Il recente Decreto del Presidente della Repubblica n. 184 del 12 aprile 2006, regolamento in materia di accesso ai documenti amministrativi, offre ulteriore spunto per considerazioni intorno ad un istituto procedimentale, introdotto dalla legge generale sul procedimento amministrativo – la ben nota n.241/ 90, così come successivamente modificata e integrata- costituito dal responsabile del procedimento.
La evocazione dell’istituto del responsabile del procedimento compiuta nel D.leg.vo 184/2006 è sintomatica della singolarità dei tratti che caratterizzano la costruzione normativa di tale figura fin dalla disciplina primigenia posta dalla l.241/90.
Infatti il detto Dpr all’art. 6 ( Rubricato “ Procedimento di accesso formale”), comma 6, reca: “ Responsabile del procedimento di accesso è il dirigente, il funzionario preposto all’unità organizzativa o altro dipendente addetto all’unità competente a formare il documento o a tenerlo stabilmente”.
Dalla lettura del testo si ricava che responsabile del procedimento può essere indistintamente un dirigente, un funzionario o altro dipendente, dunque la funzione – recte, potestà amministrativa- di responsabile del procedimento di accesso ai documenti può essere disinvoltamente assegnata e svolta da personale appartenente a tutte le qualifiche che individuano i pubblici dipendenti.
Da qui un immediato duplice ordine di constatazioni.
Da un canto, sotto il versante, come dire, degli effetti sensibili, la norma de qua potrebbe essere vista quale segno ulteriore di un avanzante processo di indistinzione, appiattimento o sublimazione, ergo di confusione, che grava sull’assetto dello stato giuridico dei pubblici dipendenti, segnatamente statali ( si è trascorso da ordinamento per qualifiche funzionali a quello per aree, con riparto di competenze e responsabilità nebuloso, mentre sembra ancora operante la ricerca di definibili, e quindi utili, canoni per fissare la nozione di responsabilità dirigenziale, che allo stato pare vagheggiare intorno alla nozione di principio, che ha molto i sensi di una petizione di genere, della responsabilità gestionale).
D’altro canto, sotto il versante, come dire, degli effetti tecnici, si può accedere ad una lettura della norma che conduce alla individuazione, pur nell’ambito del solo procedimento di accesso agli atti, di una diversa, e graduata, tipologia di procedimenti sicchè se ne impone la assegnazione a personale di varia qualifica ( dal dirigente al “semplice” dipendente).
Chiave di lettura, quest’ultima, che si rileva di indubbio interesse in quanto consentirebbe la configurazione di un principio interpretativo generale ,utile per fronteggiare uno dei “vizi” congeniti della l.241/90.
Infatti quest’ultima presenta, per certi versi, tratti troppo specifici per essere una legge generale ( non si può non avere conto delle differenze ontologiche esistenti tra vari procedimenti, ai quali perciò mal si attagliano alcune delle minuziose puntuazioni di tale legge) e per altri versi ha enunciati troppo generici per essere una norma immediatamente precettiva ( anch’essa deve imbattersi nell’ineludibile limite del principio di legalità; principio immanente con la medesima forza, come dalla prospettazione di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori- Theologia Moralis, lib.I;tract:I; par.25_- in tutte le branche del diritto).
Si vedano nel primo verso, ad es. le disposizioni del capo III, artt.7-8-10 bis, del capo IV, art.14 bis, ter, quater, quinquies, per l’altro verso si vedano le disposizioni del capo I, art.1, del capo III, art.11.
In sostanza, la disposizione dell’art.6. comma 6, D.leg.vo 184/2006 proprio nella misura in cui appare confermare una singolarità non rara nella disciplina normativa (ma non sconosciuta anche nella elaborazione dottrinale e nei dicta giurisprudenziali ) di istituti di diritto amministrativo, vale a dire la considerazione asincrona dei vari elementi – di varia natura giuridica- che concorrono a comporre un istituto ( l’atto amministrativo, il procedimento, l’intestazione e l’esercizio della potestà, la configurazione degli organi e il riparto normativo delle competenze, l’organizzazione degli uffici, l’ordinamento del personale) cosicché ne sortiscono istituti in perenne squilibrio , ex adverso- per la sua particolarità di riferirsi ad una partizione, il diritto di accesso, del più ampio contesto procedimentale amministrativo- nel contempo offre indicazioni per muoversi lungo la strada di una ragionevole reductio ad equitatem .
