1) Il problema dell’applicabilità dell’IVA alle transazioni telematiche fra imprese non stabilite nell’Unione Europea e consumatori italiani. Il concetto di “commercio elettronico” e quello di “stabile organizzazione” di un’impresa.
Uno dei problemi principali che, dal punto di vista del regime fiscale, pone il commercio elettronico (od e-commerce), è l’applicabilità dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) nel caso in cui la transazione avente per oggetto beni o servizi è effettuata tramite la rete Internet fra un’impresa venditrice che non ha una sede legale od operativa (non è, come la qualifica il diritto comunitario, una “impresa stabilita”) nel territorio di uno degli Stati membri dell’Unione Europea ed un acquirente residente o domiciliato in questo territorio che non è un soggetto passivo dell’IVA perché effettua l’acquisto per scopi estranei alla sua attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (articoli 7 – ter e 17, 2° comma, del DPR n° 633 del 1972 che disciplina l’Imposta sul Valore Aggiunto così come riformati dal Decreto Legislativo n° 18 del 2010), in altre parole, con un soggetto che è identificabile come un “consumatore”, come definito dalla lettera a) del 1° comma dell’art. 3 del Decreto Legislativo n° 206 del 2005, il “Codice del Consumo”. Le altre due categorie di acquirenti che non sono soggetti passivi dell’IVA sono, come vedremo nel secondo paragrafo di questo articolo, gli Enti Pubblici e le organizzazioni nonprofit od “enti non commerciali”.
La definizione legislativa di “commercio elettronico” (od “e-commerce”) è data dall’art. 2 del Decreto Legislativo n° 70 del 2003 che ha recepito nell’ordinamento italiano la fondamentale Direttiva CE n° 31 del 2000 relativa alla disciplina dei servizi della società dell’informazione, ed in particolare, appunto, del commercio elettronico, che viene identificato come l’insieme delle “attività economiche svolte in linea (on line)” mediante la connessione di accesso alla rete globale Internet e la presenza stabile in essa degli operatori economici per mezzo di un sito web. L’e-commerce comprende, pertanto, le attività di scambio di beni e di servizi (quale che sia il titolo giuridico di esse: compravendita, locazione, permuta negli scambi tra pari o peer to peer, ecc.) e quelle di pubblicità, promozione ed informazione a fini commerciali effettuate su Internet.
Inoltre, anche se è stato pensato soprattutto per il primo, il Dlgs 70/2003 si applica sia al commercio elettronico di tipo B2C – Business to Consumer, vale a dire agli scambi fra imprese e consumatori, sia a quello B2B – Business to Business, cioè agli scambi commerciali fra imprese, che, per quantità, valore e tasso di crescita, supera largamente il primo. Infatti, soprattutto le piccole imprese che effettuano i loro approvvigionamenti su Internet (il c.d. e-procurement) hanno esigenze di tutela molto simili a quelle dei consumatori finali (singoli e famiglie). Il terzo grande settore del commercio elettronico è poi quello B2A – Business to Administration, vale a dire quello degli scambi economici fra imprese ed Enti Pubblici.
Per il primo tipo di commercio elettronico (B2C), il Dlgs 70/2003 integra la disciplina di tutela dei consumatori nei c.d. “contratti a distanza” introdotta dal Decreto Legislativo n° 185 del 1999 (attuativo della Direttiva CE n° 7 del 1997) oggi abrogato e sostituito integralmente dagli articoli che vanno da 50 a 67 del Decreto Legislativo n° 206 del 2005 (il “Codice del consumo”, Testo Unico che raccoglie e coordina gli atti legislativi aventi per oggetto la tutela del consumatore). I “contratti a distanza” sono tutti quei contratti stipulati per mezzo di strumenti di comunicazione interpersonale a distanza che rendono non necessaria la contemporanea presenza delle due parti nello stesso luogo fisico, come, per esempio, quelli conclusi via Internet, per telefono, per fax, ecc. Inoltre, restano salve le norme specifiche per gli investimenti finanziari e le assicurazioni (art. 4 del Dlgs 70/2003) che, ricordiamo, rientrano, assieme ai servizi bancari, fra le operazioni esenti dall’IVA, ai sensi dei numeri 1), 2), 3) e 4) dell’art. 10 del DPR 633/1972. E questo, ovviamente, anche se tali servizi sono prestati on line e rientrano, pertanto, nel commercio elettronico sia dal punto di vista economico che da quello tecnologico.
