Ricorso collettivo: struttura e proposizione
1.- Il codice del processo amministrativo non detta una normativa completa sui ricorsi collettivi contro provvedimenti della pubblica amministrazione, ma non per questo si può dire che escluda in linea di principio la proposizione di ricorsi connessi fra di loro. L’art. 32.1, infatti, dispone che “è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale”, limitandosi poi a specificare che “se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV “.
La giurisprudenza amministrativa, però, forte di una consolidata tradizione interpretativa pluridecennale in tema di ricorsi collettivi, ha continuato a dare anche alle nuove norme sopra citate una interpretazione particolarmente e rigidamente restrittiva, frapponendo una serie di ostacoli alla ammissibilità di tali tipi di ricorsi che non sembra trovare corretto riscontro nella normativa.
Soprattutto tale giurisprudenza trascura di dare un qualsiasi rilievo all’art. 39.1 del c. p. a., il quale dispone che “per quanto non disciplinato nel presente codice, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali”. Fra tali disposizioni interessa qui ricordare l’art. 103 comma 1 del codice di procedura civile, per il quale “più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni”, nel quale caso, poi, “il giudice può disporre, nel corso della istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, se vi è istanza di tutte le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo”.
E’ il caso di ricordare poi anche l’art. 104 del c. p. c., nella parte in cui dispone che “contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse”.
In un contesto normativo di questo genere la giurisprudenza amministrativa con un orientamento accanitamente consolidato afferma che “nel processo amministrativo … anche dopo la codificazione del 2010 (v. artt. 40 e ss. c.p.a.), la proposizione del ricorso collettivo rappresenta una deroga al principio generale secondo il quale ogni domanda, fondata su un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal singolo titolare con separata azione.
Pertanto, la proposizione contestuale di un’impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di stringenti requisiti, sia di segno negativo che di segno positivo: i primi sono rappresentati dall’assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l’accoglimento della domanda di una parte dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con quella degli altri; i secondi consistono, invece, nell’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi”[1].
Dove possa trovare fondamento il c. d. “principio generale secondo il quale ogni domanda, fondata su un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal singolo titolare con separata azione” riesce, però, difficile stabilirlo. Non mi sembra che servano certo a questo scopo gli art. 40 e ss. che la giurisprudenza succitata ha ritenuto di dover ricordare. Sembra improbabile, infatti, che si possa dare rilievo a questi fini al fatto che queste norme, quando parlano dell’atto introduttivo del giudizio amministrativo, usino sempre i termini ricorso e ricorrente al singolare. Sarebbe un argomento francamente troppo banale e privo di una seria consistenza. Ben più significativo, ma per giungere ad opposte conclusioni, sembra invece il fatto che l’art. 32 non solo ammette esplicitamente il cumulo di domande connesse, ma addirittura precisa di consentirlo anche quando si tratta di azioni soggette a riti diversi, che è circostanza particolarmente significativa ove si consideri la particolare rilevanza del rispetto delle forme soprattutto nel processo amministrativo. Direi anzi che questa precisazione in merito alla ammissibilità di connessione di ricorsi persino quando soggetti a riti differenti sembrerebbe indurre a ritenere che la stessa a maggior ragione deve essere pacificamente consentita quando i ricorsi soggiacciano ad un medesimo rito.
La giurisprudenza amministrativa sui ricorsi collettivi
La diffidenza della giurisprudenza amministrativa verso i ricorsi collettivi non può non indurre a ricordare l’autorevole insegnamento di A. M. Sandulli[2], che la qualificava come una semplice consuetudine interpretativa, rispetto alla quale suonava come tautologica la spiegazione che veniva comunemente data di questo orientamento giurisprudenziale, quando subordinava la raramente consentita ammissibilità dei ricorsi collettivi a pressanti condizioni prive di fondamento normativo.
Ancora oggi, comunque, anche la giurisprudenza amministrativa più recente, pur successiva alla introduzione di un apposito codice del processo amministrativo integrabile con le regole del processo civile, sebbene si mostri più disponibile all’ammissione del ricorso cumulativo ed ammetta che esso non è aprioristicamente precluso, ne sottolinea comunque in ogni caso il carattere eccezionale[3] e lo subordina ad una connessione variamente delineata e, direi, liberamente costruita dai giudicanti[4], nella quale l’individuazione di queste condizioni alla ammissibilità del ricorso cumulativo sembra ispirarsi comunque sempre ad una malcelata ostilità[5].