Ciò premesso mette conto ora di percorrere il dato testuale normativo, così come esposto, in subiecta materia, dalla l.241/90.
L’art.4 di tale legge (rubricato: “Unità organizzativa responsabile del procedimento“), dispone al primo comma : “ Ove non sia già direttamente stabilito per legge o regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l’unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché della adozione del provvedimento finale”.
Dall’esame di questo comma dell’art.4 si rivelano già le prime distonie.
In primo luogo questa norma annette la responsabilità del procedimento ad una unità organizzativa, attingendo quindi all’ambito della organizzazione degli uffici, e traccia poi il quadro normativo di riferimento da osservare nella individuazione di tale unità, costituito, con ordinazione gerarchica, nelle disposizioni di legge o regolamento e in via succedanea in determinazioni della pubblica amministrazione.
Dunque le fonti normative concernenti le determinazione dell’unità organizzativa responsabile del procedimento sono la legge, il regolamento e, in mancanza, determinazioni della pubblica amministrazione, queste ultime proprio perché possono intervenire, ancorché in supplenza, in materia regolabile dalla legge o dal regolamento non possono che riguardare un livello di disciplina della pubblica potestà che si pone su piani assolutamente corrispondenti a quella, in siffatta materia, di competenza della legge o del regolamento .
Pertanto se il legislatore, nell’art. 4. c.1., suddetto, richiama la legge o il regolamento quali fonti titolari di disciplina della materia del responsabile del procedimento, ne discende che l’atto normativo supplente incide su materia di dignità giuridica tale da poter essere disciplinata dai detti atti regolamentari.
Al riguardo va osservato che in materia di organizzazione di pubblici uffici, e nella assegnazione di pubbliche potestà il dettato costituzionale dell’art. 97, impone l’atto normativo legislativo mentre regolamenti, ministeriali ex l.400/1988 (la l.241/90, come da espresso disposto dell’art.29, ha diretta valenza precettiva nei confronti delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali , e ha carattere di principio generale- ad eccezione delle disposizioni in tema di giustizia amministrativa – nei riguardi delle regioni e degli enti locali) possono individuare articolazioni di uffici e conseguenti attribuzioni di responsabilità, materie tra cui agevolmente è collocabile quella concernente la responsabilità del procedimento.
Pertanto le determinazioni della pubblica amministrazione a cui fa riferimento l’art.4 suddetto non potrebbero che avere carattere di regolamento.
Ipotizzare altra tipologia di atto- come il dato testuale del comma 1 dell’art. 4 della l.241/90 riporta- significherebbe o dequotare – non si trascuri che il grado della fonte normativa è, ancorché relativamente all’oggetto della disciplina, pur sempre grado di garanzia per i destinatari – la materia della responsabilità del procedimento o attribuire sostanzialmente una forza normativa esterna ad atti della p.a. privi di tale proiezione normativa esterna.
La situazione però si complica con le disposizioni del successivo art.5 della legge 241/90 ( rubricato: “ Responsabile del procedimento “)
Tale norma al comma 1 dispone: “ Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità dell’istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché eventualmente dell’adozione del provvedimento finale “
Dunque in primo luogo con questa norma la nozione di responsabilità del procedimento trascorre da una connotazione di carattere oggettivo – l’articolo precedente la annetteva ad una unità organizzativa- ad una di carattere soggettivo, si parla di singola persona fisica responsabile .
Altresì, in mancanza di legge o di regolamento già esistente alla data di entrata in vigore della l.241/90, la stessa potestà normativa può essere esercitata da un dirigente che con atto meramente interno (ordine di servizio o nota o altro) intesta a sè stesso o ad altro dipendente ( meglio ad altro, meglio ad altro, avrebbe detto un personaggio di una nota commedia di Eduardo) la responsabilità dell’istruttoria, di ogni altro adempimento inerente il singolo provvedimento nonché, “eventualmente”, dell’adozione del provvedimento finale.
