Avv. Maurizio Villani, Avv. Federica Attanasi
Il reverse charge (c.d. “inversione contabile”) è un particolare metodo di applicazione dell’IVA che consente di effettuare l’inversione contabile della suddetta imposta direttamente sul destinatario della cessione del bene o della prestazione di servizio, anziché sul cedente. Solitamente, in una transazione tra due soggetti ai fini IVA il fornitore applica l’aliquota in fattura addebitandone il pagamento al cliente e successivamente contribuendo la somma allo Stato. Tuttavia, questo procedimento lascia spazio e possibilità ad evasione fiscale da parte dei soggetti commissionati che trattengono l’ammontare dell’imposta. Quindi, di regola, è il cedente/prestatore a emettere la fattura e ad addebitare l’Iva, ma tanto non avviene nelle speciali ipotesi di reverse charge ove è il cessionario/utilizzatore del servizio a dover emettere un’autofattura da registrare sia nel registro Iva delle fatture emesse, che in quello degli acquisti. In buona sostanza, l’inversione contabile è una deviazione alla normale contribuzione dell’IVA e prevede che sia il committente del servizio a pagare direttamente l’IVA in luogo del fornitore. L’effetto fondamentale del reverse charge è, dunque, lo spostamento del carico tributario IVA dal venditore all’acquirente, con conseguente pagamento dell’imposta da parte di quest’ultimo: l’onere IVA si sposta, pertanto, dal cedente al cessionario nel caso di cessione di beni e dal prestatore al committente nel caso di prestazioni di servizi. Il reverse charge permette, quindi, di far ricadere gli obblighi IVA sul destinatario della cessione o della prestazione, qualora sia soggetto passivo nel territorio dello Stato. Per applicarlo è necessario, infatti, che entrambe le parti siano soggetti passivi Iva di imposta e che il destinatario del bene risieda nel territorio dello Stato. Ciò posto, l’obiettivo del presente elaborato è quello di enucleare tutti i riferimenti normativi, gli aspetti sanzionatori e gli approdi giurisprudenziali che hanno caratterizzato negli ultimi anni il meccanismo della c.d. “inversione contabile”.
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Indice
- 1. Disciplina giuridica del Reverse charge
- 1.1. Modalità di emissione
- 1.2. Il reverse charge e la fatturazione elettronica
- 1.3. Casi di applicazione
- 1.4 Finalità
- 2. Il reverse charge e le pronunce della Corte di Giustizia europea
- 3. La giurisprudenza della Corte di Cassazione
- 4. Aspetti sanzionatori
- Il d.l. n. 119/2018 (convertito in legge, con modifiche, dalla l. 17.12.2018, n. 136) e le novità in materia di reverse charge
- 6. ll d.l. n. 124/2019 (in fase di conversione) e le novità in materia di reverse charge
- 7. Sentenza della CTP di Lecce, n. 2402/17
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1. Disciplina giuridica del Reverse charge
Ai fini Iva, il principio di carattere generale in ordine alle cessioni di beni e/o prestazioni di servizi imponibili in regime interno è che debitore d’imposta è colui il quale, nell’esercizio di impresa, arti o professioni, effettua operazioni rilevanti nel territorio dello Stato. Ciò in linea con quanto stabilito dall’art. 17, comma 1, Dpr n. 633/1972, nonché dalla direttiva n. 2006/112/Ce. In deroga, tuttavia, a detto principio, per alcune operazioni è previsto che debitore d’imposta sia il soggetto passivo nei confronti del quale tali operazioni vengono effettuate, attraverso il metodo dell’inversione contabile Iva (reverse charge o comunemente conosciuto anche come “tax shift” o “self-assessment”). In particolare, come già rilevato in premessa, il regime del reverse charge si applica alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, compresi gli enti pubblici e privati, i consorzi e le associazioni, anche quando agiscono al di fuori delle attività commerciali o agricole. Il sistema del reverse charge si applica anche alle cessioni imponibili di oro da investimento, agli acquisti di gas naturale mediante rete di distribuzione e di energia elettrica. La norma di riferimento è l’art. 17, commi 5, 6, 7, 8 e 9, D.P.R. n. 633/1972, rubricato “debitore di imposta” (c.d. «decreto IVA»), che testualmente dispone:
- <<5. In deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l’annotazione “inversione contabile” e l’eventuale indicazione della norma di cui al presente comma deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all’articolo 25.
- 6. Le disposizioni di cui al quinto comma si applicano anche: a) alle prestazioni di servizi diversi da quelli di cui alla lettera a-ter), compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore. La disposizione non si applica alle prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori. a-bis) alle cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato di cui ai numeri 8 -bis) e 8 -ter) del primo comma dell’articolo 10 per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione; a-ter) alle prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici; a-quater) alle prestazioni di servizi rese dalle imprese consorziate nei confronti del consorzio di appartenenza che, ai sensi delle lettere b), c) ed e) del comma 1 dell’articolo 34 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, si è reso aggiudicatario di una commessa nei confronti di un ente pubblico al quale il predetto consorzio è tenuto ad emettere fattura ai sensi del comma 1 dell’articolo 17-ter del presente decreto. L’efficacia della disposizione di cui al periodo precedente è subordinata al rilascio, da parte del Consiglio dell’Unione europea, dell’autorizzazione di una misura di deroga ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, e successive modificazioni. a-quinquies) alle prestazioni di servizi, diversi da quelle di cui alle lettere da a) ad a-quater), effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma. La disposizione di cui precedente periodo non si applica alle operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e società di cui all’articolo 17-ter e alle agenzie per il lavoro disciplinate dal Capo I del Titolo II del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;[1] b) alle cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative di cui all’articolo 21 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641come sostituita, da ultimo, dal decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 303 del 30 dicembre 1995; c) alle cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale; [d) alle cessioni di materiali e prodotti lapidei, direttamente provenienti da cave e miniere.][2] d-bis) ai trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra definite all’articolo 3 della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, e successive modificazioni, trasferibili ai sensi dell’articolo 12 della medesima direttiva 2003/87/CE, e successive modificazioni; d-ter) ai trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla citata direttiva 2003/87/CE e di certificati relativi al gas e all’energia elettrica; d-quater) alle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo-rivenditore ai sensi dell’articolo 7-bis, comma 3, lettera a); [d-quinquies) alle cessioni di beni effettuate nei confronti degli ipermercati (codice attività 47.11.1), supermercati (codice attività 47.11.2) e discount alimentari (codice attività 47.11.3);][3]
- 7. Le disposizioni del quinto comma si applicano alle ulteriori operazioni individuate dal Ministro dell’economia e delle finanze, con propri decreti, in base agli articoli 199 e 199-bis della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, nonché in base alla misura speciale del meccanismo di reazione rapida di cui all’articolo 199-ter della stessa direttiva, ovvero individuate con decreto emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nei casi, diversi da quelli precedentemente indicati, in cui necessita il rilascio di una misura speciale di deroga ai sensi dell’articolo 395 della citata direttiva 2006/112/CE.