Si tenga presente che, per principio generale, l’operatore commerciale sul web deve rispondere, per la responsabilità civile e penale, all’Autorità Giudiziaria del paese in cui ha “stabile organizzazione” (l’art. 2 del Dlgs 70/2003 lo definisce “prestatore stabilito”) e lo stesso vale per l’Autorità Fiscale a cui deve versare le imposte dirette sui redditi conseguiti dall’impresa, che è quindi quella del luogo dove esercita la propria attività economica con presenza stabile e duratura, come vedremo nei capoversi successivi. Non è rilevante a tal fine il fatto che il sito web dell’operatore sia ospitato sul server (computer con una memoria di grandi dimensioni) di un provider (ISP – Internet service provider: fornitore di accesso e di spazio sulla rete Internet) ubicato fisicamente all’estero.
Esaminiamo ora il concetto di “stabile organizzazione” di un’impresa che, derivante dal diritto comunitario, è definito nell’ordinamento italiano dall’art. 162 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, contenuto nel DPR 917/1986) come “una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello stato” (1° comma) e comprende, in particolare, i casi in cui un’impresa avente sede legale in uno Stato non facente parte dell’Unione Europea ha in Italia o, nel caso in esame, anche in un altro paese dell’Unione Europea: “una sede di direzione, una succursale, un ufficio (compreso un punto vendita di proprietà), un’officina, un laboratorio, una miniera od altro luogo di estrazione di risorse naturali […], un cantiere di costruzione o di montaggio o di installazione […] se tale attività ha una durata superiore a tre mesi”, la presenza di almeno un rappresentante, che può essere un soggetto residente o non residente, che conclude nel territorio dello Stato contratti di vendita di beni (2°, 3° e 6° comma dell’art. 162 del TUIR).
Sono esclusi dal concetto di “stabile organizzazione” i depositi di merci appartenenti all’impresa a qualsiasi fine destinati e le sedi che servono per l’esposizione o la consegna delle stesse merci, la presenza sul territorio dello Stato di agenti ed altri intermediari commerciali con uno status indipendente (esclusi, come abbiamo detto, i rappresentanti), la presenza di sedi od impianti che hanno lo scopo di acquisto di merci e/o quello di raccolta di informazioni, soprattutto commerciali, per l’impresa e/o quello “di svolgere qualsiasi altra attività che abbia carattere preparatorio od ausiliario” dell’attività produttiva o di scambio esercitata dall’impresa ed, infine, il fatto che un’impresa non residente controlli un’impresa residente o ne sia controllata, se non ricorrono anche i casi riportati nel capoverso precedente (4°, 5°, 7°, 8° e 9° comma dell’art. 162 del TUIR).
2) La disciplina dell’IVA per l’e-commerce B2C in generale e quella particolare dettata dal Decreto Legislativo n° 273 del 2003 per le prestazioni di servizi rese tramite strumenti elettronici.
Il problema dell’applicabilità dell’IVA alle transazioni telematiche fra imprese non stabilite nell’Unione Europea e consumatori italiani non si poneva in passato per i servizi commerciali, vale a dire per la vendita di beni mobili nel territorio dello Stato, o per i servizi di altro tipo perché la lettera b) del 4° comma dell’art. 7 del DPR 633/1972 stabiliva che “le prestazioni di servizi relative a beni mobili materiali (comprese quelle di intermediazione commerciale) o di servizi culturali, scientifici, artistici, didattici, sportivi, ricreativi (categoria in cui rientrano i servizi turistici che rappresentano il settore più importante dell’e-commerce B2C) e simili si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono eseguite (con la consegna del bene o la prestazione del servizio) nel territorio stesso”.
Restava, invece, aperta la questione del regime dell’IVA applicabile alle cessioni di beni immateriali (per esempio, il software) ed alla fornitura di servizi on line (per esempio, la creazione di un sito web) effettuate da un fornitore non stabilito nell’UE ad un committente dell’UE, per esempio italiano, che non sia un soggetto passivo dell’IVA.
