Il caso
In riforma della sentenza assolutoria di primo grado, la Corte di Appello di Firenze, a seguito di gravame proposto dalle sole parti civili, dichiarava la Sig.ra B.M. responsabile del reato di omessa bonifica di cui all’art. 257 del D.Lgs. n. 152/06 (c.d. Codice dell’ambiente), condannandola al risarcimento dei danni in favore degli appellanti, da liquidarsi in separata sede.
Gli illeciti contestati dall’accusa nel procedimento tribunalizio erano, rispettivamente, rappresentati :
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dai reati di cui agli artt. 17 e 51-bis del D.Lgs. n. 22/97, ascritti all’imputata per aver cagionato, quale proprietaria di una cisterna contenente gasolio/idrocarburi (rifiuto pericoloso), l’inquinamento e, comunque, il pericolo concreto ed attuale di inquinamento delle acque di falda e del terreno circostanti, mediante dispersione delle suddette sostanze, omettendo di provvedere alla relativa bonifica;
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dal reato di cui all’art. 650 c.p., attesa l’inosservanza dell’ordinanza sindacale con la quale erano state disposte misure di messa in sicurezza di emergenza del suolo e delle acque sotterranee, nonché la loro bonifica ex art. 17 D.Lgs. n.22/97.
La Corte di merito, con la sentenza riformatrice, a seguito dell’intervenuta abrogazione del suddetto decreto delegato, aveva riqualificato il fatto criminoso, accertato fino al marzo 2005, alla stregua della suindicata novella legislativa, intervenuta l’anno successivo (c.d. abrogatio sine abolitione).
Motivi del ricorso
Tra le censure sollevate dalla difesa della ricorrente quella di violazione di legge in punto di ritenuta configurabilità del fatto-reato.
A parere dei difensori, la Corte territoriale non avrebbe correttamente valutato la diversa natura dell’evento, così come delineato dallo ius superveniens, rispetto alla normativa previgente.
Infatti, se dal combinato disposto degli abrogati artt. 17 e 51-bis l’evento veniva identificato con l’inquinamento definito come superamento dei limiti di accettabilità previsti dal D.M. n. 471/99 o nel pericolo concreto e attuale di inquinamento, nella nuova fattispecie viene previsto esclusivamente un evento di danno, ossia l’inquinamento definito come superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Sostanzialmente, il novum legislativo avrebbe ridotto l’area dell’illecito in parola avendone subordinato l’ambito operativo al superamento di livelli di rischio più elevati rispetto a quelli previgenti. La stessa condizione obiettiva di punibilità (espressa nella previsione “se non provvede alla bonifica”) viene configurata, nelle disposizioni a confronto, in maniera differente.
In definitiva – sempre secondo la difesa dell’imputata – la Corte territoriale non avrebbe accertato l’effettivo superamento delle CSR, né avrebbe tenuto conto della mancata adozione del progetto di bonifica (ex art. 242 Codice dell’ambiente); circostanza, questa, che varrebbe ad escludere la stessa configurabilità dell’illecito contestato.
Prima di esaminare la decisione della Corte, appare opportuno ripercorrere, seppur a grandi linee, l’evoluzione interpretativa del reato in discorso così come espressa dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento alle suddette normative succedutesi nel tempo.
L’omessa bonifica secondo il Codice dell’ambiente
Il reato di omessa bonifica, così come riprodotto nell’art. 257 del D.Lgs. 152/06, rappresenta un reato di evento a condotta libera o reato causale puro, sottoposto a condizione obiettiva di punibilità negativa. L’evento incriminato è rappresentato dall’inquinamento, cagionato da una condotta colposa o dolosa, la cui punizione è subordinata all’omessa bonifica (Cass. n. 9794, Montigiani).
Tale ricostruzione poggia sulle seguenti considerazioni: la diversa configurazione dell’evento (nei termini come sopra, correttamente, ricordati dalla difesa dell’imputata) e le differenze procedimentali tra la vecchia e la nuova normativa.
