Comparazione Diritto ed Economia
Nel circuito economico e nel mercato reale così come nella vita concreta, il diritto e l’economia si incrociano continuamente ed a volte, peraltro, sorgono contemporaneamente e/o contestualmente.
L’ordinamento giuridico, infatti, contiene norme che, nel disciplinare le situazioni e quindi nel qualificare diritti ed obblighi e nel distribuirli tra i soggetti, sono volte a costituire, regolare e/o estinguere rapporti suscettibili di valutazione economica.
Tra le norme giuridiche rilevanti anche in economia, va ricordato il libro V “del lavoro”, titolo VIII che disciplina, al capo I, II e III, rispettivamente, l’azienda, la ditta, l’insegna ed il marchio: ciò senza considerare il libro IV “delle obbligazioni”, strumento fondamentale in ambito negoziale anche per coloro che svolgono attività economiche rectius imprenditoriali.
Specificità del comportamento economico e “questione” imprenditoriale
In economia, però, il comportamento è influenzato, anche ovvero soprattutto, da fattori naturali e mentali, quali la necessità, l’opportunità e la percezione dell’obbligo, che, sia pur costituenti un criterio giuridico, non sono, in quanto tali, soggetti a limitazioni di carattere normativo.
Vexata quaestio è, dunque, non soltanto valutare, in termini strettamente giuridici, nessi e conseguenze ma anche individuare quali possano essere le “leggi” economiche in grado di produrre effetti sul pensiero e sul comportamento degli individui: stabilire, cioè, quali possano essere le “finestre”, le “porte”, le “luci” e le “vedute” di una determinata condotta e dei relativi effetti. Ciò onde tentare di prevedere, almeno a grandi linee, i comportamenti futuri e, quindi, l’andamento di un determinato mercato o settore economico, ergo sia nel micro che nel macro “ambiente”. Questo significa, peraltro, che, anche in economia, è applicabile, sia pur in un’ottica trasversale, il principio “mutatis, mutandis”.
A riguardo, va ricordato che il primo problema che ciascun imprenditore è tenuto, nel proprio interesse, ad affrontare è procurarsi le risorse necessarie per intraprendere e per gestire la propria attività: subito dopo, o meglio quasi contemporaneamente, il problema è decidere come e quanto produrre.
Obiettivo, finale, di tali “operazioni” è rendere massima la differenza tra i costi sostenuti per l’acquisto e/o per l’impiego dei fattori produttivi ed i ricavi ottenibili dalla vendita del prodotto.
Il “sistema” economico-imprenditoriale, i presupposti e l’obiettivo
In tal senso, bisognerebbe parlare, quindi, non soltanto di sistema economico ma di “sistema imprenditoriale”.
A tal fine, è sempre più necessaria una “visione” basata su abilità e competenze e, cioè, sulla capacità di entrare e “stare” sul mercato nonché su coscienza e dignità, quali valori universali e plurilaterali. In altri termini, l’homo oeconomicus deve dotarsi di profonde conoscenze e di una vera e propria capacità di applicarle (sapienza) e deve avere cura di agire secondo ragione, prudenza ed equilibrio (saggezza).
Se infatti secondo l’ordinamento giuridico il bene è quella cosa oggetto di diritti, in economia il bene deve circolare per poter realizzare un determinato profitto: in entrambi i casi, comunque, il concetto di bene si incrocia con quello di patrimonialità.
Sul punto, va sottolineato che, per il Diritto, la dazione di denaro (può) rileva(re) in termini di onere per ottenere, ad es., un “permesso” ovvero per maturare una determinata situazione giuridica mentre, in economia, il denaro rappresenta, in termini di profitto, l’obiettivo “imprenditoriale”.
Il profitto, però, non coincide con quanto si ottiene dalla vendita del prodotto: prima di giungere al profitto, infatti, bisogna scomputare (ovvero coprire) le spese, intese nel senso più ampio possibile, per la produzione.
I costi di produzione
Dunque, i costi totali che, normalmente, gravano su un’attività imprenditoriale si distinguono, nel solo breve periodo, tra costi fissi e costi variabili.
Più precisamente, i costi fissi totali sono quelli sostenuti anche in assenza di produzione mentre i costi fissi medi sono proporzionali alla quantità prodotta. I costi variabili “totali” riguardano l’acquisto di materie prime e semi-lavorati e le spese amministrative e seguono l’andamento della produzione mentre quelli medi sono dati dal rapporto tra costi variabili totali e quantità prodotta.
Vi sono, poi, altre due voci di costo: il costo totale medio (o costo unitario), dato dal costo totale rapportato alla quantità prodotta e dalle spese fisse, ed il costo marginale che rappresenta la variazione del costo totale a seguito della produzione di un’ulteriore unità di bene ed è quindi influenzato dalle sole spese variabili.
I rendimenti ed il punto di massimizzazione del profitto
Altro concetto fondamentale in economia è quello dei “rendimenti di scala” (o economie di scala): con tale termine, si intende il rapporto tra fattori produttivi e prodotto. Si parla, dunque, di rendimenti crescenti, costanti o decrescenti a seconda se l’incremento dei fattori produttivi genera un aumento, rispettivamente, più che proporzionale, proporzionale o meno che proporzionale del prodotto.
Se i costi di produzione, quale “operazione economica”, vanno (o possono essere) divisi temporalmente con una procedura contabile detta “ammortamento”, va tenuto presente (e ricordato) che le entrate date dall’alienazione di un bene costituiscono “soltanto” ricavi ed, in quanto tali, non ancora il guadagno netto per l’imprenditore.
Considerato che il ricavo è pari al prezzo di compravendita determinato dall’incontro tra domanda ed offerta di mercato, l’imprenditore deve individuare la quantità di prodotto che, dati i costi ed i ricavi, rendono massimo il profitto: a tal riguardo, va detto che la quantità che massimizza il profitto è, in via ordinaria, quella per la quale il costo marginale risulta uguale al ricavo marginale.
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