Introduzione
Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art.572 c.p.) ha come ratio legis la tutela della salute e l’integrità psico-fisica dei soggetti appartenenti all’universo familiare o para-familiare.
Oggi l’enunciato in vigore, dopo aver subito notevoli mutamenti anche in relazione ai vari contesti storici, si rifà alla Riforma del 2012 che conferisce alla fattispecie delittuosa una portata più generale.
L’enunciato e la collocazione
Il nostro ordinamento tutela l’universo “famiglia” quale centro di relazioni caratterizzate da status e rapporti giuridici comuni ai soggetti che la costituiscono; sul piano penale essa viene garantita poiché indispensabile alla compagine statuale, la quale riconosce in quest’ultima una fonte di moralità, onestà, educazione, energia e lavoro (cit. Antolisei).
Esistono norme fondamentali che regolano i rapporti di famiglia in materia penale che, nel corso degli anni, hanno subìto variazioni e riscritture; una di queste è l’indispensabile art. 572 c.p. ovvero i cd. “maltrattamenti in famiglia”: chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo 571 c.p., maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni”.
L’articolo in questione trova collocazione nell’undicesimo titolo del secondo libro del codice penale, più esattamente, all’interno del capo quarto intitolato “dei delitti contro l’assistenza familiare”; tale sistemazione della norma, tuttavia, ha dato vita a numerosi dibattiti essendo stata centro di critiche e polemiche piuttosto fondate, data la problematica scaturita dalla collocazione sistematica della norma preliminare alle altre dominanti questioni aventi ad oggetto l’interesse o il bene tutelato dallo stesso reato (es. sussistenza o meno del reato se la parte offesa è il convivente).
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Dottrina divisa
A tal proposito la dottrina si è mostrata divisa in due grandi tronconi: da una parte la collocazione della norma è stata ritenuta poco corretta poiché il reato in questione si intende realizzato mediante il componimento di atti che determinano la lesione della libertà e dell’incolumità individuale, con la conseguenza che, come afferma Pisapia, sarebbe maggiormente opportuna la sua collocazione nell’ambito dei delitti contro la persona; dall’altra siffatta collocazione è stata considerata impropria in quanto non rispecchia il reale campo tutelato dalla norma, campo che certamente deve essere esteso alla tutela dell’integrità fisica e morale di tutte quelle vittime che, sebbene non costituiscano la famiglia in senso tradizionale, siano soggette alla supremazia dell’agente (Mantovani).
Un reato in trasformazione
È da sottolineare come il Codice Rocco, rispetto ai precedenti, apporta delle novità circa la collocazione della norma esaminata: se è vero, infatti, che essa viene nuovamente inserita tra i reati contro la famiglia, sussistono, però, delle sostanziali modifiche riguardanti i soggetti passivi, tra i quali vengono annoverate le persone sottoposte all’autorità dell’agente o al medesimo affidati per ragioni di cura, vigilanza, educazione, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte.
Nel 2012 con la Legge 172, ratifica della cd. Convenzione di Lanzarote, il Legislatore è intervenuto sull’art. 572 c.p. “correggendo” la norma con l’intento di perseguire più aspramente determinate condotte che, alla luce dei fatti di cronaca, destano particolare allarme sociale, considerato il contesto all’interno del quale si generano e la posizione di svantaggio della vittima. La novella, tuttavia, ha lasciato completamente inalterati sia la natura abituale del delitto, sia la sua struttura.
I soggetti del reato
Riguardo i soggetti del reato, l’art. 572 c.p. statuisce che il reato di maltrattamento può essere commesso da “chiunque”, la non specificità dell’agente, però, può essere rilevata solo nell’ipotesi in cui il reato è commesso ai danni di un infra-quattordicenne; nei casi restanti, invece, il soggetto attivo deve necessariamente possedere la qualifica di persona legata alla vittima da un vincolo familiare o da un rapporto basato sull’autorità di colui che pone in essere la condotta nei confronti della stessa vittima o alla quale quest’ultima sia stata affidata per una delle specifiche ragioni elencate dalla norma considerata.
Per ciò che concerne i soggetti passivi del delitto de quo si erano posti particolari problemi interpretativi aventi ad oggetto il valore della locuzione “persone della famiglia”; a tal riguardo, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia non è necessario che i soggetti siano legati da un vincolo di parentela o affinità, ma fondamentale è il legame, tra di esse, di assistenza e/o protezione allo stato attuale, anche in assenza di un rapporto di convivenza o di stabile coabitazione.
Quando il locus commissi delicti è un istituto scolastico
Un aspetto peculiare del reato di maltrattamenti è quello che vede come protagonista la scuola: numerosi fatti di cronaca hanno messo in luce come uno dei luoghi dove il minore ripone maggiore fiducia, rappresentando il posto più vicino alla realtà domestica, possa diventare, paradossalmente, motivo di angoscia; la Suprema Corte, con la sent. 40959/2017 stabilisce che nell’ipotesi in cui l’insegnante utilizzi ripetutamente violenza a danno dell’alunno non risponde del reato di cui all’art. 571 del c.p. (abusi di mezzi di correzione), ma del reato, di tutt’altra portata, di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (l’uso sistematico della violenza, quale ordinario fatto del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può, infatti rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti).
La Cassazione ha sposato, dunque, un orientamento consolidato dal quale ne deriva che “il termine correzione va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo, in ogni caso non può ritenersi tale l’uso della violenza finalizzato a scopi educativi: ciò sia per primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi. Quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di convivenza, utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice” (Cass. 4904/1993).
In conclusione, laddove si configuri il reato di cui all’art. 571 c.p. dovrà sussistere una sproporzione delle modalità educative in relazione alla gravità del comportamento, escludendo, in ogni caso, la sussistenza di trattamenti lesivi dell’incolumità fisica ovvero afflittiva del minore.
Volume consigliato
Bibliografia
La Russa Nota alla sentenza 07/09/2017 n° 40959, Cassazione penale, sez.VI, Altalex Editore, 2017
Pagliaro Principi di diritto penale, parte speciale, Milano, 2003
Pezzano Compendio di diritto penale, Edizione Giuridiche Simone, 2019
Salemi I maltrattamenti in famiglia, ebook, Altalex Editore, 2016
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