Credo che sarebbe invece più ragionevole, considerato che gli elementi essenziali che individuano una causa o un ricorso sono i soggetti, il petitum e la causa petendi, e che basta la comunanza di uno di questi tre elementi, secondo l’espresso principio generale formulato dall’art. 103 c. p. c., per stabilire la connessione fra due cause o due ricorsi, ritenere che se è possibile consentire la proposizione contestuale di più motivi di ricorso (e con ciò, in sostanza, come ben diceva Sandulli nell’opera succitata, in questo modo in sostanza dare luogo ad un cumulo di più ricorsi) non vi ragione per non consentire detto cumulo anche allorché le domande proposte con un unico ricorso giurisdizionale amministrativo abbiano in comune solo le parti o il petitum o la causa petendi.
Questa maggiore apertura verso l’ammissibilità della connessione trova, d’altra parte, la sua principale giustificazione o quantomeno l’inesistenza di gravi ostacoli nel fatto che la connessione è un fenomeno strettamente processuale, che riguarda l’azione o il ricorso e non il diritto o l’interesse legittimo nel suo aspetto sostanziale e il simultaneus processus non altera alcuna delle regole fondamentali del processo (termini, contraddittorio, diritto di difesa) e, con la salvaguardia costituita dalla separazione delle cause prevista dall’art. 103 c. 2 c. p. c., non incide nemmeno sulla competenza o sulla giurisdizione, sicché riesce difficile nascondere che appare francamente ingiustificato, se non addirittura iniquo ricollegarvi, in nome di una mera tradizione interpretativa, la sanzione dell’inammissibilità, che è in sostanza un diniego di giustizia. La connessione appesantisce indubbiamente il processo e rende forse più gravoso il suo esame, quando non fosse o non si ritenesse praticabile la separazione delle cause, ma non vi è dubbio che in compenso concorre all’utile funzione di evitare giudicati contraddittori, realizza economia di giudizi e può facilitare una migliore e più ampia comprensione del fatto sottoposto a giudizio. Un tempo sul ricorso alla connessione poteva giocare l’intento di vanificare alcuni precetti fiscali operanti nella materia[6], ma questa preoccupazione, anche ammesso che in passato fosse fondata ed insuperabile, ora non sembra poter trovare più spazio alla luce del d. p. r. 30 maggio 2002 n. 115 e succ. modif..
In conclusione, anche nel processo amministrativo l’ammissibilità di ricorsi collettivi dovrebbe, a mio avviso, trovare spazio con la stessa larghezza di vedute che si riscontra nel processo civile.
2.- Per verificare in relazione ad un fatto concreto l’utilità della applicazione dei principi sopra riferiti sembra particolarmente utile l’esame del caso deciso da una sia pure non recente sentenza[7] particolarmente adatta, a mio avviso, a confermare la ragionevolezza che si dovrebbe riconoscere ad una giurisprudenza più aperta al riconoscimento di una più facilitata ammissibilità dei ricorsi collettivi nel processo amministrativo. Si tratta di un caso che mi è sembrato di particolare interesse anche per la spontaneità e la naturalezza con le quali, in poche parole, il collegio, al pari di quanto già avvenuto anche in primo grado, sembra avere aderito come a soluzione ovvia ed ineludibile a conclusioni che si sono concretate, da un punto di vista sostanziale, in un rifiuto di rendere giustizia.
Con tre separati ricorsi, che i giudici di primo grado avevano riunito e deciso con unica sentenza che ne aveva dichiarato l’inammissibilità, erano stati impugnati molteplici provvedimenti comportanti una variante urbanistica, l’approvazione e la successiva parziale modifica del progetto di costruzione di una circonvallazione stradale nonché l’occupazione delle aree interessate a questi lavori. Contro i provvedimenti impugnati numerosi ricorrenti, in forza delle rispettive differenti legittimazioni, avevano addotto motivi attinenti a problematiche riguardanti gli aspetti urbanistici, ambientali ed espropriativi connessi all’iniziativa dell’amministrazione.
Il contenuto dei ricorsi
Il primo dei tre ricorsi chiedeva l’annullamento della variante di p. r. g. e dell’adozione del progetto della nuova circonvallazione. Il ricorso era proposto da una molteplicità di soggetti tutti asseritamente proprietari dei fondi interessati alla realizzazione dell’opera.
Il secondo ricorso era stato proposto da alcuni dei proprietari dell’area interessata alla realizzazione dell’opera nonché da altri cittadini residenti nelle zone limitrofe, lambite e interessate all’opera in questione.
