A caratterizzare questo reato è l’unicità del disegno criminoso, che giustifica un trattamento sanzionatorio diverso e più favorevole.
La giurisprudenza di legittimità lo ha identificato in una sorta di programma organico: compiere più violazioni di legge, deliberato dall’agente, almeno nelle sue linee generali, prima di dare attuazione bai singoli reati che lo compongono.
Da qui, la giustificazione del trattamento di favore da parte del legislatore.
Secondo i giudici di legittimità, più reati che scaturiscono da un unico progetto, hanno un disvalore inferiore a quello di più reati originati da soggetti diversi.
Viene escluso che il disegno criminoso possa identificarsi attraverso un programma generico di attività delinquenziale; attraverso un medesimo motivo; reati determinati dallo stato di tossicodipendenza; reati determinati dal bisogno economico; reati determinati da motivazioni sessuali; reati determinati dall’odio di gruppi familiari; reati aventi la tendenza a porre in essere reati della stessa indole; con una scelta di vita fondata sul delitto.
Reato continuato e recidiva
Con riguardo alla recidiva, la giurisprudenza ha per molto tempo negato l’applicazione della disciplina della continuazione dei reati commessi successivamente al giudicato perchè, in tale ipotesi, trova applicazione la recidiva, ritenuta incompatibile, per le esigente generali preventive che ne costituiscono il fondamento razionale, e per i suoi effetti, con il cumulo giuridico, tale orientamento era stato ribadito anche successivamente alla riforma del 74 che aveva reso facoltativo l’aumento di pena previsto per la recidiva.
Con la nuova normativa, c’è stato il conferimento verso il giudice di merito del potere discrezionale di non aumentare la pena per la recidiva, di cui era rimasta inalterata l’obbligatoria contestazione con le rispettive conseguenze.
Anche la dottrina ha sostenuto la incompatibilità tra continuazione e recidiva.
D’altro canto, la giurisprudenza più recente, ha invece dimostrato che tra i due istituti vi è una incompatibilità indimostrata; continuazione e recidiva rappresentano due istituti autonomi con struttura e finalità diverse ma, nonostante ciò, conciliabili fra loro.
Il trattamento più mite
Le ragioni del trattamento più mite risiedono in quello che è da ritenersi il tratto qualificante del reato continuato, ossia il medesimo disegno criminoso.
La ragione del trattamento di favore è, identificata con la minore riprovevolezza complessiva dell’agente, posto che i reati realizzati sono frutto di un’unica deliberazione iniziale.
Più grave sarebbe la riprovevolezza di colui che realizza nel tempo una pluralità di lleciti, tra i quali non corre alcun buon legame di natura psicologica rispetto a quella di chi pone in essere gli stessi illeciti in esecuzione di un medesimo progetto criminoso.
Tutto ciò avviene perché, nel primo caso elencato il soggetto sceglie con una pluralità di deliberazioni distinte di ribellarsi ai valori emanati dall’ordinamento.
Nel secondo caso, invece, l’esecuzione dei diversi reati rappresenta il frutto non di una rinnovata autonoma scelta di porsi contro il diritto, ma dell’originaria meditazione del programma criminoso.
Nonostante molte sono state le tesi a considerare tale atteggiamento come un indice di maggiore colpevolezza, l’ambito di operatività si è ampliato attraverso la riforma n. 99 del 1974.
Con l’entrata in vigore di tale riforma il trattamento di favore è stato esteso anche nel caso di violazioni di norme incriminatrici eterogenee.
Rapporto tra reato continuato e cosa giudicata
E’ molto importante fare due distinzioni in merito a due ipotesi che potrebbero verificarsi: una volta emessa una sentenza irrevocabile di condanna per un reato, ne emerga un altro realizzato in tempi antecedenti alla pronuncia, e l’ipotesi in cui un nuovo reato sia commesso dopo la sentenza definitiva di condanna per reati di un medesimo disegno criminoso realizzati in tempi precedenti.
Con riguardo alla prima ipotesi, la continuazione tra reati già giudicati e quello nuovo non sarebbe mai ammissibile qualora quest’ultimo risultasse più grave.
Nel secondo caso invece, potrebbe essere riconosciuto il vincolo della continuazione, essendo in tale ipotesi sufficiente procedere ad un ulteriore aumento di pena rispetto a quello già operato in relazione alla violazione più grave.
Un orientamento successivo ha chiarito che, la continuazione andrebbe riconosciuta anche nel caso in cui il nuovo reato risulti più grave.
A tal riguardo è importante considerare l’art. 671 c.p.p. secondo il quale viene riconosciuta al giudice dell’esecuzione la facoltà di applicare l’art. 81 c.p. senza operare distinzioni di sorta.
Pena da applicare al reato continuato
L’art. 81, comma 2, c.p. prevede l’applicazione della pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo.
Si pongono dei dubbi interpretativi soprattutto in relazione a quella che deve essere considerata la violazione più grave, alla quale apportare l’aumento proporzionale.
La sentenza del 28 febbraio 2013, n. 25939, ha ribadito che, in tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto, in base alla pena prevista per il reato ritenuto più grave dal giudice, anche in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse.
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