschile e aveva chiesto la rettifica del dato anagrafico, negata in primo grado e in appello. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (decisione 6 novembre 1980 caso n. 7654/76) che lo rigettò per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, edite su www. hudoc.echr.coe.int/.

[3] Al fine di regolarizzare le situazioni pregresse, l’art. 7 stabiliva che l’accoglimento della domanda di rettificazione estingue i reati cui abbia eventualmente dato luogo il trattamento medico chirurgico effettuato prima dell’entrata in vigore della legge stessa, e quindi contra legem.

[4] L’art. 1 è stato modificato ad opera dell’art. 110 D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, nuovo ordinamento dello stato civile, prevedendo semplicemente che la rettificazione si esegue sempre in forza di sentenza passata in giudicato che attribuisca alla persona il sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito id intervenute modificazioni dei caratteri sessuali.

[5] Corte Costituzionale sentenza 24/05/1985 n. 161 su www.giurcost.org; in Foro It., 1985, 1, 2162; Cacace S. Il genere: identità, filiazione, – genitorialità in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata n. 7-8/2018

[6] «Il Tribunale non può autorizzare la richiesta di rettificazione del sesso se non dopo aver accertato l’avvenuta modificazione della struttura anatomica del soggetto” Trib. Cagliari 25/10/1982; Trib. Milano 02/11/1982; Trib. Sanremo 07/10/1991; Trib. Vicenza 02/08/2000. Trib. Prato 02/05/2008 (inedita) ha ritenuto la necessità di accertare l’esecuzione dell’intervento demolitivo mentre l’esecuzione dell’intervento ricostruttivo additivo sarebbe meramente facoltativo e quindi non rilevante ai fini della rettificazione degli atti di stato civile. Ciliberti R. “La rettificazione di attribuzione di sesso: aspetti giuridici” in Dir. famiglia, fasc. 1, 2001, pag. 346; Stanzione P. Transessualismo e sensibilità del giurista: una rilettura attuale della legge n. 164/82 in Dir. famiglia, fasc. 2, 2009, pag. 713; Galluzzo S. “Tutela della persona – Protezione della persona – Rettificazione di attribuzione di sesso” in Percorsi Giurisprudenza Guida al Diritto 2018 e giurisprudenza ivi richiamata; Cardaci G. “Per un “giusto processo” di mutamento di sesso” in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc. 4, 2015, pag. 1459; Posteraro, “Transessualismo, rettificazione anagrafica del sesso e necessità dell’intervento chirurgico sui caratteri sessuali primari” in Riv. It. Medicina Legale 2017 p. 1349

[7] Corte di Appello di Genova 23/04/1990; Trib. Benevento 10/01/1986 su www.articolo29.it.

[8] Corte di Cassazione sezione I, 20 luglio 2015, n.15138 ha infatti sancito “L’interesse pubblico alla definizione certa dei generi, anche considerando le implicazioni che ne possono conseguire in ordine alle relazioni familiari e filiali, non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psico fisica sotto lo specifico profilo dell’obbligo dell’intervento chirurgico inteso come segmento non eludibile dell’avvicinamento del soma alla psiche. L’acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia accertata, ove necessario, mediante rigorosi accertamenti tecnici in sede giudiziale” in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata n. 11/2015 con nota adesiva Patti S. “Trattamenti medico-chirurgici e autodeterminazione della persona transessuale a proposito di Cass., 20.7.2015, n. 15138″; Bartolini F. “Rettificazione del sesso e intervento chirurgico: la soluzione – in un’interpretazione “costituzionalmente orientata” in Il Corriere Giuridico n. 11/2015; Cicero C “Il ruolo del giudice nella società che cambia: transessualismo e vincolo matrimoniale” in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 2016, pag. 87

[9] Corte Cost. 5/11/2015 n. 221 su www.giurcost.org in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata 4/2016 con nota Caricato C. “Rettificazione di attribuzione di sesso e modificazione dei caratteri sessuali all’esame della Corte costituzionale”; D’Andrea P.I. “La sentenza della Corte costituzionale sulla rettificazione anagrafica del sesso: una risposta e tanti nuovi interrogativi” in Giurisprudenza Costituzionale, fasc.1, 2016, pag. 263; Spangaro A. “Anche la consulta ammette il mutamento di sesso – senza il previo trattamento chirurgico” in Famiglia e Diritto n. 7/2016; Greco V. “Mutamento di sesso senza costringimento ai bisturi” in Studium Iuris n. 4/2016; Patti S. “Il transessualismo tra legge e giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (e delle Corti costituzionali)” in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata n. 1/2016; principio ribadito in seguito anche da Corte Cost. 13/07/2017 n. 185 su www.giurcost.org.