La Direttiva CE n° 38 del 2002 ha rappresentato il primo tentativo di risolvere questo importante problema dettando una disciplina transitoria che si doveva applicare per tre anni, a partire dal 1° luglio 2003, e che nel 2006 avrebbe dovuto essere rivista sulla base dei risultati ottenuti, ma che finora non è stata modificata. Questa Direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano col Decreto Legislativo n° 273 del 2003, di cui esponiamo di seguito i contenuti normativi, premettendo che essi si applicano a tutti i servizi prestati tramite mezzi elettronici, vale a dire telematici e telefonici fissi e mobili. La Direttiva CE n° 38 del 2002 è stata poi abrogata dalla Direttiva CE n° 112 del 2006, ma l’efficacia del suo atto legislativo di recepimento nell’ordinamento italiano, il Dlgs 273/2003, è stata prorogata fino al 31 Dicembre 2008 dall’art. 17 della Legge n° 34 del 2008 (Legge Comunitaria per il 2007) che ha modificato in tal senso l’art. 2 del Dlgs 273/2003, in virtù di quanto previsto dall’art. 1° della Direttiva CE n° 138 del 2006. A questa proroga è seguita quella al 31 Dicembre 2009 contenuta nel comma 2° dell’art. 31 del Decreto Legge n° 185 del 2008, convertito nella Legge n° 2 del 2009, in virtù della previsione dell’art. 1° della Direttiva CE n° 8 del 2008 che ha modificato in questo senso la Direttiva CE 112/2006.
Una soluzione definitiva del problema sembra essere arrivata col Decreto Legislativo n° 18 del 2010 che ha riformato l’art. 7 del DPR 633/1972 ed ha introdotto in quest’ultimo gli articoli da 7 – bis a 7 – septies (i cui contenuti esamineremo tra poco nel paragrafo successivo) in attuazione delle Direttive CE n° 8, 9 e 117 del 2008.
Le lettere a) e b) del 1° comma dell’art. 1°, del Dlgs 273/2003 introdussero fra le operazioni imponibili, cioè fra quelle soggette all’Imposta sul Valore Aggiunto previste dalle lettere d) ed f) del vecchio testo del 4° comma dell’art. 7 del DPR 633/1972, tutte “le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici” (l’e-commerce di servizi) se rese a soggetti domiciliati o residenti nel territorio italiano o, se rese a clienti che non sono soggetti passivi dell’IVA residenti al di fuori dell’Unione Europea, quando la prestazione è stata utilizzata in Italia e questo, sia che la prestazione venga resa da un soggetto (fornitore) domiciliato o residente al di fuori dell’Unione Europea, sia (ovviamente) da uno domiciliato o residente in Italia od in un altro stato membro dell’Unione Europea.
L’allegato L della Direttiva CE 38/2002 (non presente nel testo del Dlgs 273/2003), oggi riportato, senza modificazioni, nell’allegato II della Direttiva CE 112/2006, presentava un elenco meramente esemplificativo, ma molto significativo ai fini della presente trattazione, di questi servizi on line che include: la fornitura (nel senso di realizzazione e messa in rete) e la gestione presso un provider di siti web (il c.d. “web hosting”), la fornitura di software e dei relativi aggiornamenti, di immagini, testi, informazioni e basi di dati, di musica, film, giochi, programmi o manifestazioni politici, culturali, artistici, scientifici, di intrattenimento (i c.d. “contenuti digitali”), di prestazioni di insegnamento a distanza (il c.d. “e-learning”).
Negli stessi termini, sempre ai sensi della lettera d) del vecchio testo del 4° comma dell’art. 7 del DPR 633/1972, erano soggette all’IVA le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di radiodiffusione e di televisione. Questi ultimi due tipi di prestazioni di servizi furono introdotti nell’art. 7 citato dalla lettera a) del 1° comma dell’art. 1° del Dlgs 273/2003 assieme alle prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici.
Inoltre, alla lettera c) dell’art. 1° del Dlgs 273/2003, era previsto che le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici da soggetti domiciliati o residenti fuori dalla Comunità a clienti che non sono soggetti passivi dell’Imposta sul Valore Aggiunto nello Stato Italiano, si consideravano ivi effettuate quando il committente era domiciliato o residente nello Stato o quando era residente in uno dei paesi della Unione Europea ma utilizzava la prestazione in Italia. Tutte queste operazioni, pertanto, erano imponibili, cioè soggette all’IVA. I committenti che non erano allora e non sono oggi soggetti passivi dell’IVA sono, sostanzialmente, questi: i consumatori che acquistano un bene od un servizio per scopi estranei all’attività d’impresa od alla professione liberale eventualmente esercitata, gli Enti Pubblici e gli enti privati “non commerciali”, cioè senza scopo di lucro (come le imprese) o mutualistico (come le società cooperative).
