Il provvedimento amministrativo mediante algoritmo

Negli ultimi anni, e soprattutto a seguito della pandemia da Covid-19, quello della digitalizzazione è diventato un tema molto discusso, per cui non è di poco momento individuarne le implicazioni  all’interno della Pubblica Amministrazione, nonché indagare le conseguenze che derivano dalla sua, ormai indispensabile, applicazione.

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Il rapporto tra provvedimento amministrativo e algoritmo

Il provvedimento amministrativo è una manifestazione di volontà dell’amministrazione tesa a produrre unilateralmente effetti giuridici nel soggetto destinatario. È assunto all’esito di un procedimento atto a garantire trasparenza e tutela degli interessi coinvolti. Il suo regime giuridico si ricava dalle disposizioni contenute nella legge n. 241/1990[1].

Il Capo I della l. n. 241/90 è dedicato ai principi che regolano l’attività amministrativa e l’art. 1 della legge recita: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell’ordinamento comunitario”.

Non si fa espressamente riferimento al principio del buon andamento ma questo è  richiamato dal canone dell’economicità che vincola la pubblica amministrazione a raggiungere i propri obiettivi con il minor dispendio di mezzi: da quello dell’efficacia,  ovvero la qualità del servizio reso, a quello dell’efficienza, risultante dal confronto tra i mezzi impiegati e gli obiettivi raggiunti.

Al principio dell’imparzialità, sancito dall’art. 97 Cost., può essere attribuita sia un’accezione in senso negativo, come divieto di discriminazione, che in senso positivo, come valutazione, operata dalla pubblica amministrazione, di tutti gli interessi coinvolti, sia pubblici che privati, per giungere ad un risultato coerente e consapevole.

Tra i canoni a presidio dell’attività amministrativa vi sono anche il principio di pubblicità e quello di trasparenza in base ai quali la pubblica amministrazione ha il dovere di pubblicare, comunicare o rendere accessibili notizie, documenti, atti e procedure in modo che i cittadini, anche non interessati, possano acquisire più informazioni utili possibili ed esercitare un controllo democratico sull’attività della pubblica amministrazione, tutelando così i propri interessi[2].
La struttura del procedimento amministrativo richiama quella propria di un algoritmo. Il primo partendo da apposite istanze (es. la richiesta di una concessione edilizia), prosegue con una fase di valutazioni alla luce dei principi giuridici (l’esistenza e la validità dei requisiti) e termina con l’emanazione di un preciso atto di accoglimento o  diniego. L’algoritmo prende le mosse da alcuni dati che vengono inseriti (input), prosegue con l’elaborazione degli stessi alla luce delle indicazioni ricevute (le istruzioni), e termina con una elaborazione finale (output).

L’algoritmo è un qualunque schema o procedimento matematico di calcolo esplicito e descrivibile con un numero finito di regole che conduce al risultato  dopo  un  numero finito di operazioni, cioè di applicazioni delle regole. Deve rispettare alcuni requisiti: quello di generalità (il  procedimento  deve essere in grado di risolvere un’ intera classe di problemi ovvero fornire risultati validi per qualsiasi scelta dei dati iniziali), di eseguibilità (deve esistere un esecutore, sia esso umano o meccanico, in grado di svolgerlo), di non ambiguità (ogni sua istruzione deve essere compresa dall’esecutore in maniera univoca), di dettaglio (devono essere chiaramente indicate le condizioni iniziali e finali e  l’ordine con il quale eseguire le istruzioni) ed in ultimo, di finitezza (l’insieme di istruzioni deve essere limitato e la sua esecuzione deve terminare in un tempo contenuto).

I moderni computer sono ormai da anni in grado di eseguire algoritmi di elevata complessità in tempi rapidissimi, con probabilità di errore oltremodo scarse, per  non dire inesistenti. Queste caratteristiche rendono la procedura informatica estremamente rapida ed efficiente, oltre che economica, se si pensa al risparmio di tempo e risorse. Princìpi che richiamano quelli del procedimento amministrativo come sancito dall’art. 1 della legge 241/90. La scelta da parte di una pubblica amministrazione di fare ricorso ad  algoritmi in grado di elaborare enormi quantità  di dati in tempi ristretti e pervenire a risultati imparziali (in quanto frutto di un processo predeterminato) e privi di errori, appare di planare utilità. La rapidità di esecuzione comporta una velocizzazione del procedimento e comunque consente di fare affidamento su un tempo certo di conclusione dello stesso. L’intelligenza artificiale si dimostra utile all’esclusione di forme di ingerenza o peggio di corruzione nelle scelte amministrative, sostituendo la decisione umana con quella della macchina, meglio rispondente al principio di imparzialità e di buon andamento (art. 97 Cost.). Ragioni per le quali sembra che il legislatore italiano abbia profondamente scommesso sulla rivoluzione digitale all’interno della  PA. Tale favor è da rinvenirsi innanzitutto nel Codice dell’Amministrazione digitale del 2005. Tale provvedimento, emanato in seguito alla delega governativa  contenuta  nella Legge di semplificazione del 2001 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2006, costituisce una novità nel panorama della digitalizzazione perché,  a  differenza degli interventi precedenti, che avevano natura settoriale e dunque si sostanziavano in parziali riassetti, modifiche o integrazioni di  determinati  aspetti,  questo affronta per la prima volta in modo organico il tema dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) nelle pubbliche amministrazioni, nonché della disciplina dei fondamentali principi giuridici applicabili  al  documento informatico e alla firma digitale. E’ considerata una “Costituzione del mondo digitale”, con l’obiettivo di semplificare e riorganizzare la normativa in materia di informatica nelle amministrazioni pubbliche.