[10] CEDU 10/03/2015 Y.Y. c/ Governo Turco violazione art. 8 Convenzione EDU in www.echr.coe.int. Ancora più recentemente, la CEDU si è espressa nei confronti dello Stato Italiano nella causa S.V. c. Italia, decisione dell’11 ottobre 2018, statuendo che “Viola il diritto al rispetto della vita privata (art. 8 della Convenzione) il rifiuto delle autorità nazionali (Prefetto) di consentire ad una persona di cambiare per via amministrativa il nome, e così di farlo corrispondere alla propria identità di genere, prima dell’operazione chirurgica di conversione sessuale e della successiva rettificazione di attribuzione di sesso, non avendo le autorità tenuto in considerazione il fatto che la ricorrente aveva intrapreso da anni un processo di transizione sessuale e che il suo aspetto fisico, così come la sua identità sociale, era già femminile da molto tempo” in www.echr.coe.int.

[11] Tribunale Trani 06/12/2018 n. 2461; Tribunale Frosinone 19/07/2018 n. 666; Tribunale Milano 2/03/2018 n. 2491; Tribunale Palermo 30/01/2018 n. 466; Tribunale Genova 23/05/2016 n. 1827; Tribunale Savona 30/03/2016 n. 357 reperibili su Guida al Diritto, Jurisdata e altre banche dati.

2. Il procedimento

Come accennato, il procedimento oggi disciplinato dall’art. 31 D. Lgs 150/2011 in combinato disposto con le norme della L. 164/1982, è un procedimento ordinario di cognizione di competenza del Tribunale in composizione collegiale.

La domanda è proposta con atto di citazione all’autorità giudiziaria del luogo di residenza della parte attrice. L’art. 31 comma 3 D.Lgs. 150/2011 prescrive che l’atto di citazione sia notificato anche al coniuge e ai figli della parte attrice, ed al pubblico ministero presso il tribunale adito, che partecipa al giudizio ai sensi dell’art. 70 del c.p.c.; questi sarà pertanto l’unico contraddittore a cui notificare l’atto introduttivo in assenza di coniuge o di prole.

Dal punto di vista del contributo unificato, si rileva una prassi disomogenea dei vari uffici giudiziari. Alcuni considerano tale procedimento assimilabile al procedimenti non contenziosi o di volontaria giurisdizione[12], altri, viceversa, ai giudizi ordinari di cognizione di valore indeterminabile[13], altri infine applicano l’esenzione dell’art. 10 comma 1 D.P.R. 30/05/2002 n. 115 (Testo unico delle spese di giustizia) che tuttavia dovrebbe riferirsi esclusivamente al diverso procedimento di mera emenda dell’errore materiale negli atti di stato civile, oggi disciplinato dal D.P.R. 3/11/2000 n. 396, titolo IX art. 95 e ss.

Sussiste giurisdizione italiana anche nel caso del richiedente straniero residente in Italia. Riguardo alla legge applicabile, troverà attuazione la normativa straniera, che autorizzi la rettificazione del sesso, ai sensi dell’art. 24 L. 218/1995[14], oppure essa verrà disapplicata in favore di quella italiana. Si è ritenuto, infatti, che la normativa straniera che non ammetta l’adeguamento dei propri caratteri sessuali al fine di assicurare i valori di dignità e libertà della personalità umana che superano i confini della territorialità sia contraria all’ordine pubblico internazionale, ai sensi dell’art. 16 della L. n. 218/1995[15].