Gli “enti (privati) non commerciali” sono quelli identificati dalla lettera c) del 1° comma dell’art. 73 del TUIR che definisce tali “gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”. Fra essi sono incluse le persone giuridiche che non sono imprese, quindi le associazioni riconosciute e le fondazioni, le associazioni non riconosciute ed i comitati (le persone giuridiche che svolgono attività d’impresa sono, com’è noto, le società di capitali e le società cooperative). Se gli enti non commerciali svolgono anche delle attività commerciali o agricole, che non devono essere prevalenti rispetto alle attività non profit previste dai loro statuti, sono soggetti all’IVA solo per quelle, ai sensi degli artt. 1 e 4, 1° e 4° comma, del DPR 633/1972.
Questi principi sono stati ribaditi, per i destinatari di questi servizi elettronici stabiliti o domiciliati nei paesi della Comunità Europea che sono soggetti passivi dell’IVA, dall’art. 56, comma 1°, lettera k), della Direttiva CE n° 112 del 2006 relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto e, per i destinatari che non sono soggetti passivi di questa imposta stabilititi o domiciliati o abitualmente residenti nei paesi della Comunità Europea per prestazioni erogate da soggetti passivi (imprese) stabiliti o, in mancanza di stabile organizzazione, domiciliati o residenti al di fuori di essa, dall’art. 57 della stessa Direttiva.
In particolare, poi, ricordiamo che il 2° comma dell’art. 56 della Direttiva citata ha posto l’importante principio per cui “il solo fatto che un prestatore di servizi ed il suo destinatario comunichino per posta elettronica non implica che il servizio reso sia un servizio elettronico” ai sensi del comma 1°, lettera k) dello stesso articolo.
Infine, segnaliamo che i prestatori di questi servizi elettronici stabiliti o domiciliati o residenti in Italia od in altri paesi della Comunità Europea, sono sempre tenuti all’emissione della fattura per queste operazioni, come chiarito dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n° 274 del 2008.
Ciò in quanto, anche se l’art. 101 della Legge n° 342 del 2000 aveva previsto e prevede tuttora l’emanazione di appositi regolamenti, ai sensi e per gli effetti del comma 136 dell’art. 3 della Legge n° 662 del 1996, per la semplificazione degli adempimenti contabili e formali per le transazioni di commercio elettronico in cui il pagamento avviene con carta di credito od altro strumento di pagamento gestito da un intermediario finanziario abilitato, compresa la non obbligatorietà dell’emissione della fattura in presenza di altra idonea documentazione, finora tali regolamenti di semplificazione non sono stati emanati.
3) La riforma intervenuta col Decreto Legislativo n° 18 del 2010.
Il Decreto Legislativo n° 18 del 2010 ha riformato l’art. 7 del DPR 633/1972 che disciplina l’Imposta sul Valore Aggiunto ed ha introdotto l’art. 7 – ter che al 1° comma stabilisce che tutte le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato (e sono, pertanto, soggette all’IVA) quando sono rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato e quando sono rese a committenti non soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato. L’art. 7 – quinquies sempre del DPR 633/1972 (pure introdotto dal Dlgs 18/2010) stabilisce una eccezione a questo principio per le prestazioni di servizi relativi ad attività culturali, artistiche, sportive, educative, ricreative (comprese, come abbiamo detto prima, quelle turistiche) e simili nonché le prestazioni di servizi accessorie alle precedenti che si considerano effettuate nel territorio dello Stato solo quando le medesime attività sono ivi materialmente svolte (e non quando sono rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato oppure quando sono rese a committenti non soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato).
Tale eccezione si applica anche alle prestazioni di servizi per l’accesso alle manifestazioni culturali, artistiche, sportive, educative, ricreative e simili, nonché alle relative prestazioni accessorie. In questa categoria di servizi rientrano quelli di biglietteria elettronica od on line, il c.d. “e-ticketing”, effettuati via Internet, una delle più tipiche attività del commercio elettronico B2C – Business to Consumer.