Il terzo ricorso era stato proposto ancora da alcuni proprietari dell’area interessata alla realizzazione dell’opera nonché da altri cittadini residenti nelle adiacenze del medesimo territorio avente particolare pregio storico e culturale e sottoposto a vincolo paesaggistico.
Dato atto della sussistenza di evidenti ragioni di connessione oggettiva e, in parte, soggettiva, il TAR aveva disposto la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 70 del Codice del processo amministrativo, al fine della loro unitaria trattazione e definizione con un’unica pronuncia.
La pressoché integrale identità dei motivi di ricorso proposti nei tre ricorsi credo non renda necessaria la loro specificazione ai fini della valutazione che qui si intende fare del giudizio di inammissibilità, giacché il motivo determinante che ha indotto i giudicanti a ritenere di essere in presenza di ricorsi collettivi inammissibili sembra essere stato il fatto che le molteplici causae petendi fossero conseguenti a posizioni giuridiche soggettive disomogenee e manifestassero differenziati interessi all’annullamento dei provvedimenti impugnati. Prima e più che la differenza di censure il motivo determinante della dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi sembra essere stato, dunque, il fatto che i molteplici motivi di ricorso si fondavano su distinti interessi, seppure astrattamente meritevoli di tutela, artificiosamente unificati e per ciò inammissibili. Le decisioni sia di primo che di secondo grado sono state assunte insomma a causa della differente situazione giuridica soggettiva dei ricorrenti: gli uni proprietari delle aree su cui la costruzione doveva sorgere, gli altri solo proprietari di aree limitrofe, i quali comunque avevano proposto motivi ciascuno dei quali fondato sulla legittimazione facente capo al proponente del motivo stesso. Su questa diversità di legittimazioni ad agire si fonda in sostanza la pretesa inammissibilità della connessione dei ricorsi, per cui credo sufficiente dire che i motivi di ricorso proposti miravano a tutelare ora gli interessi dei proprietari, ora quelli dei proprietari di aree adiacenti all’opera pubblica progettata.
3.- Già in occasione del giudizio di primo grado il TAR aveva provveduto alla riunione dei tre ricorsi in questione a norma dell’art. 70 del c. p. a. Che questo sia avvenuto su istanza di parte o d’ufficio ha poca importanza. Ciò che conta è che i tre ricorsi erano stati proposti separatamente e che quella connessione che ha determinato poi la loro dichiarazione di inammissibilità non poteva essere stata la conseguenza della riunione disposta ai sensi dell’art. 70 succitato, ma solo del fatto che ciascuno di essi era stato proposto da più ricorrenti.
Si impone allora in primo luogo il rilievo che il primo dei ricorsi era stato proposto soltanto da proprietari delle aree sulle quali la circonvallazione costruenda avrebbe dovuto essere situata. Così stando le cose[8], il primo ricorso non avrebbe potuto essere dichiarato inammissibile, identici essendo per tutti i ricorrenti sia il titolo (la proprietà delle aree) che ne legittimava la proposizione, sia i motivi di ricorso, sia – ovviamente – il provvedimento impugnato. E’ chiaro, infatti, che, quand’anche si volesse accettare il punto di vista dei giudicanti in merito alle condizioni richieste per l’ammissibilità di un ricorso collettivo, certo è che la sussistenza di tali condizioni in un ricorso non può certo venir meno per il fatto che esso venga, d’ufficio o su istanza di parte, riunito ad altri ricorsi proposti da altri ricorrenti ovvero aventi un petitum differente o basati su causae petendi anch’esse differenti o, se uguali, non giustificate da una identica legittimazione. Il solo fatto che la riunione possa essere disposta dal giudice d’ufficio giustifica la convinzione espressa, non potendosi certo credere che il giudice possa con una discrezionale decisione di riunione creare una causa di inammissibilità dei ricorsi che gli sono stati sottoposti.
Il giudizio sui ricorsi
Sembra di poter dire, dunque, che il primo ricorso non avrebbe potuto essere dichiarato inammissibile, quantomeno alla luce dei motivi che hanno indotto alla conclusione assunta.
4.- Lo stesso si può dire, però, ma per motivi che la consolidata giurisprudenza amministrativa non ritiene di poter accogliere, anche per gli altri ricorsi in esame.
