La mediazione quale utile strumento per dirimere le liti tra condomini in casi di violazione del regolamento condominiale
Definizione di regolamento condominiale
Una definizione precisa e univoca di regolamento condominiale non sussiste nel codice civile o in altre leggi speciali, tuttavia l’art 1138 cc stabilisce che: “Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione”.
Il regolamento si potrebbe dunque definire come quell’atto o documento contenente tutte le norme che regolano l’amministrazione del condominio: l’uso delle parti comuni, la ripartizione delle spese tra condomini, oltre che i diritti e gli obblighi tra ciascuno di loro.
Ne consegue la necessità che ogni singolo proprietario conosca il regolamento del condominio e, soprattutto, lo osservi e rispetti per evitare spiacevoli situazioni che possano inficiare il corretto funzionamento dello stesso.
Riferimenti normativi
L’art. 1138 disciplina il regolamento c.d. “assembleare”: la sua adozione risulta essere obbligatoria quando il numero dei condomini sia superiore a dieci e sia adottato dall’assemblea anche su iniziativa di uno solo dei condomini[1]. Per l’approvazione del regolamento occorre una delibera dell’assemblea approvata con la maggioranza stabilita dal comma 2, dell’art. 1136 c.c. [2].
I condomini che siano contrari, o assenti, potranno far valere le loro ragioni attraverso l’applicazione delle regole ordinarie relative all’impugnazione delle delibere assembleari (ex art.1107 c.c.)
Il regolamento, di seguito, sarà inserito nel registro dei verbali e delle assemblee, curato dall’amministratore[3].
Il comma 4, dell’art. 1138, unitamente all’art. 72, disp. att. cc. fissa alcuni limiti precisi che l’assemblea condominiale non può derogare e, nel caso di violazione, prevale comunque la disposizione normativa a scapito di quella regolamentare.
Il regolamento assembleare, in particolare, non può menomare i diritti di ciascun condomino quali risultino dagli atti di acquisto, da altre convenzioni o vietare di possedere animali domestici[4]; inoltre, non può mai derogare alle disposizioni contenute negli artt. 1118, comma 2, 1119, 1120, 1131, 1132, 1136 e 1137 del codice civile, nonché agli artt. 63, 66, 67 e 69 delle disp. att. c.c.
Tipologia
I regolamenti condominiali non sono tutti uguali: la loro rilevanza, infatti, è profondamente diversa se siano approvati nell’ambito dell’assemblea condominiale a maggioranza (ex art. 1138 cc) oppure se sottoscritti o accettati dall’ unanimità dei condomini, come ad esempio quando siano sottoscritti dal costruttore e allegati al rogito.
Quest’ultimo caso è indicato come regolamento cosiddetto “contrattuale”.
La differenza non è di poco conto poiché il codice civile ammette che molte delle norme regolamentanti il condominio possano essere derogate dal regolamento c.d. contrattuale che quindi prevale sulla legge.
In particolare, solo un’apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio può determinare il contenuto
del diritto di proprietà di ciascun condomino, stabilire criteri di ripartizione delle spese diversi da quelli legali (art. 1123, 1° co.), derogare alla disciplina dispositiva in materia di perimento dell’edificio (art. 1128, 1° co.), di sopraelevazione (art. 1127), di parti comuni (artt. 1127 e 1118). Si tratta, evidentemente, di veri e propri contratti/convenzioni che ineriscono all’oggetto o al contenuto del diritto di ciascun condomino, che necessitano di forma scritta (art. 1350) e di essere resi pubblici col mezzo della trascrizione ai fini della opponibilità ai successivi aventi causa (art. 2643).
Giurisprudenza e dottrina utilizzano la locuzione «regolamento di condominio» per riferirsi genericamente a quel testo per poi distinguere le clausole che esprimano una volontà contrattuale e traggano forza vincolante dal consenso unanime dei condomini – c.d. contrattuali – da quelle che manifestino una volontà collegiale e sono modificabili a maggioranza, c.d. regolamentari o assembleari.
