Il provvedimento dell’autorità giustifica l’inadempimento se è estraneo alla condotta del debitore

Perché tale effetto estintivo si produca è necessario che l’ordine o il divieto dell’autorità sia configurabile come un fatto totalmente estraneo alla volontà dell’obbligato e ad ogni suo obbligo di ordinaria diligenza.

 

Il fatto.

Un cliente citava in giudizio il gestore telefonico per ottenere il risarcimento dei danni dovuto  alla sospensione dell’utenza telefonica fissa nella fase di migrazione dal vecchio gestore al nuovo. Il vecchio gestore chiamava in giudizio il nuovo gestore ritenendolo unico responsabile del disservizio. Il Tribunale accertava la concorrente responsabilità di entrambe le compagnie telefoniche, mentre la Corte di Appello riformava totalmente la sentenza di primo grado ritenendo infondata la domanda risarcitoria, in quanto l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni aveva nel frattempo interdetto di procedere in via unilaterale al rientro dei clienti in precedenza abbonati presso altri gestori, ritenendo così che, a causa di tale delibera dell’Autorità, il gestore si era trovato nell’impossibilità di adempiere alla prestazione. Il cliente ricorreva in Cassazione.  

 

La decisione. 

La sentenza si segnala, a prescindere dal caso concreto, per affermare interessanti relazioni tra i fatti estintivi dell’obbligazione, quale la forza maggiore, ed i provvedimenti dell’autorità. Secondo il Supremo Collegio, i provvedimenti dell’autorità integrano gli estremi della forza maggiore solo quando discendono da circostanze imprevedibili ed inevitabili, non connesse a comportamenti colposi, che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza e non anche quando sono emanati a causa di comportamenti lesivi.

Ai sensi degli artt. 1218 e 1256 c.c., il debitore è responsabile per l’inadempimento dell’obbligazione fino al limite della possibilità della prestazione, presumendosi, fino a prova contraria, che l’impossibilità sopravvenuta, temporanea o definitiva, della prestazione stessa gli sia imputabile per colpa. L’impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto (Cass. nn. 15073/09, 9645/04, 8294/90, 5653/90 e 252/53).

Di conseguenza l’impossibilità sopravvenuta della prestazione produce gli effetti estintivi o dilatori se deriva da una causa avente natura esterna e carattere imprevedibile secondo la diligenza media (cfr. Cass. nn. 2691/87, 3844/80, 2555/68).

Nell’ipotesi di cd. factum principis (espressione con la quale si indica una causa di impossibilità oggettiva ad effettuare una prestazione, derivante da un sopravvenuto atto della pubblica autorità)  deve ritenersi sussistente la responsabilità del debitore laddove il medesimo vi abbia colposamente dato causa (v. Cass. n.21973/07). Ciò in quanto il factum principis non basta, di per sè solo, a giustificare l’inadempimento ed a liberare l’obbligato inadempiente da ogni responsabilità. Perché tale effetto estintivo si produca è necessario che l’ordine o il divieto dell’autorità sia configurabile come un fatto totalmente estraneo alla volontà dell’obbligato e ad ogni suo obbligo di ordinaria diligenza, il che vuoi dire che, di fronte all’intervento dell’autorità, il debitore non deve restare inerte, nè porsi in condizione di soggiacervi senza rimedio, ma deve, nei limiti segnati dal criterio dell’ordinaria diligenza, sperimentare ed esaurire tutte le possibilità che gli si offrono per vincere e rimuovere la resistenza oil rifiuto della pubblica autorità (Cass. n. 818/70). Inoltre, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare l’impossibilità della prestazione con riferimento ad un provvedimento dell’autorità amministrativa che fosse ragionevolmente prevedibile secondo la comune diligenza (Cass., Sentenza n. 2059 del 23/02/2000). 

Sentenza collegata

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Lattarulo Carmine

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