Si osserva innanzitutto che i ricorsi avevano tutti per oggetto lo stesso complesso di atti che riguardavano tutti la medesima iniziativa amministrativa e che tutti i ricorrenti, chi per un motivo e chi per un altro, erano legittimati ed interessati all’annullamento degli atti impugnati. Si trattava dunque di più soggetti intesi ad ottenere l’annullamento di una previsione di piano e del conseguente progetto attuativo di quella previsione, soggetti titolari di interessi derivanti per alcuni dalla loro qualità di proprietari delle aree espropriande e per altri dal rapporto delle loro proprietà con vincoli paesaggistici e valutazioni ambientali. Interessi indubbiamente diversi fra di loro, disomogenei e differenziati, ma che lo stesso Consiglio di stato dichiara “non confliggenti”. Infatti, in sostanza, sembra di poter dire che nessuno dei ricorrenti voleva che l’opera venisse costruita in altro luogo o con altre caratteristiche, per cui non vi era fra loro alcun disaccordo sostanziale, tanto più che si sarebbe trattato di variazioni di posizionamento o di forma che essi potevano al massimo suggerire, ma che rimanevano rimesse alle scelte discrezionali non ancora effettuate dall’amministrazione e comunque estranee al merito del giudizio. In altre parole, l’obbiettivo di tutti i ricorrenti era che tutti gli atti che consentivano la costruzione di quella circonvallazione fossero annullati.
Nonostante queste considerazioni, si è ritenuto che non sussistessero tutti quegli stringenti requisiti che il sistema richiederebbe per l’ammissibilità dei ricorsi collettivi, tra i quali “oltre a quello negativo dell’assenza di conflitti di interessi, assume particolare rilievo l’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi”[9].
Queste ricorrenti affermazioni meritano una qualche attenzione in relazione alla particolarità del caso che ha fornito lo spunto per queste considerazioni.
E’ pacifico che i ricorrenti erano tutti legittimati a ricorrere, ma anche che le loro legittimazioni avevano una diversa origine: per alcuni si trattava della proprietà delle aree su cui l’opera doveva sorgere, per altri, invece, della sola vicinanza delle loro aree alla medesima opera. Il loro interesse a ricorrere, però, era sempre lo stesso: era l’interesse all’annullamento degli atti impugnati, ad un annullamento che avrebbe ripristinato nella loro integrità le rispettive situazioni giuridiche soggettive. Di qui la conseguenza della irrilevanza della diversità dei motivi addotti in quanto tutti parimenti idonei a far conseguire un unico e comune risultato processuale che avrebbe soddisfatto tutti quanti.
A mio avviso, se è un interesse meritevole di considerazione cercare di dare alle forme processuali richieste per il conseguimento di un risultato di giustizia un carattere di semplicità e di snellezza, che faciliti il conseguimento del risultato perseguito senza formalismi sostanzialmente inutili e defatigatori e senza una moltiplicazione di ricorsi che diventa più facile leggere a scapito, però, di una più unitaria ed ampia visione dei fatti da giudicare, il vero ed unico motivo che (forse) potrebbe rendere inammissibili i ricorsi collettivi e quindi anche quelli in questione dovrebbe (al massimo) essere sempre e solo il conflitto di interessi che emergesse dalla confliggenza dei motivi proposti. Al giudice dovrebbe insomma interessare solo che la diversità dei motivi non ostacoli il raggiungimento dell’obbiettivo comune perseguito dai ricorrenti mediante l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Una situazione conflittuale che, quantomeno nel caso esaminato con le sentenze considerate, pacificamente non ricorreva.
Che poi possano in effetti esistere situazioni nelle quali vengono prospettati motivi di ricorso in contrasto fra di loro[10], benché tutti diretti all’annullamento dei medesimi atti e confluiti in un comune ricorso collettivo, è questione che astrattamente può forse prospettarsi, ma che andrebbe verificata caso per caso, essendo abbastanza più probabile che i motivi fonte di contrasto fra gli interessi delle parti nascano da un conflitto di interessi che sarebbe strano desse luogo ad un ricorso collettivo, conflitto che comunque potrebbe emergere solo dopo la conclusione del ricorso stesso[11].
A tutto concedere, mi riesce più facile ipotizzare che in un ricorso collettivo si possa configurare un effetto conformativo della sentenza di annullamento che risulti potenzialmente pregiudizievole per il raggiungimento degli obbiettivi perseguiti da qualcuno dei ricorrenti[12]. Ma una questione di questo genere non potrebbe che rimanere affidata alle sole cure dell’interessato, senza rientrare fra le preoccupazioni di cui debba darsi carico chi deve decidere la controversia. Se due motivi sono diversi fra loro, ma puntano entrambi all’annullamento del provvedimento impugnato, deve dirsi che sono diversi, ma non per questo contraddittori. Il giudice, quindi, non dovrebbe avere difficoltà a valutarli entrambi, anche se la conformazione del potere che deriverà dalla pronuncia non potrà soddisfare entrambe le parti. Sono le parti private che, in un caso del genere, non hanno interesse a proporre un ricorso collettivo, ma a presentare ricorsi separati, contestando le rispettive opposte argomentazioni. Ma di questo loro personale interesse post causam non è il giudice che deve preoccuparsi.