Il 2° comma dell’art. 7 – ter identifica poi i soggetti passivi dell’IVA negli esercenti attività di impresa, arti e professioni e negli enti non commerciali (associazioni, fondazioni, comitati) nei casi in cui esercitano attività commerciali o agricole e negli altri casi in cui sono identificati come soggetti passivi dell’IVA.
Questo ultimo caso si verifica, ai sensi dell’art. 7 – sexies, lettera f), del DPR 633/1972 (introdotto anch’esso dal Dlgs 18/2010) per le prestazioni di servizi rese mediante mezzi elettronici (quindi per l’e-commerce di servizi) quando il l’ente non commerciale committente è domiciliato nel territorio dello Stato od ivi residente senza domicilio all’estero. In questo caso, quando queste dette prestazioni sono rese da soggetti non residenti nel territorio dello Stato e relativamente alle sole operazioni di acquisto di servizi elettronici realizzate nello svolgimento di attività non commerciali, ai sensi degli artt. 17, 2° comma, e 30 – bis dello stesso DPR (riformati sempre dal Dlgs 18/2010) gli obblighi relativi all’Imposta sul Valore Aggiunto sono adempiuti dagli enti non commerciali committenti secondo quanto previsto dagli artt. 47, comma 3°, e 49 del Decreto Legge n° 331 del 1993, convertito in Legge n° 427 del 1993.
Ciò comporta che tali enti devono numerare progressivamente ed annotare le fatture relative agli acquisti intracomunitari in un apposito registro entro il mese successivo a quello in cui ne sono venuti in possesso (3° comma dell’art. 47 citato) e che ogni mese devono presentare in duplice copia all’Agenzia delle Entrate una dichiarazione relativa all’ammontare degli acquisti intracomunitari effettuati nel mese precedente ed all’imposta per essi dovuta che riporti anche gli estremi del versamento di questa (art. 49).
La lettera g) dell’art. 7 – sexies stabilisce poi che si considerano effettuate nel territorio dello Stato (e quindi sono soggette all’IVA) le prestazioni di servizi di telecomunicazione e di teleradiodiffusione quando sono rese da prestatori stabiliti nel territorio dello Stato Italiano a committenti residenti o domiciliati nel territorio della Comunità (cioè dall’Unione) Europea e sempre che siano utilizzate in questo ultimo territorio. Le medesime prestazioni se rese da soggetti stabiliti al di fuori del territorio della Comunità Europea si considerano effettuate nel territorio dello Stato Italiano quando sono ivi utilizzate.
Inoltre, per l’art. 7 – septies del DPR 633/1972 i servizi prestati per via elettronica, quelli di telecomunicazione e quelli di teleradiodiffusione (per questi ultimi due casi sono esclusi i servizi utilizzati nel territorio dello Stato anche se resi da soggetti che non siano ivi stabiliti) non si considerano effettuati nel territorio dello Stato (e quindi non sono soggetti all’IVA) quando sono resi a committenti che non sono soggetti passivi dell’IVA (consumatori, enti pubblici, enti non commerciali) domiciliati e residenti fuori dalla Comunità (cioè dall’Unione) Europea.
Ricordiamo, infine, che il 3° comma dell’art. 6 del DPR 633/1972 (anch’esso riformato dal Dlgs 18/2010) stabilisce che “le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo” e per quelle di cui all’art. 7 – ter, comprese quindi quelle rese tramite mezzi elettronici, rese da un soggetto passivo dell’IVA stabilito in un altro Stato membro dell’Unione Europea ad un altro soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato Italiano, “effettuate in modo continuativo nell’arco di un periodo superiore ad un anno e che non comportano versamenti di acconti o pagamenti anche parziali nel medesimo periodo, si considerano effettuate al termine di ciascun anno solare (e quindi sono soggette all’imposta per il valore del corrispettivo maturato nell’anno) fino alla conclusione delle prestazioni medesime”.
4) La disciplina particolare dell’IVA dettata dal Decreto Legislativo n° 273 del 2003 per i servizi prestati ai consumatori mediante strumenti elettronici da imprese non stabilite nell’Unione Europea.