Cioè il dirigente dell’unità organizzativa ( che già di per se è nozione di tutta genericità) può, sine freno, intestare responsabilità istruttoria (che implica secondo l’insegnamento di Illustri Autori, la valutazione comparata e ponderata degli interessi che si agitano nel procedimento ) o qualsivoglia altro – quindi diverso dalla istruttoria- adempimento inerente il singolo procedimento (dovrebbe trattarsi di attività complementari, fotocopie, mera redazione, fascicolazione ed altro) o l’adozione del provvedimento “finale” a quivis de populo del pubblico impiego.
E’ del tutto evidente la sfasatura di questa disposizione.
La responsabilità dell’istruttoria – di cui beninteso possono nei fatti individuarsene varie nozioni di diversa ampiezza, come si vedrà più avanti- non può essere dimessa dal dirigente se una disposizione di legge o di regolamento gli intesta la competenza ad adottare un atto in quanto ciò è sempre esercizio di pubblica potestà ed in quanto tale soggiace a criteri di riparto che sono appunto dettati da legge o regolamento.
Ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento per la natura accessoria che sembra ricavarsi dal termine “ altro” , sembra del tutto pleonastico che possa, anzi debba, essere assegnato dal dirigente ad altro dipendente.
L’adozione del provvedimento finale ( precisando che, secondo un’accezione tecnica, un provvedimento finale può riscontrarsi solo nel caso di procedimenti collegati ) non può essere assegnata dal dirigente – altro è ovviamente il caso di delega di firma – a dipendenti che non siano previsti espressamente dalla normativa che prevede siffatta adozione, per cui “l’eventualmente” di cui si legge nella legge de qua è solo legato alle disposizioni della norma.
Con il disposto dell’art.6 della l.241/90 (rubricato: “ Compiti del responsabile del procedimento” ) si producono ulteriori elementi di complicazione.
L’unico comma del detto articolo così espone i compiti del responsabile del procedimento.
a-valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento;
b- accerta d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria.In particolare può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;
c- propone l’indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di cui all’art.14;
d-cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;
e-adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione.L’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.
Dall’esame dei compiti enumerati dall’art.6 pertanto si rileva che il responsabile del procedimento può avere una varia ed ampia gamma di competenze che richiedono adempimenti non solo collocabili in diverse fasi del procedimento ma anche connotati da diversa natura giuridica.
Infatti nella lettera ‘ a ‘ dell’art. de quo è stabilito che il responsabile del procedimento valuta, ai fini istruttori, condizioni, requisiti e presupposti.
Ebbene se per i requisiti di legittimazione e i presupposti rilevanti per l’emanazione di provvedimenti non paiono sussistere motivi di particolare dubbio, trattandosi di verificare la mera riconducibilità delle situazioni di fatto in esame a quelle previste dalla norma, legislativa o regolamentare , altro va osservato per la valutazione delle condizioni di ammissibilità.
Adempimento quest’ultimo che non pare possa sottrarsi a possibilità di valutazioni discrezionali circa la adottabilità di atti amministrativi, il che sostanzialmente si traduce nella adozione di un atto amministrativo.
Alla lettera ‘ b ‘ è detto che il responsabile del procedimento : accerta d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari; adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria.
Ed inoltre, specifica la norma de qua, può: chiedere il rilascio di dichiarazioni o la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete; esperire accertamenti tecnici e ispezioni; ordinare esibizioni documentali.
Anche l’esame di quanto sopra esposto induce a dubbiose considerazioni generate dallo spettro delle competenze assegnate al responsabile del procedimento che è, anche qui, quantomai ampio e caratterizzato anche dalla rilevanza giuridica delle attribuzioni.
Infatti la possibilità per il responsabile del procedimento di accertare d’ufficio fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, implica evidentemente una potestà non solo di determinazione in ordine alla individuazione dei fatti rilevanti
(per una fase procedimentale o per il provvedimento c.d. finale) ma anche una potestà di disposizione di risorse umane (oltre che strumentali) così da poter ottenere il compimento degli atti “all’uopo necessari”.
La possibilità di adottare ogni misura volta all’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria, è suscettibile di una duplice configurazione, in un senso, come misura relativa alla attività propria del singolo responsabile del procedimento (che si concreterebbero nella miglior cura delle sue incombenze), in altro senso come predisposizione di misure organizzative e procedimentali, volte al di là della sfera giuridica del singolo responsabile, che si appalesano utili ai fini dell’istruttoria.
E’ evidente che per questa seconda configurazione valgono le considerazioni espresse sopra, per l’accertamento d’ufficio di fatti, vale a dire il responsabile deve avere munus tale che gli consenta di dare corso agli aggiustamenti sullo svolgersi procedimentale nonché su assetti organizzativi.
Considerazioni non dissimili sono da farsi anche per le specifiche possibilità di chiedere dichiarazioni o rettifica di dichiarazioni o di istanze erronee ed incomplete; infatti, altro è la rettifica che sembra solo un atto di regolarizzazione (nell’ottica dell’economia procedimentale) di un adempimento richiesto (normativamente) ad una delle parti di un procedimento; altro il richiedere, motu proprio, di rilasciare dichiarazioni il che implica esercizio di discrezionalità sulla utilità delle stesse.
Analogamente è a dirsi per l’esperimento di accertamenti tecnici, ispezioni ed ordini di esibizione documentale.
Emerge quindi dal complesso delle disposizioni della lettera ‘ b ‘ dell’art.6, che generalmente il responsabile del procedimento deve essere munito di potestà discrezionali e potestà organizzative.
I disposti delle lettere ‘ c ‘ ed ‘ d ‘ si muovono in direzione opposta.
Infatti in base alla lettera ‘ c ‘ il responsabile del procedimento propone l’indizione di conferenze di servizi, oppure – la norma, attentamente, precisa: “avendone le competenze”,- indice le dette conferenze” ; nella lettera ‘ d ‘ poi è fatto riferimento alla cura di comunicazioni, pubblicazioni e notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti.
Quindi nel primo comma ( lett. C ) il responsabile del procedimento – salvo espressa attribuzione di più ampia competenza – propone solo un adempimento procedimentale; nel secondo caso ( lett. D ) è chiamato a svolgere attività che non richiedono alcuna potestà discrezionale ( anche se occorrerebbero anche in questo ambito potestà organizzative).
Infine la lettera ‘ e ‘ dell’art. de quo, stabilisce che il responsabile del procedimento adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione.
Nel secondo periodo che compone la lettera ‘ e ‘ è poi previsto che l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.
Dunque responsabile del procedimento può essere sia un pubblico impiegato competente ad adottare provvedimenti (finali e non) sia un pubblico impiegato privo di questa competenza.
Al riguardo va subito osservato che la competenza ad adottare il provvedimento finale intesta responsabilità derivanti da eventuali profili viziosi del provvedimento stesso, per cui non sembra assumibile che il responsabile del provvedimento finale non abbia “ il governo “ del procedimento, massime nella parte in cui siano implicate valutazioni discrezionali che non possono non incidere sulla portata complessiva del provvedimento finale.
Ed in particolare proprio dalla disposizione del secondo periodo della lettera ‘ e ‘ aumentano le perplessità, nel senso che vincola l’organo competente all’adozione del provvedimento finale alle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento salvo motivazione espressa in senso diverso.
Ebbene se la responsabilità del procedimento riguarda anche l’esercizio di potestà discrezionali si avrebbe che l’organo competente dopo l’istruttoria potrebbe determinarsi in senso divergente da quanto emerso ( o fatto emergere dal responsabile del procedimento secondo la sua valutazione discrezionale di atti, fatti e la sua comparazione di interessi) nella medesima, indicandone espressamente i motivi nel provvedimento, vale adire esponendo i motivi di confutazione delle conclusioni, di espressione discrezionale, della istruttoria, id est a ripercorre gli elementi di tale valutazione ergo a ripetere l’istruttoria.
Per cui si avrebbe una contradictio in adiectis con le stesse disposizioni dell’art. 1 della l.241/90 in tema di principio di economicità del procedimento.
Dal capo II della l.241/90 in tema di responsabile del procedimento, emerge quindi un quadro a tinte confuse.
La responsabilità del procedimento dapprima è riferita ad una articolazione oggettiva della organizzazione degli uffici, dopodichè è traslata su di un singolo impiegato, peraltro individuabile con un atto di mera disposizione interna, indipendentemente da qualifiche professionali , organizzazione del lavoro, organizzazione degli uffici.
Impiegato che può essere o meno responsabile dell’adozione del provvedimento finale, e che si vede dalla legge, l’art. 6 sopra menzionato, assegnata una serie di compiti che possono ben essere rispetto allo status a cui l’impiegato appartiene, affatto ultra vires.
Cosicché, dal testuale dettato normativo, sortisce una figura ibrida che nei fatti indulge sovente ad assumere l’ abusata morfologia del c.d. capro espiatorio.
Tanto considerato pare di poter sostenere che una simile configurazione configge, in primo luogo, con il principio generale della legalità sostanziale a cui devono conformarsi gli istituti che comunque intestano responsabilità
Ciò ancor più se si considera che la nozione di responsabilità del procedimento rispetto alle configurazioni emerse agli albori della l.241/90, ha successivamente mutato nettamente i suoi tratti
Infatti inizialmente fu ritenuta- secondo alcune illuminate interpretazioni- concettualmente sganciata dalla mera intestazione di una legittimazione passiva, tout court, per gli effetti pregiudizievoli dell’atto esitato dal procedimento ( tipologia di responsabilità quest’ultima evidentemente già configurata antea l.241/90) per essere bensì individuata nella esposizione di una chiara visibilità ( “fisica” ) nei confronti dell’utenza dell’appartenente alla pubblica amministrazione che curava il procedimento e che quindi ne costituiva punto di riferimento.
Da questa accezione iniziale la responsabilità del procedimento si è spostata verso una nozione di responsabilità quale legittimazione passiva di cui sopra, non senza evitare, come avanti detto, di una attribuzione generica, “oggettiva”, di “colpe”.
Allora si impone una interpretazione delle disposizioni riservate dal capo II della l.241/90 al responsabile del procedimento che sia in sintonia con i principi del giusto procedimento che non sono parametro solo per l’aspetto procedimentale esterno ma anche interno.
In questo senso utili indicazioni possono trarsi proprio dalle disposizioni dell’art. 6, comma 6, del DPR 184/2006, regolamento in materia di accesso ai documenti amministrativi nella misura in cui ha posto una disciplina propria per il procedimento di accesso.
Il che può essere letto come una ulteriore ( vi sono già discipline particolari della responsabilità del procedimento, ad esempio nell’ambito del lavori pubblici) presa di coscienza normativa, nel caso specifico di particolare rilevanza in quanto “rafforzata”, dall’aver avuto il diritto di accesso consacrazione proprio nella l.241/90, della insufficienza di una disciplina generale della responsabilità del procedimento e di converso della correttezza giuridica di addivenire a configurazioni di siffatta responsabilità in maniera diversificata a seconda dei procedimenti e in assoluta armonia con gli istituti in materia di organizzazione degli uffici, del personale, della tipologia procedimentale e provvedimentale.
Sicchè si determinano, ineluttabilmente, ma in guisa procedimentale più “giusta”, diverse cognizioni della responsabilità del procedimento che siano ispirate dalla necessità di correlare la medesima al grado di munus che la norma specificamente, in ossequio al principio di legalità, assegna ad un determinato dipendente nell’ambito della unità organizzativa nella quale è collocato.
All’uopo le indicazioni del Capo II della l.241/90 non possono che avere carattere solo indicativo e complementare.
Dott.Giuseppe Lodato
e-mail gennaro.lodato@aliceposta.it
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