Con riferimento al secondo aspetto, i giudici di legittimità, nel rilevare la natura civile e amministrativa degli obblighi di bonifica gravanti sugli autori di inquinamenti accidentali ex art. 17, comma 2, D.Lgs. 22/97 (anche noto come “Decreto Ronchi”), sottolineano come gli stessi non siano soggetti a sanzione penale dall’art. 51-bis, se non nei casi in cui l’inquinamento sia stato cagionato con dolo o colpa, in aderenza all’indefettibile profilo psicologico richiesto, ex art. 42, comma 4, c.p., nelle fattispecie contravvenzionali.
“Ora, invece, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 242, che ha sostituito l’art. 17, rinnova gli obblighi di comunicazione e di bonifica solo a carico del responsabile, senza menzionare più l’inquinamento accidentale, anche se estende gli stessi obblighi a carico di chi individua contaminazioni storiche (quindi anche lui non imputabili) che possano comportare rischi di aggravamento” (così Cass. n. 26479/07, Magni).
Alla luce delle suddette argomentazioni ed in base al principio di responsabilità colpevole, così come espresso dall’art. 27, comma 1, della Costituzione, ne deriva che l’inquinamento e l’omessa bonifica potranno essere contestati al solo responsabile dell’evento.
L’esecuzione della bonifica : tra condizione obiettiva di punibilità e causa di non punibilità
Una volta ricostruita la fattispecie criminosa quale reato di evento a condotta libera, bisogna chiedersi quale significato attribuire all’espressione “se non provvede alla bonifica” utilizzata dal legislatore per fondare la responsabilità penale di cui all’art. 257 in commento.
Due le tesi che si contendono il campo :
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l’impostazione prevalente identifica la realizzazione delle bonifica in una condizione obiettiva di punibilità “intrinseca” costruita negativamente “giacché il mancato raggiungimento dell’obbiettivo della bonifica non fa che aggravare quella offesa al bene tutelato dalla norma incriminatrice che era stata già perpetrata dalla condotta di inquinamento” (Cass. n. 26479/07, Magni);
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un orientamento, allo stato minoritario, interpreta, invece, la bonifica quale causa di non punibilità sopravvenuta al fatto tipico (id est inquinamento qualificato).
Come noto, la condizione obiettiva di punibilità “intrinseca” (o impropria) va ad incidere (a differenza di quella c.d. “estrinseca”) sull’interesse protetto dalla norma penale, rendendosi partecipe dell’offensività del fatto-reato e ponendosi quale approfondimento o aggravamento della lesione di questo interesse, già posta in essere con la commissione del fatto (realizzando una sorta di progressione dell’offesa tipica).
Diversamente per la causa di non punibilità, che presuppone, invece, un reato già perfezionato, determinando la sola esclusione della pena.
L’adesione all’una o all’altra delle opzioni ermeneutiche comporta conseguenze diverse.
Tesi della condizione obiettiva di punibilità espressa in forma negativa
Se, infatti, venisse accolta la tesi della condizione obiettiva a contenuto negativo, sarebbe preclusa la formazione della piena illiceità del fatto e la stessa esecuzione della bonifica gioverebbe a tutti coloro che, in varia misura, hanno partecipato all’inquinamento, a prescindere dal loro contributo alla realizzazione della bonifica.
In questo modo verrebbe, altresì, agevolato un uso “incentivante” della previsione penale, rendendola, così, più funzionale alla realizzazione della bonifica, attesa la consapevolezza da parte dell’inquinatore che il fatto verrà considerato “reato” (con conseguente applicazione della pena ivi prevista) solo a seguito della mancata realizzazione della bonifica. “Il responsabile sarà così, infatti, maggiormente invogliato a fare – prima-, sapendo che facendo non incorrerà – dopo- in alcuna conseguenza penale” (A.L.Vergine, Il reato di omessa bonifica : due decisioni interrompono un prolungato silenzio, in Ambiente & Sviluppo 11/2009, 986) .
Come osservato, poi, da altra parte della dottrina, nelle more del (legittimo) procedimento amministrativo (ex art. 242 D.Lgs. n. 152/06), mancherebbe il presupposto indefettibile per la configurazione stessa del reato, ovvero la condizione obiettiva di punibilità; circostanza, questa (id est assenza di un reato consumato) ostativa sia all’esercizio dell’azione penale che all’adozione di misure cautelari reali .
