Provvedimenti Garante Privacy n. 192 e n. 195 del 15 ottobre 2020
Fatto
Il Garante per la protezione dei dati personali aveva ricevuto due reclami entrambi riguardanti il diritto all’oblio.
Nel primo reclamo, il soggetto interessato chiedeva al Garante di ordinare a Google la rimozione di tre risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nome, contenenti notizie del 2013, riferite ad indagini penali su alcune società gestite da soggetti diversi accusate di aver percepito finanziamenti pubblici irregolarmente ed alle quali il reclamante era totalmente rimasto estraneo, come confermava il certificato del casellario giudiziale, da quest’ultimo allegato.
In particolare, il soggetto interessato sosteneva che l’accostamento del proprio nominativo alla vicenda era da rinvenire solamente nel fatto che egli aveva svolto la propria attività lavorativa presso una società che aveva contatti con una delle società indagate. Inoltre, ribadiva di non essere stato sottoposto a nessun tipo di indagine e che, in ogni caso, la vicenda amministrativa che riguardava la società in cui operava era stata conclusa tramite un accordo bonario.
Il reclamante, dunque, lamentava un pregiudizio derivante alla propria reputazione personale e professionale e al proprio diritto alla riservatezza ed, inoltre, contestava la presenza di notizie non attualizzate né contestualizzate.
Google rispondeva all’invito del Garante eccependo tre motivi per i quali non poteva aderire alle richieste del reclamante, in particolare sosteneva che:
- In primo luogo, non vi fossero i presupposti per poter esercitare il diritto all’oblio, in quanto i contenuti reperibili attraverso gli URL risalivano ad epoca recente (2010-2012);
- In secondo luogo, le notizie dei primi due URL riguardassero il reclamante nella sua funzione di imprenditore intrattenente rapporti con un soggetto sottoposto ad indagini per collusione con l’ambiente mafioso;
- Infine, il terzo URL attenesse ad una delibera della provincia da cui si evinceva la presenza di un procedimento sanzionatorio nei confronti del reclamante nella sua qualità di rappresentante legale di una società titolare di concessione per la derivazione di acqua da fonte pubblica.
Successivamente, vi era stato uno scambio di note con il Garante nelle quali il reclamante continuava a sostenere la sua estraneità ai fatti, l’accordo bonario raggiunto dalla società in cui operava e l’archiviazione del procedimento sanzionatorio nei suoi confronti, pur senza poter far avere il decreto di archiviazione, a causa dell’ampio lasso di tempo decorso dai fatti.
In ultimo, il Garante, il reclamante e Google giungevano alla conclusione che la URL n.1 riconduceva a contenuti diversi da quelli iniziali e non più riferibili alla persona dell’interessato.
Nel secondo reclamo, il soggetto interessato lamentava al Garante il pregiudizio derivante alla propria reputazione personale e professionale dalla perdurante reperibilità in rete di contenuti relativi a vicende giudiziarie a suo carico che non avevano avuto alcun seguito.
Google rispondeva all’invito del Garante sostenendo che non fosse sussistente il diritto all’oblio in capo al reclamante dato che i fatti di cui si parlava erano recenti (2018) e di interesse pubblico, in quanto riguardanti indagini condotte dalla Guardia di Finanza nei confronti di diversi soggetti, tra i quali il padre del reclamante, accusati di corruzione e, inoltre, adducendo che il nome del soggetto interessato compariva poiché indicato dal gip come percettore di redditi da parte di un imprenditore che gli avrebbe corrisposto tangenti.
A questo punto, il Garante richiedeva al reclamante prova della sua estraneità ai fatti e quest’ultimo produceva il certificato dei carichi pendenti caratterizzato dall’assenza di iscrizioni nei suoi riguardi.
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Le decisioni del Garante
Entrambi i reclami sono stati accolti dal Garante per la protezione dei dati personali poiché ritenuti fondati.
Innanzitutto, per entrambi i reclami il Garante ritiene che sia applicabile all’attività di Google svolta in ambito europeo attraverso le proprie sedi il Regolamento europeo per la protezione dei dati personali (GDPR), soprattutto alla luce del principio di stabilimento, e, inoltre, conferma la competenza del Garante italiano a decidere i reclami ad esso proposti con riferimento al proprio territorio nazionale.
Per quanto riguarda il primo reclamo, il Garante, dopo aver appurato che l’ URL n.1 non risulta più indicizzato in associazione al nome del reclamante e che, dunque, con riguardo ad esso non sussistono i presupposti per l’adozione di provvedimenti in merito da parte dell’Autorità, ha posto la sua attenzione sull’ esame delle questioni attinenti all’URL n. 2 e 3, tenendo in considerazione che gli elementi da valutare per la deindicizzazione non attengono solamente all’elemento costituito dal trascorrere del tempo.
In particolare, per l’URL n. 2 il Garante ha ritenuto che essa faccia riferimento a fatti risalenti ad alcuni anni prima e non riferibili direttamente al reclamante, poiché riguardanti la vicenda di alcune società con cui egli operava ma per cui non vi è mai stata nessuna responsabilità personale, come si evince chiaramente dal testo della sentenza riprodotto all’interno della pagina ad esso collegata, e per cui, inoltre, sul piano amministrativo, vi è stato un accordo bonario per la risoluzione della questione. Per questi motivi, la perdurante reperibilità di tali informazioni in associazione al nominativo del reclamante non risulta sorretta da alcun interesse pubblico.
Per quanto attiene all’URL n. 3, il Garante ha dato rilievo alla dichiarazione del reclamante in cui sostiene l’archiviazione della sua posizione, rinvenendo anche qui assenza di interesse pubblico.
Nel secondo reclamo, il Garante ha considerato per la sua decisione sia il fatto che gli URL, seppur riguardanti notizie recenti, si riferiscono ad un’inchiesta giudiziaria svolta principalmente su altri soggetti, sia che la vicenda, ad oggi conclusa, non coinvolge minimamente il reclamante, così come provato dal certificato del casellario giudiziario.
In conclusione, si può evidenziare come, in entrambi i casi, il Garante abbia ritenuto che non vi sia alcun interesse pubblico a conoscere notizie per le quali entrambi i reclamanti sono stati ritenuti definitivamente estranei e pertanto non assume alcuna rilevanza il fatto che le notizie siano abbastanza recenti, dovendosi comunque procedere alla rimozione delle notizie. Il Garante ha così ritenuto di dare maggior peso al fatto che mancasse un interesse pubblico alla conoscenza della notizia, piuttosto che al fatto che la stessa fosse ancora attuale.
In considerazione delle suddette conclusioni, quindi, il Garante ha condannato Google a rimuovere gli URL indicati negli atti introduttivi dei procedimenti quali risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo, contestualmente al cognome, dell’interessato, nel termine di venti giorni dalla ricezione dei provvedimenti e ha richiesto altresì che, entro trenta giorni dalla data di ricezione dei provvedimenti, gli vengano comunicate quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione a quanto prescritto, pena il pagamento di una sanzione amministrativa.
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