Per quanto attiene alla fase istruttoria, oggetto dell’indagine giudiziale è l’accertamento della condizione personale di disforia di genere, l’individuazione dell’identità di genere della parte richiedente e della irrevocabilità della scelta compiuta, nonché, ai fini del rilascio della autorizzazione ad eseguire l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso, l’accertamento della effettiva necessità e della esclusiva finalità terapeutica. E’ quindi sempre disposta la audizione personale della parte e la disamina della documentazione medica relativa alla valutazione psichiatrica o psicologica clinica, ai trattamenti endocrinologici eseguiti, nonché agli eventuali interventi chirurgici che non richiedano autorizzazione giudiziaria (es. chirurgia estetica). Esaminando le pronunce più recenti, emerge una progressiva tendenza a valutare come sufficientemente esaustive e probanti le produzioni documentali della parte, senza la necessità quindi di disporre accertamenti tecnici d’ufficio[16].

Nella fase decisoria, infine, il Tribunale determina il sesso della parte attrice con pronuncia di natura costitutiva e autorizza il trattamento di riassegnazione chirurgica del sesso, ove necessario, ordinando all’ufficiale di stato civile del Comune dove è stato compilato l’atto di nascita di effettuare la rettificazione nel relativo registro (art. 31 comma 5 D.Lgs 150/2011).

In merito al cambiamento di nome si erano contrapposti due diversi orientamenti di merito, l’uno più restrittivo, che riteneva ammissibile solo il cambiamento del genere del nome, l’altro che invece predicava la libera scelta del nuovo nome da parte del richiedente, con finale prevalenza di questo ultimo[17].

Le attestazioni di stato civile, riferite a persona della quale sia stata giudizialmente rettificata l’attribuzione di sesso, sono rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome e conseguentemente i documenti relativi al soggetto, quali carta di identità, patente di guida, passaporto, ma anche titoli di studio, diplomi, devono essere aggiornati su richiesta dell’interessato[18].

Secondo l’art. 4 L. 164/1982, la sentenza di rettificazione avrebbe avuto l’effetto di provocare lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili dell’unione religiosa, ma tale norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, benché con una sentenza additiva di principio, nell’ipotesi in cui né il medesimo soggetto né il coniuge abbiano intenzione di sciogliere il rapporto coniugale[19]. La lacuna normativa è stata parzialmente colmata dalla legge sulle unioni civili che prevede la possibilità per i coniugi di manifestare la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, cui consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (Art. 1, comma 27, L. 76/2016, Art. 5 del DPCM n. 144/2016, D.M. del 28 luglio 2016 formula 5)[20].

[12] Tribunale di Messina – sito ufficiale www.tribunale.messina.it

[13] Tribunale di Milano – sito ufficiale www.tribunale.milano.it

[14] Tribunale di Treviso 12/04/2017 n° 860 relativa al caso di un richiedente di nazionalità argentina, su www.altalex.it nota Chiacchio; ed in www.articolo29.it con nota Schuster A. “La rettificazione di sesso: criticità persistenti”.

[15] Tribunale Milano 17/07/2000 relativa al caso di un richiedente di nazionalità peruviana su www.articolo29.it.

[16] Tribunale Genova 08/11/2018, Tribunale Santa Maria Capua Vetere 19/01/2012; Tribunale Roma 11/03/2011 in www.articolo29.it. Sul punto della necessità di un supporto conoscitivo per il giudice attraverso la consulenza tecnica v. Ferraro L. “Il giudice nel procedimento di rettificazione del sesso: una funzione ormai superata o ancora attuale?” in Questione Giustizia 2/2016.

[17] “La sentenza che riconosce i presupposti per la rettifica del sesso può ordinare all’ufficiale dello stato civile non solo di disporre tale modifica ma anche di attribuire all’interessato il nuovo nome da quest’ultimo scelto liberamente” Tribunale di Napoli Nord sentenza 17/11/2016 in Giuda al Diritto; Corte di Appello di Firenze 23/11/2007 in Nuova Giur. Civ., 2008, 10, 1, 1188 nota di DE LISA; Luchini, “Rettificazione di sesso e diritto al cambiamento del prenome: riflessioni in merito alla l. 164/82”, in Dir. famiglia, fasc.2, 1997, pag. 773 per la ricerca giurisprudenziale, v. altresì il sito www.articolo29.it

[18] Il diritto di ottenere l’aggiornamento dei dati personali è anche garantito dall’art. 16 GDPR UE 2016/679.