Se la pubblica accusa decidesse, comunque, di esercitare l’azione penale finirebbe per esporsi a una sentenza di proscioglimento che precluderebbe, ex art. 649 c.p.p., un secondo giudizio sul medesimo fatto; ciò, anche se si dovesse successivamente realizzare la condizione inizialmente mancante (D. Micheletti, in Aa.Vv., Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di Giunta, Padova, 2007, pag. 358).
Tesi della causa di non punibilità sopravvenuta
Per i fautori della suddetta tesi, la configurazione dell’omessa bonifica quale condizione obiettiva di non punibilità significherebbe recidere quel legame psicologico e causale (non ritenuto necessario) con l’autore del fatto tipico. In altri termini, risulterebbe indifferente l’esistenza o meno, in concreto, di un rapporto di causalità materiale tra condizione e condotta dell’agente.
Sulla base di tale presupposto, apparirebbe distonica una esecuzione della bonifica che, invece, risulta essere normativamente voluta e realizzata dall’autore del fatto tipico, il quale dovrà collaborare con le autorità amministrative (si pensi alla individuazione delle concentrazioni soglia di rischio CSR.); rendendosi parte attiva dell’iter di bonifica.
La riconduzione alla causa di non punibilità sopravvenuta consentirebbe, invece, il superamento di tale discrasia, recuperando, così, sia il profilo causale che soggettivo richiesto dalla fattispecie, come sembrerebbe trasparire dal dettato normativo dell’art. 257 in commento (in tal senso C.R. Riva, Rifiuti. Omessa bonifica e giurisprudenza cassazione, in www.lexambiente.it).
Critiche
Le critiche vicendevolmente mosse dai sostenitori delle succitate tesi ruotano, in estrema sintesi, attorno ai seguenti punti:
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se si trattasse di una causa di non punibilità sopravvenuta il reato dovrebbe considerarsi già perfezionato; l’esclusione della punibilità non osterebbe alla eventuale applicazione di misure di sicurezza reali (quali, ad esempio, la confisca del sito inquinato), con possibili effetti disincentivanti per la realizzazione della bonifica;
In replica a tali osservazioni è stato sostenuto che la confisca ex art. 240, comma 2, del c.p. (c.d. confisca obbligatoria, attivabile anche in assenza di una sentenza di condanna), è consentita, in via eccezionale, solo in presenza di cose il cui uso, detenzione ecc siano vietate in modo assoluto.
Tale divieto non sussisterebbe in presenza di un uso e detenzione del sito inquinato bonificato in conformità al progetto approvato dalle autorità amministrative.
La stessa confisca facoltativa (disciplinata dal primo comma della succitata norma) risulterebbe di difficile esecuzione, essendo improbabile che il giudice “possa ritenere che un’area, debitamente bonificata dopo essere stata oggetto di pregressa contaminazione, se lasciata nella disponibilità del condannato, possa costituire per quest’ultimo un incentivo a reiterare l’inquinamento del medesimo sito!” (così V. Paone, Responsabilità penali e contaminazione dei siti, in Ambiente & Sviluppo 6/2012, 521).
Ed ancora :
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se si optasse per la configurabilità della fattispecie (esecuzione della bonifica) quale condizione obiettiva, sarebbe preclusa la stessa illiceità del fatto (non qualificabile come reato), con relativa estensione a tutti corresponsabili dell’inquinamento che verrebbero equamente a beneficiare della impunibilità a prescindere dal loro contributo alla realizzazione della bonifica (A.L.Vergine, op. loc. cit.) .
Non meno equa risulterebbe – a parere dei sostenitori della tesi avversa – una responsabilità di coloro che non provvedano alla bonifica pro quota.
Per converso, accedendo alla tesi “condizionale” si arriverebbe a premiare l’inquinatore anche quando la bonifica sia stata realizzata dall’incolpevole proprietario del terreno (in questo senso C.R. Riva, op. cit.).
A ciò si aggiunga, come sopra visto, il diverso ruolo assunto dalla componente psicologica e causale a seconda che si aderisca all’uno o all’altro orientamento.
Basterà qui rilevare che vertendosi in tema di condizioni intrinseche o offensive le stesse dovranno essere coperte, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata (così come espressa dalle sentenze n. 1085/88 e n. 247/89 Corte Cost.), dalla colpevolezza dell’agente, quantomeno nella forma minima della colpa (per un’interessante applicazione di tale principio, seppur intervenuta in materia di infortunio sul lavoro, vedasi Cass. n. 14777/2004).