- 8. Le disposizioni di cui al sesto comma, lettere b), c), d – bis), d-ter) e d-quater), del presente articolo si applicano alle operazioni effettuate fino al 30 giugno 2022[4].
- 9. Le pubbliche amministrazioni forniscono in tempo utile, su richiesta dell’amministrazione competente, gli elementi utili ai fini della predisposizione delle richieste delle misure speciali di deroga di cui all’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE, anche in applicazione del meccanismo di reazione rapida di cui all’articolo 199-ter della stessa direttiva, nonché ai fini degli adempimenti informativi da rendere obbligatoriamente nei confronti delle istituzioni europee ai sensi dell’articolo 199 -bis della direttiva 2006/112/CE.>>
Ebbene, analizzando la suddetta norma emerge come la stessa abbia introdotto il meccanismo dell’inversione contabile, in forza del quale gli obblighi relativi al versamento dell’Iva devono essere adempiuti dal soggetto che ha ricevuto la prestazione e non da colui che l’ha eseguita, in deroga alla procedura ordinaria di applicazione dell’imposta medesima. In termini pratici, il reverse charge IVA rappresenta quel meccanismo tecnico contabile per effetto del quale:
- il venditore emette fattura senza addebitare l’imposta (come normalmente dovrebbe fare);
- l’acquirente integra la fattura ricevuta con l’aliquota di riferimento per il tipo di operazione fatturata e, allo stesso tempo, procede con la duplice annotazione nel registro acquisti (fatture di acquisto) e nel registro vendite (fatture emesse).
Vi sono anche altri riferimenti normativi relativi al reverse charge IVA che di seguito vengono sintetizzati:
- 6, co.9-bis, Decreto legislativo18 dicembre 1997, n. 471;
- Legge 296/2006 (Legge Finanziaria 2007);
- circolare Agenzia delle Entrate numero 59/E del 23 dicembre 2010;
- Legge 190/2014 (Legge di Stabilità 2015) che ha ampliato l’ambito di applicazione del reverse charge IVA al settore edilizia;
- circolare dell’Agenzia delle Entrate numero 14/E del 27 marzo 2015che ha chiarito diversi punti in materia di estensione del reverse charge IVA a nuove fattispecie del settore edilizia ed energia;
- circolare Agenzia delle Entrate numero 37/E del 22 dicembre 2015con le domande più frequenti delle associazioni professionali in materia di reverse charge IVA nel settore edilizia;
- Decreto Legislativo numero 24/2016 sul reverse charge IVA in materia di console da gioco, tablet, Pc e laptop (decreto che ha recepito le direttive europee numero 2013/42/UE e 2013/43/UE);
- Decreto Legge n.119/2018 (convertito in legge, con modifiche, dalla L. 17.12.2018, n. 136);
- Decreto legge del 26 ottobre 2019, n. 124 (in Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana del 26 ottobre 2019, n. 252), in fase di conversione.
1.1. Modalità di emissione
Il reverse charge inteso come inversione dell’onere tributario, utilizzato principalmente al fine di contrastare le frodi Iva in particolari settori, è, dal punto di vista operativo, a sua volta ripartibile in due filoni: a) quello che prevede l’emissione di una autofattura da parte del committente/cessionario e doppia annotazione della medesima nel registro delle fatture/corrispettivi e nel registro degli acquisti; b) quello che richiede la ricezione della fattura del fornitore senza Iva e la successiva integrazione di quest’ultima, da parte del committente/cessionario, con l’imposta e la doppia annotazione della medesima nel registro delle fatture/corrispettivi e in quello degli acquisti. Nella prima ipotesi, l’acquirente emette un documento ad hoc (c.d. “autofattura”) in sostituzione di colui che sarebbe chiamato a emettere fattura. Nel secondo caso, invece, di integrazione della fattura del fornitore, il comportamento posto in essere dall’acquirente è soltanto quello di integrare un documento già esistente, aggiungendo l’Iva secondo l’aliquota di appartenenza. Ecco che avviene il rovesciamento dei ruoli, perché chi acquista un bene o servizio diventa automaticamente e obbligatoriamente soggetto passivo dell’imposta. Orbene, sia l’autofattura che il documento ricevuto dal fornitore debitamente integrato devono poi essere annotati dal cessionario o committente sul registro delle fatture emesse o in quello dei corrispettivi di cui rispettivamente agli artt. 23 e 24 del Dpr n. 633 del 1972. La stessa fattura dovrà, poi, essere annotata, ai fini della detrazione, nel registro degli acquisti di cui all’art. 25 del citato decreto Iva. Attraverso la doppia registrazione (Iva acquisti e Iva vendite), l’Iva non viene materialmente versata dal cessionario o committente e l’operazione viene resa completamente neutra dal punto di vista contabile. L’annotazione della fattura sia sul registro degli acquisti che su quello delle fatture o dei corrispettivi consente, infatti, di neutralizzare sul piano contabile l’operazione senza che vi sia l’effettivo esborso dell’imposta. Di fatto, attraverso la doppia annotazione a debito e a credito, l’Iva non viene corrisposta materialmente all’Erario dal cessionario o committente, rimanendo così assicurata la neutralità dell’operazione per i medesimi soggetti, salvo che sussistano limiti alla detrazione dell’imposta. Naturalmente, l’operazione viene neutralizzata dal punto di vista contabile a patto che in capo al cessionario/committente non vi siano limiti alla detrazione (es. banche, medici, ecc.). Tale doppia registrazione dovrà, ovviamente, trovare riscontro successivamente anche in sede di dichiarazione Iva annuale (quadri VJ e VF). Pertanto, come inequivocabilmente sancito dalla norma in commento, per osservare gli obblighi contabili invertiti (e quindi per applicare il meccanismo del reverse charge), è necessario che:
