- Il profitto del reato
- Il profitto e la sua interpretazione tra confisca diretta e confisca per equivalente
- Le problematiche del profitto quale somma di denaro
- La posizione della dottrina
Il profitto del reato e le varie tipologie di “confisca”
Per “profitto del reato” si intende l’utilità tratta dal reato che, secondo un’interpretazione estensiva non deve necessariamente consistere in un lucro, potendo rivestire anche carattere non economico – patrimoniale e identificarsi in qualunque attività materiale o spirituale che determini una soddisfazione tra l’agente e il terzo. Sotto tale punto di vista, il profitto può venire in rilievo a seconda dei casi sia quale elemento costitutivo di determinate fattispecie (truffa, estorsione) sia come oggetto di dolo specifico (furto, rapina) che come elemento costitutivo di circostanza aggravante (es. art 61 n. 2 c.p.). Di norma il profitto di cui si discorre è qualificato come ingiusto, dunque non corrispondente ad una pretesa riconosciuta dal diritto; anche tale connotazione può subire tuttavia delle eccezioni, come accade nel caso particolare dei vantaggi compensativi ex art. 2634 c. 3 c.c.
La nozione è stata oggetto di vari contrasti ermeneutici in ragione del fatto che l’ambito in cui la medesima ha conquistato maggiore attenzione è simboleggiato dall’istituto della confisca; lo stesso quadro all’interno del quale l’importanza della nozione emerge non è particolarmente agevole, atteso che non sembra più possibile discorrere della confisca come istituto unitario, riferendosi anche la dottrina all’argomento con il termine plurale di “confische”. Nell’ambito del diritto penale il termina “confisca” indica quindi una pluralità di istituti aventi come tratto comune l’ablazione di un bene e la sua devoluzione allo Stato, ma caratterizzati da diversa struttura, funzione e natura giuridica: le principali tipologie di confisca sono quelle identificabili nella confisca come misura di sicurezza patrimoniale ex art. 240 c.p. nonché prevista da altre norme speciali, nella confisca allargata o “in casi particolari” ex art 240 bis c.p., nella confisca come sanzione principale dell’ente ex d.l.gs 231/2001, nella confisca come sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale secondo i criteri elaborati dalla Corte Edu e nella confisca come misura di prevenzione. A queste tipologie si aggiunge poi a livello complementare la confisca per equivalente o cd. di valore, una misura sanzionatoria che colpisce beni per un valore equivalente a quelli che non possono essere oggetto di confisca diretta e si applica solo ove non sia possibile applicare le tipologie di confisca sopra indicate.
Il profitto e la sua interpretazione tra confisca diretta e confisca per equivalente
Il profitto dunque può rappresentare tanto elemento costitutivo e oggetto di dolo specifico quanto oggetto di confisca diretta o termine di riferimento del valore rilevante ai fini dell’applicazione della confisca per equivalente; il contrasto giurisprudenziale relativo alla nozione di profitto nell’ambito della confisca si è registrato in merito alla sua estensione, piuttosto che relativamente al suo significato sostanziale, identificabile in qualsiasi vantaggio patrimoniale tratto dall’illecito.
Seppure l’interpretazione dalla quale bisogna partire nella disamina della categoria del “profitto” è quella restrittiva che indentifica il medesimo come lucro del reato, quindi come vantaggio di natura economica o beneficio aggiunto di tipo patrimoniale che abbia derivazione causale dall’attività del reo, è bene precisare che la stessa Giurisprudenza della Suprema Corte non ha mancato di elaborare un’interpretazione estensiva – che si è poi di fatto affermata con preponderanza – dello stesso concetto tramite diverse SS.UU., secondo la quale per profitto dovrebbe intendersi non solo il vantaggio ricavato dall’autore del fatto illecito in maniera diretta e immediata, ma anche ogni altra utilità che il medesimo realizza in maniera mediata e indiretta grazie alla sua attività criminosa. L’elaborazione della variante estensiva dell’interpretazione fornita dalla Cassazione prendeva le mosse da una vicenda di concussione all’interno del quale un ufficiale di polizia giudiziaria aveva richiesto del denaro per l’acquisto di un immobile; in questo caso le SS.UU. avevano quindi affermato che anche l’immobile acquistato mediante somme di denaro illecitamente conseguite rappresentava profitto del reato, in quanto immediato reimpiego dello stesso collegabile causalmente ed in maniera precisa all’attività criminosa posta in essere dell’agente.