[19] Corte Costituzionale sent. 11 giugno 2017 n. 170 su www.giurcost.org; Patti Il divorzio della persona transessuale: una sentenza di accoglimento che non risolve in problema, in Foro Italiano, 2014, 10, 2685; Marcenò Quando da un dispositivo d’incostituzionalità possono derivare incertezze, in La Nuova giurisprudenza civile commentata 2014, 4, 279; Brunelli G. Quando la Corte costituzionale smarrisce la funzione di giudice dei diritti: la sentenza n. 170 del 2014 sul c.d. “divorzio imposto” in www.articolo29.it

[20] Rimane invece ancora privo di tutela e di disciplina il caso opposto, ovvero quello della rettificazione del sesso della persona unita civilmente.

3. In particolare il caso del richiedente minorenne

La giurisprudenza nazionale si è trovata a dover esaminare l’ammissibilità della domanda in caso di richiedente minorenne[21]. I precedenti editi ad oggi sono molto scarsi, ma estremamente significativi.

Il primo caso, affrontato dal Tribunale di Catania nel 2004, fu deciso con la declaratoria di inammissibilità della domanda proposta dal genitore poiché il giudice ritenne che, rientrando il diritto all’identità sessuale nel novero dei diritti personalissimi, non potesse essere esercitato attraverso la rappresentanza dei genitori e che, in difetto di un’espressa previsione legislativa di speciale capacità di agire del minore, l’esercizio del diritto in questione gli fosse precluso già in astratto ed in modo radicale[22].

Sette anni dopo, ponendosi in consapevole contrasto con il precedente di Catania, il Tribunale di Roma[23] ha invece riconosciuto la possibilità di una rappresentanza del genitore esercente la responsabilità genitoriale. Secondo il giudice capitolino, la persona minore di età con disforia di genere deve essere ammessa all’azione di rettificazione tramite rappresentante, pur trattandosi di atto personalissimo, poiché la rappresentanza legale implica un dovere di agire nell’esclusivo interesse del minore. La manifestazione della volontà in questi casi è quindi configurabile come atto complesso, costituito dalla espressione della volontà del minore e dei genitori. Si tratta come evidente, di procedimenti in cui è prescritto l’ascolto del minore stesso a pena di nullità ai sensi dell’art. 12 Convenzione di New York sui diritto del fanciullo e dell’art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

L’espressione della volontà del minore, anche in merito al consenso all’intervento chirurgico, è diritto riconosciuto dall’art. 6 della convenzione di Oviedo 1997 e, per quanto oggi disposto dal diritto interno, secondo l’art. 1, comma 1, e art. 3 L. 22/12/2017 n. 219 (norme in materia di consenso informato)[24].

Trattandosi di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, prima di introdurre la domanda giudiziale in rappresentanza del minore, i genitori o gli esercenti la responsabilità genitoriale dovranno presentare ricorso al giudice tutelare, nella forma della volontari giurisdizione con rito camerale ai sensi dell’art. 320 c.c.[25] per ottenere l’autorizzazione per il compimento dell’intervento chirurgico, e per la rettificazione del sesso anagrafico.

Non sono editi ad oggi provvedimenti che abbiano affrontato il caso del conflitto di interesse tra minore e genitore in merito alla rettificazione del sesso, ma andrebbero risolti in base ai principi della Convenzione di Strasburgo del 1996, sull’esercizio dei diritti dei minori (Legge ratifica n. 77/2003), ed in particolare con applicazione degli art. 4 e 9 che riconoscono al minore il diritto di richiedere, personalmente o tramite altre persone od organi, la designazione di un rappresentante speciale nei procedimenti che lo riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria, in combinato disposto con l’art. 321 c.c. per il quale in tutti i casi in cui i genitori congiuntamente o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, non possono o non vogliono compiere uno o più atti di interesse del figlio, eccedenti l’ordinaria amministrazione, il giudice, su richiesta del figlio stesso, del pubblico ministero o di uno dei parenti che vi abbia interesse, e sentiti i genitori, può nominare al figlio un curatore speciale autorizzandolo al compimento di tali atti. Il risvolto processuale di tale disciplina è contenuto nell’art. 78 c.p.c., per il quale, in caso di conflitto di interessi tra rappresentate e rappresentato, si provvede alla nomina del curatore speciale d’ufficio dal tribunale o su richiesta del pubblico ministero.

Nella prassi, nei casi di conflitto con i genitori, viene solitamente nominato quale curatore speciale del minore un avvocato che, quindi, può costituirsi nel procedimento cumulando le funzioni di rappresentanza sostanziale e processuale ai sensi dell’art. 86 c.p.c. Ove ne ricorrano i presupposti, il minore potrà essere ammesso al patrocinio a spese dello stato.

[21] Va evidenziato che in tutto i casi esaminati si trattava di minori ultrasedicenni.

[22] Tribunale di Catania 17 marzo 2004 in Dir. fam., 2004, 455 ss.

[23] Tribunale di Roma 11 marzo 2011, Foro it., Rep. 2011, voce cit., n. 119, per esteso, Nuova giur. civ., 2012, 1, 253, e Famiglia e dir., 2012, 499, con osservazioni di Ruo; in Famiglia e minori con osservazioni Sangalli.

[24] Tribunale di Frosinone 25 luglio 2017 in rep. Jurisdata; Tribunale di Genova 17 gennaio 2019 inedita.

[25] L’assistenza legale in tal caso è meramente facoltativa, il procedimento è esente ed essendo tipico procedimento camerale di volontaria giurisdizione, il decreto adottato dal Giudice Tutelare è reclamabile dinnanzi al Tribunale in camera di consiglio (art. 749 c.p.c. e art. 45 disp. att. c.p.c.).

4. Conclusioni

Dagli inizi degli anni 80 ad oggi si è assistito ad una p>status, ma è stato oggetto di semplificazione, eliminando la superfetazione di un procedimento bifasico e riconducendolo nell’alveo del rito ordinario di cognizione. Pur essendo stata adottata in altri paesi europei la scelta della degiuridisdizionalizzazione, nel nostro ordinamento non pare predicabile la rinuncia al controllo giurisdizionale, a presidio dei diritti e dei principi costituzionali ad esso sottesi[26].

[26] Ferraro L. “Il giudice nel procedimento di rettificazione del sesso: una funzione ormai superata o ancora attuale?” Questione Giustizia 2/2016 p. 220 e ss.. Nel Regno Unito, il legislatore ha adottato, in tema di transessualismo, un approccio fortemente “innovativo”, prevedendo la possibilità di ottenere la rettifica del nome e del sesso anagrafico, pur in assenza dell’intervento di riassegnazione chirurgica, essendo sufficiente che il “richiedente” ottenga una diagnosi di “disturbo dell’identità di genere”. Il procedimento di rettificazione anagrafica di sesso ha natura amministrativa e non giudiziale, non prevedendo quindi l’intervento del giudice. Tale soluzione si rinviene anche in Spagna, Portogallo, Belgio, Argentina, dove l’istanza di correzione del prenome e del sesso indicati alla nascita viene proposta direttamente all’ufficiale di stato civile, il quale vi provvede sulla base della documentazione clinica allegata, comprovante l’identità di genere dell’individuo; solo in ipotesi di rigetto dell’istanza, il soggetto può presentare ricorso all’autorità giudiziaria. Lo Stato di Malta, nel 2015, ha adottato una specifica legge, in base alla quale un soggetto maggiorenne può cambiare sesso senza necessità di ricorrere all’intervento chirurgico, mediante la presentazione di una semplice dichiarazione nella forma dell’atto notarile. Fontanarosa F “il diritto all’identità di genere nel procedimento di rettificazione dell’attribuzione di sesso: cenni comparatistici” in Europa e Diritto Privato, fasc.2, 1 giugno 2018, pag. 709 ss.

Redazione

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