La natura di una clausola regolamentare dipenderà, dunque, unicamente dal suo contenuto[5].
Infine, qualora l’assemblea non riesca ad approvare il regolamento, il condominio dovrà ricorrere al giudice affinché provveda a tal fine, fatto salvo quanto espressamente previsto negli artt. 1138 c.c. e 72 disp. att. c.c.
In tale ultimo caso avremo un regolamento cosiddetto giudiziario.
Inosservanza del regolamento condominiale e sanzioni
La cura del rispetto del regolamento di condominio rientra tra i compiti dell’amministratore e qualora questi non provveda, verrà meno al proprio mandato con il rischio di poter essere legittimamente sostituito dall’assemblea.
A monte dell’art. 1130, comma 1, c.c., infatti, l’amministratore deve “(…) curare l’osservanza del regolamento di condominio”, di conseguenza ciascun condominio può esigere che intervenga per reprimere le violazioni del regolamento.
Nel caso in cui comunicazioni verbali e raccomandate non siano sufficienti, l’amministratore potrà infliggere una sanzione economica sino a giungere nei casi più gravi a fare ricorso all’autorità.
Il nuovo art. 70 disp. att. c.c. sancisce espressamente che “Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800 (…)”.
La sanzione condominiale è, dunque, una vera e propria multa che l’amministratore può disporre a carico del condomino responsabile della violazione del regolamento senza necessità di ottenere una preventiva approvazione dell’assemblea.
La giurisprudenza concorda sul punto affermando che “l’amministratore di un condominio non necessita di alcuna previa delibera assembleare per attivarsi al fine di far cessare gli abusi dei singoli condomini (…): egli è già tenuto ex lege (art. 1130, comma 1, c.c.) a curare l’osservanza del regolamento del condominio al fine di tutelare l’interesse generale al decoro, alla tranquillità ed all’abitabilità dell’edificio; rientra altresì nelle sue facoltà, ai sensi dell’art. 70 disp. att. c.c., irrogare sanzioni pecuniarie ai condomini responsabili delle violazioni” ed ancora “essendo tenuto a curare l’osservanza del regolamento di condominio, è legittimato ad agire in giudizio per ottenere la cessazione degli abusi posti in essere da un condomino, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare e, inoltre, ha la facoltà di irrogare a detto condomino una sanzione pecuniaria, qualora ciò sia previsto dal citato regolamento, ai sensi dell’art. 70 disp. att. c.c.[6]”.
Qualora la sanzione non sia efficace o comunque idonea a far cessare le violazioni, l’amministratore, cosi come ogni condomino, potrà agire in giudizio avviando apposita procedura giudiziaria fino ad ottenere una sentenza di condanna.
A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 28/2010,[7] è stato introdotto l’obbligo della mediazione civile e commerciale.
Tra le materie previste sono comprese espressamente quelle condominiali e in particolare tutte le controversie relative al regolamento di condominio (sia esso assembleare, contrattuale che giudiziale).
Pertanto l’amministratore, così come il singolo condomino, prima di ricorrere al Tribunale per far cessare le condotte lesive, dovrà rivolgersi ad un organismo di mediazione territorialmente competente ed avviare una procedura di mediazione, a pena di improcedibilità dell’azione giudiziaria.
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Note
[1] La disposizione normativa va applicata anche in caso di revisione del regolamento esistente.
[2] Art. 1136, comma 2, cc stabilisce che “(…) Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio (…)”.
[3] Cfr. Art. 1130, n. 7, c.c.
[4] Cass. 13 marzo 2013: “..il gatto, come il cane, deve essere considerato come membro della famiglia …”
[5] Cfr. Cass, S.U., 943/1999; Cass. 21287/2004; Cass. 12173/1991.
[6] Cass. civ. Sez. II, 26/06/2006, n. 14735
[7] Modificato dal d.l. n. 69/2013 c.d. “decreto del fare”, convertito con modificazioni nella l. n. 98/2013, per le materie di cui all’art. 5 del d.lgs. cit
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