Sempre l’art. 1° del Dlgs 273/2003, alla lettera d), introdusse l’art. 74 – quinquies del DPR 633/1972, che è tuttora in vigore e che disciplina il regime dell’IVA “per i servizi resi tramite i mezzi elettronici (o servizi on line) da soggetti domiciliati o residenti fuori dalla Comunità (Unione) Europea a committenti comunitari che non sono soggetti passivi dell’imposta (IVA)”, categorie di committenti che abbiamo identificato nei due paragrafi precedenti.
Il nuovo art. 74 – quinquies del DPR 633/1972 stabilisce che i soggetti domiciliati o residenti fuori dall’Unione Europea, non identificati in ambito comunitario (perché non iscritti nei Registri delle Imprese od altri registri equivalenti di ciascuno degli Stati membri dell’UE), possono identificarsi nel territorio dello Stato Italiano, con le modalità previste nell’articolo stesso, per l’assolvimento degli obblighi in materia di IVA relativamente ai servizi resi tramite mezzi elettronici (soprattutto Internet) a committenti che non sono soggetti passivi di questa imposta (quindi acquirenti, clienti finali che non esercitano attività d’impresa o libero professionale ai sensi degli artt. 4 e 5 del DPR 633/1972: consumatori, Enti Pubblici ed enti privati nonprofit o “non commerciali”) e sono residenti in Italia od in un altro Stato membro dell’UE.
A tal fine i fornitori di questi servizi presentano, prima di iniziare l’attività di vendita ed erogazione dei servizi stessi, un’apposita dichiarazione all’ufficio competente, da individuarsi con un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, il quale è tenuto a notificare al soggetto richiedente il numero di identificazione (o codice IVA) attribuitogli, nonché il conto bancario su cui versare l’imposta (comma 1°). I soggetti che si avvalgono di questo regime dell’IVA, identificati in Italia, sono dispensati dagli obblighi dei contribuenti di cui al Titolo II del DPR 633/1972 (comma 2°). Questi soggetti non sono obbligati, per esempio e per la legge tributaria italiana, alla fatturazione delle operazioni (mentre lo sono sempre, come abbiamo visto nei due paragrafi precedenti, i prestatori di questi servizi stabiliti o domiciliati o residenti in Italia od in altri paesi della Comunità Europea), alla registrazione delle fatture, alla presentazione della dichiarazione annuale, ecc. (ovviamente, essi possono essere soggetti ad obblighi equivalenti dalle leggi fiscali del paese extra UE in cui possiedono una stabile organizzazione). Si tenga presente che l’operatore stabilito in un paese extra UE ha l’obbligo di identificarsi in un solo Stato membro dell’Unione per poter operare con i clienti – consumatori non professionali domiciliati o residenti in tutto il territorio di essa.
La dichiarazione di identificazione del fornitore di servizi on line deve contenere le seguenti indicazioni (comma 3°):
a) per la persona fisica: il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita ed eventualmente la ditta ed il domicilio fiscale nello Stato non facente parte dell’Unione Europea dove essa è stabilita;
b) per i soggetti diversi dalle persone fisiche: la denominazione, la ragione sociale o la ditta, l’eventuale sede legale o, in mancanza, quella amministrativa (cioè quella dove avviene la fatturazione delle prestazioni di servizi resi on line) nello Stato extracomunitario dove il soggetto è stabilito;
c) l’indirizzo postale, gli indirizzi elettronici, compresi i siti web (il c.d. URL – Uniform Resource Locator: è una sequenza di caratteri che identifica univocamente l’indirizzo di una risorsa in Internet, come un documento o un’immagine);
d) il numero di codice fiscale nel proprio Stato, se previsto;
e) l’attestazione della mancanza della identificazione ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto all’interno dell’UE (per l’Italia e i paesi membri dell’UE lo strumento di identificazione è il numero di Partita IVA o il codice equivalente).
Nel caso di variazione di questi dati i soggetti dichiaranti devono presentare apposita dichiarazione di cambiamento o di cessazione, se non intendono più fornire servizi on line o se perdono i requisiti per usufruire dello speciale regime IVA previsto dall’art. 74 – quinquies del DPR 633/1972 (comma 4°).
I soggetti identificati nel modo di cui ai commi 1° e 3° sono esclusi da questo speciale regime IVA se (comma 5°):
a) comunicano di non fornire più servizi tramite mezzi elettronici (servizi on line);
b) si può desumere in qualche altro modo che tali loro attività siano cessate;
c) non soddisfano più i requisiti necessari per usufruire di questo regime IVA;
d) persistono a non osservare le norme che regolano questo regime IVA, cioè compiono violazioni di esso gravi e ripetute nel tempo.