- il cedente indichi in fattura l’annotazione «inversione contabile» e la norma in virtù della quale si applica il reverse charge;
- e che il cessionario/acquirente, emetta autofattura (o al momento della ricezione della fattura da parte del venditore) la integri obbligatoriamente con l’applicazione dell’aliquota IVA prevista. Non è tutto, in quanto l’acquirente ha l’ulteriore obbligo contabile di annotare la fattura di acquisto in 2 registri IVA: nel registro IVA vendite e, ai fini della detrazione, nel registro IVA acquisti. Per applicare il reverse charge, quindi, il cliente effettua la c.d. doppia annotazioneai fini IVA.[5]
Inoltre, come già rilevato e sancito dall’art. 17, co.5 cit., l’annotazione nei registri IVA dev’essere assolta entro un preciso arco temporale, vale a dire, entro “(…) il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese.”[6]
FATTURE E REGISTRAZIONE CONTABILE CON IL REVERSE CHARGE Sul piano pratico l’uso del reverse charge prescrive che chi emette la fattura non deve applicare l’aliquota relativa alla transazione, ma deve riportare la dicitura “inversione contabile”. Chi riceve il documento fiscale, invece, deve integrarlo con l’ammontare IVA e conservarlo sia nel registro IVA delle fatture create che in quello degli acquisti così che l’operazione risulti neutra.
1.2. Il reverse charge e la fatturazione elettronica
Con specifico riferimento alle regole del reverse charge nell’ambito della fatturazione elettronica, le stesse devono essere analizzate considerando le due diverse fattispecie:
- reverse charge esterno, per le operazioni di acquisto di beni da operatori residenti in Paesi intra UE o di prestazioni di servizi ricevute da soggetti residenti in Paesi extracomunitari;
- reverse charge interno, per le operazioni di acquisto da soggetti passivi IVA residenti in Italia per i quali si applica la particolare disciplina di deroga in materia di imposta prevista dagli articoli 17 e 74 del Decreto IVA.
È stata l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 14/E del 2019 e con la FAQ n. 36 (del 27 novembre 2018, poi aggiornata il 19 luglio 2019) a illustrarne le regole, punto per punto, sulla fatturazione elettronica. Ebbene, per quanto riguarda gli acquisti intracomunitari e per gli acquisti di servizi extracomunitari, non sussiste l’obbligo di fatturazione elettronica, bensì quello di trasmissione del cosiddetto esterometro mensile. Per quanto riguarda, invece, l’obbligo di fatturazione elettronica e le operazioni in reverse charge per acquisti interni, l’invio è facoltativo e non esiste alcun obbligo di inviare l’autofattura al Sistema di Interscambio (c.d. Sdi). L’Agenzia delle Entrate ha, infatti, specificato che per gli acquisti interni, per i quali l’operatore IVA italiano riceve una fattura elettronica riportante la natura “N6” in quanto l’operazione è effettuata in regime di inversione contabile, l’adempimento contabile previsto dalle disposizioni normative in vigore prevede una “integrazione” della fattura ricevuta con l’aliquota e l’imposta dovuta e la conseguente registrazione della stessa ai sensi degli articoli 23 e 25 del D.P.R. n. 633/72. Inoltre, i contribuenti che ricevono le fatture senza addebito dell’IVA, a seguito dell’applicazione del reverse charge “interno”, non sono obbligati a generare un altro documento in formato digitale per integrare la fattura. Tale soluzione si desume dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 14/E del 2019. Le indicazioni non sono, però, chiare e allora la possibilità di integrare manualmente il documento elettronico, dopo aver effettuato la materializzazione dello stesso, si desume da una delle FAQ pubblicate da Assosoftware. Il problema che si pone riguarda, però, le modalità di integrazione; infatti, trattandosi di un documento emesso in formato digitale e, conseguentemente, non modificabile, si pone il problema di come procedere all’indicazione dei predetti dati. La cosiddetta autofattura, invece, contenente l’identificativo IVA dell’operatore che effettua l’integrazione sia nel campo del cedente/prestatore che in quello del cessionario/committente, può essere inviata al Sistema di Interscambio. Si tratta quindi di una facoltà e non di un obbligo. Inoltre, si ricorda che non vi è alcun obbligo di invio del documento cosiddetto “autofattura” al cedente/prestatore. Riepilogando, oggi possiamo riassumere la gestione delle varie casistiche da reverse charge interno e internazionale come segue:
- per il reverse charge interno, viene consentita l’integrazione su carta senza invio al Sdi;
- allo stesso modo ci si comporta per il reverse charge intracomunitario, salvo ovviamente l’obbligo di procedere all’indicazione della fattura dell’esterometro;
- infine, nel caso di reverse charge per acquisti territoriali da extra UE va emessa autofattura art. 17, co. 2 e sarà anche in questo caso necessario procedere con lo spesometro, ma con facoltà (riconosciuta nella circolare AdE 14/E/20191 e 6.4) di emettere autofattura elettronica in self billing (ossia compilando la sezione “dati del cedente/prestatore” con l’identificativo del fornitore extra UE e quelli della sezione “dati del cessionario/committente” con i propri oltre a compilare anche al sezione “soggetto emittente” con il valore CC) rendendo così superfluo detto spesometro; in tal caso va però prestata attenzione alla tempistica molto stringente entro cui l’autofattura va emessa ai sensi dell’art. 21 (ad esempio entro il 15 del mese successivo a quello dell’ultimazione per i servizi generali, ma i tempi potrebbero essere ancora più stringenti per altre operazioni)[7].
1.3. Casi di applicazione
L’art. 17, D.P.R. n. 633/1972, chiarisce inequivocabilmente che il reverse charge è applicabile alle seguenti operazioni:
- cessioni imponibili di oro da investimento;
- cessioni di materiale d’oro e cessioni di prodotti semilavorati di purezza pari o superiori a 325 millesimi;
- prestazioni di servizi, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore;
- nel settore edile, è obbligatorio ricorrere all’inversione contabile per servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relativi ad edifici;
- vendite di fabbricati o di porzioni di fabbricato di cui ai numeri 8-bis) e 8-ter) del primo comma dell’articolo 10 per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;
- alle prestazioni di servizi rese dalle imprese consorziate nei confronti del consorzio di appartenenza che, ai sensi delle lettere b), c) ed e) del comma 1 dell’articolo 34 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, si è reso aggiudicatario di una commessa nei confronti di un ente pubblico al quale il predetto consorzio è tenuto ad emettere fattura ai sensi del comma 1 dell’articolo 17-ter del presente decreto. L’efficacia della disposizione di cui al periodo precedente è subordinata al rilascio, da parte del Consiglio dell’Unione europea, dell’autorizzazione di una misura di deroga ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, e successive modificazioni;
- cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative di cui all’articolo 21 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, come sostituita, da ultimo, dal decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1995, nonché dei loro componenti ed accessori;
- microprocessori per computer e server;
- rottami, cascami e avanzi di metalli ferrosi ecc.;
- trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra;
- trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla direttiva 2003/87/CE e di certificati relativi al gas e all’energia elettrica;
- cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo rivenditore;
- cessioni di bancali in legno (pallet) recuperati ai cicli di utilizzo successivi al primo.
I SETTORI INTERESSATI SONO, quindi, quelli: –dell’edilizia; –dei prodotti elettronici (ceduti nella fase distributiva che precede il dettaglio); –dell’oro; –dei rottami; –del gas – energia (escluso gpl); –dei consorzi (subordinati ad autorizzazione Ue)
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1.4 Finalità
Il reverse charge è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 7/2000, in attuazione di quanto disposto dalla direttiva 98/80/Ce, concernente il regime Iva applicabile all’oro. Nello specifico, tale legge, che ha modificato il Dpr n. 633/1972 introducendo il comma 5 dell’art. 17 del citato decreto Iva, ha previsto l’applicazione del metodo dell’inversione contabile alle cessioni di oro industriale e, nel caso di opzione per il regime d’imponibilità, a quelle di oro da investimento effettuate da soggetti che producono oro da investimento. Già con la menzionata dir. 98/80/Ce è stata sottolineata l’utilità del meccanismo del reverse charge ai fini della prevenzione delle frodi fiscali e, di fatto, nell’ambito delle operazioni nazionali, il meccanismo del reverse charge viene tuttora utilizzato come strumento di contrasto alle frodi. Ciò, in quanto attraverso il suo utilizzo l’Iva relativa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi effettuata non viene materialmente versata dall’acquirente e l’operazione viene, quindi, resa completamente neutra dal punto di vista contabile. In questi anni è stata adottata un’applicazione selettiva dell’inversione contabile, diretta a colpire solo i settori dove si annidano i fenomeni evasivi, senza penalizzare la generalità delle imprese attraverso un appesantimento degli oneri amministrativi. Pertanto, il meccanismo di inversione contabile dell’IVA è nato come strumento finalizzato alla lotta contro le frodi Iva in modo da impedire che chi effettua la cessione di un bene e chi lo acquista, non versi l’imposta di valore aggiunto o ne chieda il rimborso all’Erario. Infatti, trasferendo il compito dell’assoluzione del pagamento dell’Iva sul destinatario, l’Erario ha una maggiore possibilità di controllo sugli adempimenti. Invero, senza il reverse charge il fornitore o venditore avrebbe emesso una fattura con IVA che sarebbe stata versata dall’acquirente al fornitore; quest’ultimo (si spera) l’avrebbe, poi, versata allo Stato, mentre l’acquirente l’avrebbe portata in detrazione. Applicando il reverse charge, invece, entrambe queste operazioni vengono effettuate dall’acquirente. Il reverse charge è nato, quindi, come un meccanismo contabile e fiscale la cui finalità è proprio quella di eliminare l’evasione dell’IVA, evitando che l’acquirente detragga tale imposta anche in mancanza di versamento da parte del fornitore. Nei rapporti intracomunitari, invece, lo scopo della diffusione di questo sistema è stato quello di evitare la detrazione di Iva applicata da fornitori esteri e incassata, quindi, da Stati esteri: in questo caso, infatti, la gestione delle detrazioni Iva transnazionali richiederebbe una stanza di compensazione comunitaria, che non è stata mai realizzata.
2. Il reverse charge e le pronunce della Corte di Giustizia europea
Nel contesto del regime dell’inversione contabile, un principio ormai consolidato è quello sulla scorta del quale il diritto alla detrazione che assicura la neutralità fiscale dall’imposta, deve essere accordato ove ne siano rispettati i requisiti sostanziali e ove – anche – taluni obblighi formali siano stati violati, salvo che da ciò consegua l’effetto d’impedire la prova dell’adempimento dei requisiti sostanziali (Cassazione 4612/2016). Invero, in maniera conforme, è intervenuta anche la Corte di Giustizia UE, con le sentenze ECOTRADE (EU:C:2008:267) e IDEXX (EU:C-590/13 dell’11 dicembre 2014), mediante le quali sono stati sanciti i seguenti principi:
- secondo costante giurisprudenza della Corte, il diritto spettante ai soggetti passivi di detrarre l’IVA per i beni da essi acquistati e per i servizi da essi ricevuti a monte, costituisce un principio fondamentale attuato dalla normativa dell’Unione Europea;
- il sistema comune dell’IVA garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA;
- per effetto dell’applicazione del regime di autoliquidazione istituito dall’art. 21, paragrafo 1, lett. d), della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio (d. reverse charge), non si verifica alcun versamento dell’IVA tra il venditore e l’acquirente del bene, ove quest’ultimo è debitore, per l’acquisto effettuato, dell’IVA a monte, potendo al tempo stesso, in linea di principio, detrarre la stessa imposta, cosicché nulla è dovuto all’amministrazione finanziaria;
- il suddetto regime di autoliquidazione (v. n. 3) consente agli Stati membri di stabilire le formalità relative alle modalità di esercizio del diritto a detrazione; tuttavia, tali misure non possono andare al di là di quanto necessario per il raggiungimento di tali obiettivi e non devono mai rimettere in discussione la neutralità dell’IVA;
- sempre nell’ambito del suddetto regime di autoliquidazione (v. n. 3) il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’imposta a monte sia sempre accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti e anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi. A tal riguardo si deve precisare che:
- i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono soltanto quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, quali quelli previsti dall’art. 17 della sesta direttiva;
- per contro, i requisiti formali del diritto a detrazione disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo, nonché il corretto funzionamento del sistema dell’IVA quali gli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione; tali requisiti sono contenuti negli articoli 18 e 22 della sesta direttiva;
- in particolare, per quanto riguarda soltanto i requisiti sostanziali (v. n. 6, lett. a) è necessario che:
- gli stessi si riferiscano ad acquisti effettuati da un soggetto passivo IVA;
- che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’IVA attinente a tali acquisti;
- che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili;
- che i suddetti requisiti siano accertati dall’Agenzia fiscale (onere della prova), che dispone di tutte le informazioni necessarie per accertare la sussistenza di detti requisiti sostanziali;
- le direttive comunitarie devono sempre essere interpretate nel senso che la mancata osservanza dei requisiti formali del diritto a detrazione IVA non può mai determinare la perdita del diritto medesimo[8].
In definitiva, il principio sancito in più occasioni dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea in relazione al meccanismo del reverse charge è quello in base al quale le violazioni degli obblighi formali non possono escludere di per sé il diritto alla detrazione del contribuente, pena la violazione del principio di neutralità dell’imposta. Quindi, nel caso in cui tale soggetto non abbia alcuna limitazione alla detrazione, l’applicazione del meccanismo del reverse charge risulta fiscalmente neutra (senza alcuna debenza di imposta da parte dello stesso soggetto), andandosi a compensare l’IVA a debito con quella a credito. Il sistema comune dell’IVA, infatti, garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA (in tal senso, Corte di Giustizia UE, sentenza TOTH, EU: C: 2012: 549, punto 25 e giurisprudenza ivi citata, nonché FATORIE, C-424/12, EU:C:2014:50, punto 31, e giurisprudenza ivi citata).
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3. La giurisprudenza della Corte di Cassazione
Ai suddetti principi si è uniformata la Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – con le sentenze n. 10819 del 05/05/2010; n. 20486 del 06/09/2013; n. 5072 del 13/03/2015; n. 7576 del 15/04/2015. In particolare, con la succitata sentenza n. 7576/2015, la Corte di Cassazione, riportandosi integralmente ai principi della Corte di Giustizia sul caso IDEXX, ha chiarito e precisato che l’Agenzia delle Entrate dispone di tutte le informazioni necessarie per accertare la sussistenza o meno dei requisiti sostanziali, con la conseguenza che il diritto alla detrazione non può mai essere negato nei casi in cui il contribuente non abbia applicato o non abbia correttamente applicato, la procedura dell’inversione contabile <<avente normalmente natura formale e non sostanziale>>. Ciò posto, riceve, in tal modo, convalida nazionale quell’orientamento favorevole ai contribuenti già emerso con la giurisprudenza comunitaria. Ciò comporta che non bisogna mai compromettere la neutralizzazione bilaterale dell’IVA (come peraltro riconosciuto dalla stessa Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 56/E/2009), nel senso che eventuali inadempienze accertate a carico del contribuente che non hanno generato danni erariali, poiché il risultato fiscale sarebbe stato comunque identico sul piano impositivo per effetto della prevista neutralizzazione bilaterale dell’IVA, non devono mai far cadere il meccanismo del reverse charge. Sul punto, si segnala l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione TRI civile, 19 maggio 2017, n. 12649, con cui i giudici di legittimità hanno chiarito che:<<Nel sistema dell’inversione contabile denominato “reverse charge“, l’obbligo di autofatturazione e le relative registrazioni assolvono una funzione sostanziale, in quanto, compensandosi a vicenda con l’assunzione del debito avente ad oggetto l’IVA a monte e la successiva detrazione della medesima imposta a valle, comportano che non permanga alcun debito nei confronti dell’Amministrazione, e consentono i controlli e gli accertamenti fiscali sulle cessioni successive; ne consegue che, in tal caso, ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA da parte dell’amministrazione finanziaria, è ammessa anche la prova mediante presunzioni, gravi, precise e concordanti, con conseguente inversione dell’onere probatorio sul contribuente>>. Da ultimo, i giudici di legittimità si sono espressi in maniera conforme anche con la recente ordinanza, 30 gennaio 2018, n.2266, con cui è stato ribadito che:<< … secondo gli insegnamenti in materia della Corte di Giustizia (v. fra le altre Corte di Giustizia 8 maggio 2008, in cause riunite C-95/07 e C-96/07), il diritto di detrazione e’ connesso alla effettivita’ dell’operazione (requisito sostanziale) e non puo’ essere subordinato al rispetto di adempimenti od obblighi meramente formali; con la conseguenza che se l’Autorita’ fiscale dispone gia’ delle informazioni necessarie per dimostrare che il cessionario/committente, in quanto destinatario delle operazioni soggette a reverse charge, e’ il debitore d’imposta e che l’operazione e’ effettivamente stata realizzata, risulta irrilevante la circostanza che il debitore d’imposta abbia ricevuto e registrato la fattura emessa dal fornitore nella contabilita’ generale senza aver proceduto agli adempimenti ai fini Iva (integrazione della fattura o autofattura)>>. In altre parole, se l’operazione non è stata occultata e se l’Amministrazione fiscale non ha trovato ostacoli nella sua ricostruzione, l’infrazione è formale e, dunque, la detrazione non può essere negata al soggetto passivo, poiché il risultato fiscale finale sarebbe stato comunque identico sul piano impositivo per effetto della prevista neutralizzazione bilaterale dell’Iva (Cass. 7576/2015). Peraltro, secondo i Supremi giudici, il riconoscimento del diritto di detrazione, al di là dell’eventuale inosservanza di fatturazioni e registrazioni, non conduce a considerare nello stesso tempo la violazione del reverse charge violazione meramente formale e come tale non punibile in base alla L. n. 212 del 2000, articolo 10, (Cass. 7576/2015; Cass. n. 9505/2017). Alla luce di tanto, occorre, inoltre, rilevare che, in tema di reverse charge e operazioni inesistenti, sta prendendo forma un diverso orientamento giurisprudenziale certamente sfavorevole per il contribuente. Invero, secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, manifestato da ultimo con la sentenza 17/01/2018, n. 958, in caso di operazioni imponibili soggettivamente inesistenti, compiute in regime di reverse charge, l’Amministrazione finanziaria può legittimamente operare il recupero delle detrazioni Iva. A parere dei giudici di legittimità, infatti, in presenza di operazioni inesistenti, il concessionario in regime di reverse charge perde comunque il diritto alla detrazione stante l’applicazione al caso di specie dell’art. 6,co.9-bis3, d.lgs 471/1997, in base al quale, se il cessionario o il committente applica il reverse charge per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito che la detrazione registrati nelle liquidazioni Iva. Secondo la Corte di Cassazione, questa regola varrebbe anche nelle ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta (e non in caso di operazioni soggettivamente inesistenti imponibili). Solo in queste ipotesi, a parere della Corte di Cassazione – sentenza 17/01/2018, n. 958 – l’Ufficio fiscale può disconoscere e recuperare la detrazione Iva. Da ultimo, si segnala anche la recente ordinanza della Corte di Cassazione, 31 gennaio 2019, n. 2862, con cui è stato statuito che in tema d’IVA, le operazioni di cessione compiute in regime d’inversione contabile, ancorché effettuate sotto l’apparente osservanza dei requisiti formali, sono indetraibili in caso di violazione degli obblighi sostanziali, ove venga meno la corrispondenza, anche soggettiva, dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata, con conseguente inesistenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta indicata in fattura (nello specifico, il caso oggetto della suddetta pronuncia riguardava una fattispecie relativa ad operazioni di cessione di rottami, qualificate come soggettivamente inesistenti in quanto rese da una mera cartiera).
4. Aspetti sanzionatori
Alla luce di quanto rilevato può, dunque, ritenersi che le eventuali omissioni formali, concernenti l’omessa, intempestiva o irregolare applicazione del meccanismo dell’inversione contabile, se non cagionano alcun pregiudizio alle ragioni erariali, si configurano unicamente come semplici violazioni formali assoggettabili a sanzioni. In ogni caso, nell’applicare le sanzioni bisognerà sempre rispettare il principio della proporzionalità, soprattutto se si tratta di violazioni puramente formali che non hanno causato danno erariale allo Stato, come più volte ribadito dalle succitate sentenze della Corte di Giustizia UE ECOTRADE ed IDEXX, nonché, da ultimo, dalla Corte di Giustizia EQUOLAND, richiamata dalla Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile T – con la sentenza n. 16109 del 29/07/2015. Ciò posto, è importante rilevare che sono state apportate delle modifiche alla disciplina sanzionatoria. Invero, con il d.lgs 158/2015 (in vigore dal 1˚ gennaio 2016[9]) sono state ridefinite le regole che disciplinano il sistema sanzionatorio nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, introducendo una maggiore proporzionalità tra la misura della sanzione e la gravità della violazione. Precisamente, l’Agenzia delle Entrate, a seguito delle modifiche previste dall’art. 15 del D.lgs. 158/2015 con cui sono stati introdotti i commi 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3 e riscritto il comma 9 bis dell’art. 6, co. 9-bis del D.Lgs. n. 471/1997, per chiarire e dirimere alcune problematiche, ha emanato la Circolare n. 16/E del 11 maggio 2017. Ebbene, con la suddetta Circolare, le Entrate hanno chiarito il trattamento sanzionatorio previsto per ogni tipo di violazione in materia di reverse charge, alla luce delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 158/2015. Più nel dettaglio:
- sono stati illustrati i campi d’applicazione della disciplina sanzionatoria dell’inversione contabile;
- è stato chiarito che secondo un criterio di proporzionalità, ad essere colpite più duramente sono le violazioni commesse con un intento di evasione o di frode oppure che comportano l’occultamento dell’operazione o un debito d’imposta, mentre vengono punite in modo più mite le fattispecie irregolari per le quali l’imposta risulta comunque assolta.
Inoltre, con la circolare de qua sono stati sanciti i seguenti principi:
- quando l’operazione rientra nell’inversione contabile, ma per errore il cedente/prestatore ha emesso fattura con addebito di Iva come avviene per un’operazione ordinaria, se l’imposta è stata assolta seppur in modo irregolare (cioè se la fattura è stata registrata dal cedente e l’imposta è confluita nella liquidazione periodica) si applica una sanzione fissa da 250 euro a 10mila euro. In un’ottica di semplificazione, non occorre che il cessionario o committente regolarizzi l’operazione ed è fatto salvo il diritto alla detrazione.
Si applica la sanzione nella stessa misura anche quando l’Iva, anziché essere assolta in via ordinaria, è stata sottoposta a reverse charge da parte del cessionario o committente. Anche in questo caso, se l’imposta è stata comunque assolta nonostante l’errore, il diritto di detrazione per il cessionario è salvo e il cedente o prestatore non è obbligato a versare l’Iva. Non deve trattarsi, però, di ipotesi palesemente estranee al regime dell’inversione contabile. In entrambi i casi la sanzione si applica in via solidale a cedente e cessionario e non scatta per singola fattura errata, ma una sola volta per ogni liquidazione periodica con riferimento a ciascun fornitore.
- quando il reverse charge viene applicato a operazioni che sono esenti, non imponibili, non soggette ad imposta o inesistenti, il debito d’imposta e la relativa detrazione si annullano. In sede di accertamento, infatti, vengono espunti sia il debito, che il credito d’imposta confluiti nella liquidazione periodica. In caso di operazioni inesistenti, però, si applica la sanzione, compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 eur
Seppur le suddette disposizioni siano entrate in vigore dal 1° gennaio 2016, per il principio del favor rei, le nuove regole trovano applicazione anche per le violazioni commesse fino al 31 dicembre 2015, purché non siano stati emessi atti che si sono resi “definitivi” anteriormente al 1° gennaio 2016. Sul punto, si segnala la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile, n. 9505/2017, mediante la quale gli Ermellini hanno chiarito che:<< in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015 non operano in maniera generalizzata in “favor rei”, rendendo la sanzione irrogata illegale, sicché deve escludersi che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno “ius superveniens” più favorevole, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, non solo in ragione della necessaria specificità dei motivi di ricorso ma, soprattutto, per il principio costituzionale di ragionevole durata del processo”. Ebbene, nella specie, la S.C. ha rigettato la richiesta di rideterminazione delle sanzioni in tema di reverse charge, in assenza di specifica deduzione dell’applicabilità in concreto di una sanzione inferiore rispetto a quella irrogata, sia con riferimento ai margini edittali che alla valutazione della gravità della violazione, in assenza di circostanze tali da far ritenere manifesta la sproporzione tra entità del tributo e sanzione applicata.
Il d.l. n. 119/2018 (convertito in legge, con modifiche, dalla l. 17.12.2018, n. 136) e le novità in materia di reverse charge
Il D.L. n.119/2018, c.d. “Decreto Fiscale 2019”, (convertito in legge, con modifiche, dalla L. 17.12.2018, n. 136) ha introdotto importanti correttivi alla normativa tributaria in genere. Non da meno, il legislatore, con la manovra fiscale 2019, è intervenuto anche in materia di inversione contabile, prevedendo la proroga al 30.06.2022 dell’applicazione del reverse charge per le cessioni di telefoni cellulari, dispositivi a circuito integrato, di console, tablet pc e laptop, per i trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra e di energia elettrica a un soggetto passivo riveditore. Più nel dettaglio, l’art. 2, comma 2 bis, D.L. 23.10.2018, n. 119, operando una modifica al co. 8, dell’art. 17, DPR n.633/1972, ha prorogato il termine per l’applicazione facoltativa del reverse charge al 30 giugno 2022. Tanto risulta, dunque, coerente con quanto previsto dalla più recente evoluzione della normativa europea e, dunque, dall’articolo 199-bis della direttiva 2006/112 che ha prorogato il termine per l’applicazione facoltativa del reverse charge al 30 giugno 2022. La misura allinea al nuovo termine Ue la possibilità di avvalersi dell’inversione contabile per le operazioni elencate all’articolo 17, co. 6 del Dpr 633/1972, alle lettere b), c), d-bis), d-ter) e d-quater). Si tratta quindi:
- delle cessioni di telefoni cellulari (“apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazione soggette alla tassa sulle concessioni governative”), con esclusione dei componenti e accessori per i telefoni cellulari;
- delle cessioni di dispositivi a circuito integrato,quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale; da questa categoria vanno esclusi i computer quali beni completi e i loro accessori;
- delle cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop;
- dei trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serratrasferibili (articolo 3 della Direttiva 2003/87/CE);
- dei trasferimenti di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla citata Direttiva 2003/87/CE e di certificati relativi al gas e all’energia elettrica;
- delle cessioni di gas e di energia elettricaa un soggetto passivo-rivenditore.
In precedenza, l’articolo 199-bis della direttiva IVA consentiva l’applicazione del meccanismo di inversione contabile cd. facoltativa fino al 31 dicembre 2018.
6. ll d.l. n. 124/2019 (in fase di conversione) e le novità in materia di reverse charge
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 (c.d. Decreto fiscale 2020) è stata confermata una delle misure più discusse degli ultimi tempi: l’estensione del reverse charge ad appalti e subappalti che prevedono l’utilizzo di manodopera. In particolare, l’art. 4 del D.L. n. 124/2019 ha introdotto ulteriori ipotesi di reverse charge. Più nel dettaglio, l’ipotesi introdotta nell’art. 17, co. 6, del D.P.R. 633/1972 con la nuova lett. a-quinquies riguarda le prestazioni di servizi «diversi da quelli di cui alle lettere da a) ad a-quater), effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma». Trattasi, quindi, di un’ipotesi di reverse charge per gli appalti ad alta intensità di manodopera presso la sede del committente. L’inversione contabile in materia di Iva è stata, quindi, estesa alle prestazioni effettuate mediante contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, che vengano svolti con il prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente e con l’utilizzo di beni strumentali di sua proprietà o ad esso riconducibili (articoli 1655 e 2222 del Codice civile). L’introduzione del reverse charge per tutte queste prestazioni d’opera è sottoposta al rilascio di un’autorizzazione di una misura di deroga da parte del Consiglio dell’Unione europea. Ebbene, la disposizione parla, esplicitamente di appalto, subappalto e, opportunamente, per scongiurare controversie interpretative, di affidamenti a soggetti consorziati in modo da ricondurvi anche i rapporti tra questi ultimi e i consorzi. Vero è che la disposizione aggiunge anche «rapporti negoziali comunque denominati» ma lo scopo non sembra tanto quello di estendere l’ambito applicativo a contratti ulteriori rispetto all’appalto, ma piuttosto quello di evitare tentativi di elusione formale qualificando con diciture diverse contratti che, sostanzialmente, sono appalti. L’ambito oggettivo viene comunque ridotto e circoscritto dal sussistere dalla prevalenza di utilizzo della manodopera presso la sede di attività del committente. La disposizione aggiunge anche la condizione di utilizzare mezzi strumentali di proprietà del committente o, al fine di evitare elusioni, che siano ad esso riconducibili in qualunque forma. Pertanto, affinché si applichi il reverse charge è necessario che il prestatore non abbia beni strumentali propri, ma utilizzi quelli del committente o quelli riconducibili al committente in qualunque forma; tale situazione si verifica quando il committente fornisce, mediante contratto di comodato o di affitto di ramo di azienda, le strutture necessarie per l’opera. In sostanza, dalla lettura della norma se ne deduce che, se le attrezzature necessarie per lo svolgimento dell’appalto sono di proprietà del committente (o sono da questi concesse in comodato o locate o noleggiate all’appaltatore), si rientra nel campo di applicazione del reverse charge; se, invece, le attrezzature sono di proprietà effettiva dell’appaltatore, l’operazione rientrerebbe nella regola generale di applicazione dell’Iva. Inoltre, come già rilevato, risultando una misura in deroga rispetto alla Dir. 2006/112/CE del 28.11.2006, l’efficacia della disposizione è subordinata all’autorizzazione del Consiglio Ue, la cui procedura deve completarsi in un tempo massimo di 8 mesi dal ricevimento da parte della Commissione della domanda inviata dall’Italia. Ne consegue, che le prestazioni d’opera soggette a Iva verranno fatturate dalle imprese senza l’applicazione dell’Iva e di conseguenza il committente integrerà la fattura dell’imposta secondo l’aliquota prevista per la prestazione, imputandola a debito e quindi portandola in detrazione se spettante. In presenza della fatturazione elettronica la procedura potrà essere svolta dal committente trasmettendo una fattura a se stesso tramite lo Sdi o con l’integrazione manuale della fattura ricevuta. Di fatto, il legislatore in questo modo intende impedire il fenomeno della evasione mediante omesso versamento dell’Iva da parte delle società che effettuano le prestazioni d’opera nei confronti di imprese industriali o agricole. In conclusione, si tratterà adesso di verificare se la conversione in legge da parte del Parlamento alleggerirà il sistema disegnato dal Governo che appare, nella versione attuale, condivisibile negli scopi, ma complesso nella concezione e nell’implementazione pratica.
7. Sentenza della CTP di Lecce, n. 2402/17
Infine, per mera completezza, si segnala l’interessante sentenza n. 2402/17, della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, depositata in data 7 luglio 2017, che in parziale accoglimento del ricorso proposto dall’avvocato Maurizio Villani, ha annullato un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate di Lecce per l’anno 2013 limitatamente all’IVA, per un importo totale di oltre € 1.600.000,00 (un milione e seicentomila euro). In particolare, il Collegio ha annullato l’avviso di accertamento, relativamente al recupero Iva, perché nelle fattispecie non era applicabile lo speciale regime fiscale dell’inversione contabile, in quanto le operazioni di compravendita effettuate dalla società coinvolta riguardavano l’oro industriale avente purezza inferiore a 325 millesimi, come dimostrato dalla società con perizia giurata mai contestata dall’Agenzia delle Entrate di Lecce. Più specificamente i primi giudici hanno chiarito che poiché l’art. 17, co. 5, D.P.R. n. 633/1972, in deroga alla procedura ordinaria di applicazione dell’Iva, ha introdotto il meccanismo dell’inversione contabile:
- “ (…) versandosi in ipotesi di deroga del regime ordinario, è l’Amministrazione finanziaria a dover fornire la prova della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del reverse charge, e soltanto dopo che abbia fornito una prova siffatta, incomberà sul contribuente l’onere della prova contraria, e quindi della sussistenza dei presupposti per l’operatività del regime ordinario, in luogo di quello speciale (…) Orbene, nel caso in esame l’Amministrazione finanziaria non ha minimamente assolto ad un onere siffatto (…).”
- “(…) A ciò aggiungasi che vi è perizia giurata prodotta dalla ricorrente, dalla quale emerge che la merce indicata nelle fatture in contestazione (…) è costituita da oro avente purezza pari a 307 millesimi, e dunque una purezza inferiore a quella (325 mm) comportante l’applicazione del reverse charge.
- (…) Pertanto, non solo è mancata la prova del presupposto dell’imposta (…) ma vi è in atti la prova negatrice del presupposto stesso”.
Ebbene, alla luce di tanto la Commissione ha accolto parzialmente il ricorso e annullato l’avviso di accertamento impugnato, relativamente al recupero dell’Iva detratta dalla ricorrente.
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- [1]
La presente lettera è stata aggiunta dall’art. 4, comma 3, D.L. 26.10.2019, n. 124 con decorrenza dal 27.10.2019; ai sensi del successivo comma 4 l’efficacia della disposizione modificata è subordinata al rilascio, da parte del Consiglio dell’Unione europea, dell’autorizzazione di una misura di deroga ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006.
- [2]
La presente lettera è stata abrogata dall’art.1, D.lgs n.24/2016, con decorrenza 03/03/2016.
- [3]
La presente lettera è stata abrogata dall’art.1, D.lgs n.24/2016, con decorrenza 03/03/2016.
- [4]
Il presente comma, aggiunto dall’art. 1, D.Lgs. 11.02.2016, n. 24 con decorrenza dal 03.03.2016, è stato poi così modificato dall’art. 2, comma 2 bis, D.L. 23.10.2018, n. 119, convertito in Legge 17.12.2018, n. 136 con decorrenza dal 19.12.2018
- [5]
Se il cessionario usa il registro dei corrispettivi, può annotare la fattura o la ricevuta in tale registro
- [6]
http://www.moneylaundering.it
- [7]
Cfr. Fabio Garrini e Francesco Zuech “Reverse charge: l’Agenzia apre all’integrazione fuori dallo Sdi “ in www.ecnews.it del 25/07/2019.
- [8]
Cfr. Avv Maurizio Villani, Avv. Iolanda Pansardi “Omesso ed irregolare “reverse charge” in www.altalex.com 05/11/2015.
- [9]
Tuttavia, per il principio del favor rei, le nuove regole trovano applicazione anche per le violazioni commesse fino al 31 dicembre 2015, purché non siano stati emessi atti che si sono resi “definitivi” anteriormente al 1° gennaio 2016.
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