Le problematiche del profitto quale somma di denaro
La problematica che ha preso maggiormente piede per quanto attiene l’individuazione del profitto – soprattutto nell’individuazione della linea di confine tra confisca diretta e confisca per equivalente- è quella relativa ai casi in cui lo stesso sia costituito da una somma di denaro o da un risparmio di spesa. Nello specifico la domanda che ci si è posti è: quando il profitto consiste in una somma di denaro, quale dovrebbe essere l’oggetto della confisca atteso che il denaro è un bene fungibile che, all’interno di un genere, potrebbe essere facilmente sostituibile da altro di identica utilità?
In un primo momento la Giurisprudenza di legittimità si è pronunciata in merito alla questione, affermando che nel caso in cui il profitto del reato sia rappresentato da denaro o da altri beni fungibili, la confisca della somma depositata sul conto corrente bancario di cui il soggetto abbia disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta e non come confisca per equivalente; se infatti una somma di denaro entra a far parte del patrimonio di un soggetto, è chiaro che in considerazione della natura fungibile del bene, questa finisce per confondersi con il patrimonio medesimo, dunque ciò che assume rilevanza è che il patrimonio è stato oggetto di accrescimento. Il concetto di accrescimento del patrimonio inteso unitariamente è proprio il punto focale di queste prime pronunce giurisprudenziali, le quali declassano nel caso di specie l’importanza del concetto di pertinenzialità ribadendo che, dovendo essere colpito l’accrescimento del patrimonio in quanto tale, non è necessaria la prova di diretta derivazione tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato; il solo fatto che la disponibilità materiale del reo sia stata oggetto di accrescimento in ragione di quella determinata somma legittima la confisca in forma diretta del relativo importo.
Una parte della Giurisprudenza successiva è tuttavia intervenuta al fine di ridimensionare i principi sopraesposti, pronunciandosi a sfavore dell’ipotesi secondo la quale la natura fungibile del denaro consentirebbe la confisca diretta delle somme depositate su un conto corrente bancario del reo a prescindere dal vincolo di pertinenzialità, non essendo questa dunque possibile nel caso in cui il reo fornisca la prova che le somme non derivano in alcun modo dal reato, non rappresentando di conseguenza il profitto, pur avendo subito il patrimonio del medesimo un accrescimento. In questo ordine di idee ciò su cui si pone l’accento non è il patrimonio unitariamente considerato, ma la singola somma in considerazione della stringente necessità di rispetto del principio di pertinenzialità e di diretta derivazione.
Ad ogni modo recentemente le SS.UU. della Cassazione ritornano sull’argomento, confermando la linea di pensiero espressa dalle prime pronunce e ribadendo la concezione unitaria di patrimonio; ciò sulla scorta del fondamentale concetto secondo il quale il denaro verrebbe in considerazione – ai fini della confisca – come valore monetario e non come somma dotata di una propria identità fisica. Dunque si colpisce il valore della somma, in quanto ciò che conta è che il valore monetario confluito nel patrimonio del reo, divenuto peraltro una sua componente liquida indistinguibile, sia ancora presente nel patrimonio del medesimo, sicché sia possibile colpire una parte del patrimonio avente valore corrispondente alla somma direttamente derivata dalla commissione del reato; a nulla rileva di conseguenza la possibilità dell’agente di fornire e provare il titolo di derivazione lecita della somma.
È l’incremento monetario a costituire il profitto del reato e dunque ad essere suscettibile di ablazione tramite confisca diretta; solo qualora l’accrescimento patrimoniale derivante dal reato non fosse più rintracciabile all’interno del patrimonio si potrebbe dunque agire tramite confisca per equivalente. Ciò non vuol dire che il vincolo di pertinenzialità tra la somma e il reato non rilevi affatto: semplicemente, per quanto riguarda il denaro, tale vincolo si rinvenirebbe nell’effettiva derivazione dal fatto illecito dell’accrescimento patrimoniale monetario conseguito dal reo che sia ancora rinvenibile nella medesima forma monetaria all’interno del patrimonio. A non essere ammessa sarebbe solo la prova della derivazione lecita della somma di denaro oggetto della confisca.
La posizione della dottrina
La dottrina dal canto suo si mostra particolarmente critica nei confronti della posizione giurisprudenziale affermatasi al riguardo, ritenendo che la perdita di rilevanza del principio di pertinenzialità abbia prodotto una sostanziale confusione tra la confisca diretta e quella per equivalente (cd. di valore); secondo gli accademici, infatti, la confisca diretta del denaro sarebbe possibile unicamente qualora il denaro rimanga profitto identificabile del reato perché custodito o depositato in modo che non si sia verificata confusione con il restante patrimonio del reo o perché direttamente reinvestito con modalità che ne consentirebbero la tracciabilità.
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