Gli effetti successivi alla pronuncia sembrano essere soltanto una questione personale del ricorrente in quanto modalità di gestione del proprio interesse. Due motivi di ricorso entrambi diretti all’annullamento dello stesso atto non possono essere valutati dal giudice e da questi considerati in contrasto fra di loro tanto da rendere inammissibile il ricorso solo perché dal loro accoglimento derivi un effetto conformativo del potere amministrativo non ugualmente favorevole per le parti ricorrenti. Spetta alle parti private darsi carico di questa eventualità prima di imboccare la strada del ricorso collettivo anziché quella dei ricorsi individuali separati. Si tratterebbe insomma di un fatto di per sé indifferente ai fini dello svolgimento di un sereno giudizio collettivo[13].
5.- In conclusione nel caso deciso dalle sentenze prese in esame sembra di poter dire che la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi non può essere condivisa e che la questione dello spazio da riservare ai ricorsi collettivi nel processo amministrativo meriti di essere quantomeno approfondita aldilà di troppo facili adesioni ad orientamenti interpretativi risalenti nel tempo e scarsamente soddisfacenti.
[1] Il brano è tratto dalla sentenza del Consiglio di stato, sez. IV, 27 gennaio 2015, n. 363, che ho scelto fra le molte per la particolarità del caso che mi sembra utile prendere in considerazione ed alla quale mi rifarò per svolgere le osservazioni che seguiranno. La segnalazione di questi requisiti sembra comunque frequentemente ripetuta dalla giurisprudenza in forma tralaticia e risulta difficile trovare situazioni nelle quali siano stati proposti ricorsi collettivi nonostante la contraddittorietà degli interessi azionati.
[2] In “Il giudizio davanti al Consiglio di stato”, Napoli 1963, pag.54
[3] In questo senso si vedano Cons. st. III, 3 luglio 2019 n. 4569; TAR Lazio I, 9 ottobre 2019, n. 11677.
[4] Non è infrequente, d’altra parte, quando si ricorre ai principi generali per giustificare qualche scelta interpretativa, constatare che a stabilire che un principio esiste ed è fondamentale è il giudice stesso.
[5] Significativamente TAR Venezia III, 21 gennaio 2019, n. 71 così si esprime:” Nel rito appalti, il ricorso cumulativo che investa più lotti è tollerato dall’ordinamento quale eccezione alla regola dei ricorsi separati e distinti, soltanto nell’ipotesi in cui … “.
[6] Così si esprime infatti la sentenza del TAR Umbria 20 gennaio 1977, n. 64.
[7] Il riferimento è ancora una volta alla sentenza del Cons. di stato, sez. IV, 27 gennaio 2015, n. 363
[8] Nel ricorso, infatti, si legge che i ricorrenti l’avevano proposto “tutti nell’asserita qualità di proprietari dei fondi interessati alla realizzazione della nuova circonvallazione”.
[9] Così dice il Tar Trieste nella prima delle sue tre pronunce.
[10] Riesce difficile, comunque, ritenere in contrasto fra di loro motivi che convergono tutti in una medesima richiesta di annullamento dell’atto impugnato.
[11] Giustamente è stato osservato che “appare un controsenso che un’identità sostanziale e processuale d’interessi possa accompagnarsi anche a un conflitto tra questi stessi interessi: se l’interesse è identico per sua natura non potrà mai essere in conflitto con sè stesso” (Ramajoli, Il cumulo soggettivo nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 2014, 1244).
[12] Si pensi al caso in cui il proprietario delle aree interessate alla costruzione dell’opera pubblica lamenti solo dei vizi di forma o contesti certi caratteri dell’opera, mentre gli altri ricorrenti eccepiscono la contrarietà dell’opera alla peculiarità ambientale o artistica delle aree interessate.
[13] In ogni caso, sarebbe comunque preferibile, a mio avviso, che il giudice si desse carico di tutte queste questioni nella loro globalità e quindi, senza ricorrere a dichiarazioni di inammissibilità, le affrontasse individuando un ordine logico tra le questioni o, eventualmente, disponendo la separazione dei giudizi.
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