Su questa linea si colloca, peraltro, un’interessante pronuncia della Corte di legittimità tesa ad escludere, in tale prospettiva, qualsiasi possibilità di addebito nei confronti del responsabile della contaminazione ambientale allorquando le anomalie o ritardi per la procedura di bonifica siano imputabili esclusivamente alle amministrazioni competenti (Cass. 22006/2010).
L’adozione del progetto di bonifica
Un altro aspetto affrontato dal decisum in rassegna è rappresentato dalla rilevanza o meno, ai fini della configurabilità del reato in oggetto, delle omissioni relative alla fase intermedia del procedimento di bonifica.
Il precedente art. 51-bis del “Decreto Ronchi”, nell’utilizzare il termine generico di bonifica, senza ulteriori specificazioni, si prestava ad una interpretazione “sanzionatoria” volta, cioè, a perseguire anche omissioni intermedie.
Con il nuovo disposto, la Corte di Cassazione opta per due soluzioni.
Secondo una parte della giurisprudenza, il novellato reato di omessa bonifica risulta integrato “allorché il responsabile dell’inquinamento impedisce di predisporre e di realizzare la bonifica già attraverso la mancata attuazione del piano di caratterizzazione”, che rappresenta una “fase intermedia necessaria”(Cass. n. 35774/10, Morgante).
Un altro orientamento, invece, valorizzando il dato testuale, individua nel progetto di bonifica definitivamente approvato l’elemento indefettibile per la configurabilità del reato in esame. Diversamente opinando verrebbe, infatti, violato il principio di legalità stante il chiaro disposto normativo che non prevede l’estensione del presidio penale alla mancata ottemperanza di obblighi diversi da quelli scaturenti dal progetto di bonifica (Cass. n. 22006/10).
La decisione della Corte di Cassazione
Il Supremo Consesso, nell’accogliere il ricorso, ribadisce quanto già espresso, in subiecta materia, dal consolidato orientamento che riconosce alla nuova fattispecie di cui all’art. 257 del Codice dell’ambiente una minore gravità rispetto alla previgente disposizione di cui all’art. 51-bis del D.Lgs. n. 22/97, considerato che viene ridotta l’area dell’illecito ed attenuato il trattamento sanzionatorio.
Infatti, il Collegio adito, nel condividere il suddetto approdo esegetico, evidenzia come la Corte di merito non abbia provveduto ad accertare “ai fini dell’applicazione dell’art. 257 del D.Lgs. n. 152/2006 (quale norma più favorevole rispetto al 51-bis del D.Lgs. n. 22/97) il superamento delle concentrazioni soglie di rischio (CSR) che costituisce parametro di natura diversa dal c.d. limite di accettabilità di cui al D.M. 25 ottobre 1999, n. 471”.
Come noto, rispetto alla normativa previgente, basata su un metodo in cui era sufficiente il supero dei valori di soglia tabellare per procedere alla bonifica del sito, il nuovo disposto prevede che tale condizione – oggi identificabile con il superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) – determini l’avvio di una procedura di caratterizzazione e analisi di rischio sito specifica, in esito alla quale se si accerta il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), si deve dar luogo alla relativa messa in sicurezza e bonifica.
Alla luce del nuovo assetto normativo, la Corte ha, così, rilevato la mancata verifica, da parte dei giudici di merito, “dell’evento inquinamento secondo quanto normativamente richiesto come elemento essenziale della nuova figura criminosa” ricordando, a tal fine, che l’analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica rappresenta lo strumento che la nuova normativa ha introdotto per l’accertamento del suddetto evento.
Da ultimo, i giudici di legittimità osservano che mentre per la previgente normativa il reato era configurabile per la “violazione di uno qualsiasi dei numerosi obblighi gravanti sul privato secondo le previsioni del correlato art. 17, dopo l’entrata in vigore dell’art. 257 del D.Lgs. n. 152/06, la consumazione del reato non può prescindere dall’adozione del progetto di bonifica ex art. 242, progetto che, nella specie, non risulta mai approvato”.
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