 

Orientamenti giurisprudenziali

In un primo momento la giurisprudenza ha ritenuto che l’amministrazione potesse ricorrere all’informatica solo  come supporto alla decisione e che l’informatica in funzione decisionale fosse possibile solo nell’ambito di procedimenti con natura vincolata. Era quindi sostituibile mediante algoritmo solo la decisione umana vincolata.

Il tribunale amministrativo regionale, anche nelle ultime pronunce sul tema, sembra convergere sull’assunto secondo cui non è da escludersi la possibilità  di riconoscere un ruolo all’algoritmo nelle procedure amministrative, purché circoscritto a fasi isolate dell’istruttoria, quelle meccaniche, appunto, rispetto alle quali svolge una funzione di semplificazione, e previa adozione di norme regolamentari ad hoc.

La prevalente e più recente giurisprudenza ha evidenziato che l’algoritmo può essere usato dalla pubblica amministrazione anche per compiere scelte discrezionali.

La stessa decisione della p.a. è discrezionale e soggiace a dei criteri. Per alcuni versi la decisione dell’algoritmo potrebbe essere considerata anche più affidabile.

 

Principi a garanzia del giusto procedimento

Viene da ultimo ribadita l’applicazione dei tre principi  sovranazionali  cui debbono tendere le decisioni pubbliche prese tramite algoritmi. Si tratta di garanzie che assicurano il giusto procedimento e sono: il principio di trasparenza, il principio di non esclusività dell’algoritmo e il principio di non discriminazione algoritmica.

Innanzitutto, quindi, bisogna conoscere la regola applicata dall’algoritmo. Si tratta di una piena conoscibilità a monte del modulo utilizzato e dei criteri applicati, in combinato disposto con gli artt. 13, 14 e 15 del GDPR e con l’art. 41 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali: sicché ognuno ha diritto a conoscere l’esistenza di processi decisionali automatizzati che lo riguardino e di ricevere informazioni significative sulla logica utilizzata.

Questo principio compensa la mancanza delle garanzie partecipative e della motivazione.

Riguardo la non esclusività della decisione algoritmica, in osservanza dell’art. 22 del GDPR, se una decisione automatizzata produce effetti giuridici su una persona, questa ha diritto a che tale decisione non sia basata unicamente sul processo automatizzato, ed il  funzionario deve poter controllare, validare ovvero smentire  la decisione automatica.

In ultimo vi è il principio di non discriminazione algoritmica: secondo il considerando 71 del GDPR, se il titolare del trattamento sfrutta regole matematiche o statistiche per la profilazione dell’utente, ha l’obbligo di adottare opportune misure per neutralizzare errori e inesattezze dei dati.

Il problema, venuto all’attenzione del Consiglio di Stato con la sentenza n.2270 del 2019, è quello dell’utilizzo di sistemi automatizzati nell’adozione di decisioni della p.a., destinati nel  futuro ad essere implementati attraverso l’affinamento dei  processi  di machine learning all’insegna dei grandi vantaggi promessi alla collettività con particolare riferimento all’immediatezza dei risultati prodotti (output), all’economicità temporale e, così, al minor rischio di errori oltre che all’aumento dell’imparzialità dell’azione amministrativa.

Ma a questo indiscutibile vantaggio si contrappone la scarsa trasparenza della motivazione delle decisioni. Si è denunciata la difficoltà di lettura di algoritmi che impiegano grandi quantità di dati e, in misura crescente, si caratterizzano per il ricorso a tecnologie basate sull’intelligenza artificiale,  che non si limitano a seguire fedelmente le istruzioni del programmatore,  ma  inventano soluzioni e percorsi inediti; con il risultato che neppure colui che ha fornito le istruzioni alla macchina attraverso l’algoritmo è pienamente in grado di ripercorrere il processo decisionale e offrire una spiegazione comprensibile. La trasparenza dell’algoritmo è, dunque, un risultato molto difficile da conseguire. Data la loro pervasività, è la società stessa ad esser destinata a  divenire  una grande, unica scatola nera, una “black box society”.

Il carattere tecnico-matematico aumenta le difficoltà di comprensione. Per sciogliere la complessità della relazione tra diritto e scienza, i due saperi, giuridico e tecnico, se chiamati a cooperare in vista dello stesso obiettivo, devono parlare un linguaggio che possa essere agevolmente compreso da tutti i destinatari della decisione.

Il Consiglio di Stato, qualificato l’algoritmo come “documento  amministrativo informatico”, sancisce la possibilità di farvi ricorso nello svolgimento di attività amministrative, precisando come esso possa servire a evitare la negligenza (o peggio il dolo) dei pubblici funzionari e a garantire maggiore imparzialità nella decisione amministrativa, in linea con l’art. 97 Cost.

Ma, perché possa produrre effetti giuridici, tale tecnologia  deve assicurare una declinazione rafforzata del principio di trasparenza, intesa come piena conoscibilità della regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico.

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[1] Clarich M., Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2017, p.165.

[2] G. Guzzo – G. Cocozza, La digitalizzazione dei procedimenti amministrativi. Spunti e riflessioni, in LexItalia.it, 2020, p.3.

Giorgia Cocozza

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