I soggetti identificati presentano, per ciascun trimestre dell’anno solare, entro il giorno venti del mese successivo a quello in cui termina il trimestre di riferimento ed anche in mancanza di operazioni imponibili (cioè di prestazioni di servizi on line), una dichiarazione dalla quale risultano (comma 6°):
a) il numero di identificazione ai fini dell’IVA;
b) l’ammontare delle prestazioni di servizi elettronici effettuate nel trimestre di riferimento, distinte per ciascuno Stato membro dell’UE di domicilio o di residenza dei clienti, al netto dell’IVA;
c) le aliquote ordinarie dell’IVA applicate in relazione allo Stato membro dell’UE di domicilio o di residenza dei clienti;
d) l’ammontare dell’imposta spettante a ciascuno Stato membro dell’UE citato nella dichiarazione.
Per le prestazioni di servizi on line il cui corrispettivo è fissato in valuta diversa dall’Euro, il prestatore, in sede di redazione di questa dichiarazione IVA, deve utilizzare il tasso di cambio dell’ultimo giorno del trimestre a cui essa si riferisce. Il cambio della valuta deve essere effettuato sulla base dei tassi di cambio pubblicati dalla Banca Centrale Europea (BCE) sul suo sito www.ecb.int per quel giorno o, in caso di mancata pubblicazione, in base ai tassi di cambio del primo giorno successivo di pubblicazione (comma 7°).
Le dichiarazioni previste dai commi 1°, 4° e 6° dell’art. 74 – quinquies sono redatte in conformità ai modelli approvati con provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate (comma 8°) e che sono reperibili sul sito: www.agenziaentrate.it. Tutte le dichiarazioni e le comunicazioni relative a questo regime speciale dell’IVA sono inviate per via telematica alla stessa Agenzia (comma 12°).
I soggetti che presentano questa dichiarazione IVA versano, al momento della presentazione della stessa, l’imposta dovuta e conservano per un periodo di dieci anni, che inizia dalla fine dell’anno di effettuazione delle operazioni imponibili, idonea documentazione delle stesse (almeno ordine e fattura in formato digitale). Tale documentazione deve essere fornita, se richiesta, all’amministrazione finanziaria del Paese di consumo della prestazione e questo anche se il fornitore di servizi on line si è identificato in un altro Stato membro (comma 9°). L’Agenzia delle Entrate apre una contabilità apposita su cui fare affluire i versamenti di questo regime speciale dell’IVA (comma 10°).
I soggetti che applicano questo regime speciale dell’IVA non possono detrarre dall’imposta eventualmente dovuta quella relativa agli acquisti di beni o servizi ed alle importazioni di beni effettuati nel territorio dello Stato membro dell’Unione Europea in cui si sono identificati od in quello di un altro Stato membro dell’Unione, per cui, in questo caso, essi hanno solo il diritto al rimborso dell’imposta da parte dello Stato Italiano mediante richiesta da presentare ai sensi dell’art. 38 – ter del DPR 633/1972, relativo all’esecuzione dei rimborsi dell’IVA ai soggetti (operatori economici professionali) non residenti o non domiciliati nel territorio dello Stato Italiano (comma 11°). Per gli altri Stati membri dell’Unione Europea si applicherà la disciplina equivalente sul rimborso dell’IVA in essi applicabile.
Infine, ricordiamo che nulla cambia per le aliquote dell’Imposta sul Valore Aggiunto che si applicano alle operazioni descritte in questo articolo: il 20% della base imponibile, cioè dell’ammontare complessivo dei corrispettivi contrattualmente dovuti dall’acquirente al venditore del bene od al prestatore del servizio, come aliquota ordinaria, il 10% ed il 4% dello stesso valore per le aliquote ridotte (o agevolate) previste per le cessioni dei beni e per le prestazioni dei servizi elencati, rispettivamente, dalle Parti III e II della Tabella A allegata al DPR 633/1972, secondo quanto previsto dagli artt. 13 e 16 dello stesso DPR.
Visconti Gianfranco
Consulente di Direzione Aziendale
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento