(Riferimento normativo, Cod. proc. pen., art. 310, c. 1)
Il fatto
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco convalidava un arresto per il reato di cui agli artt. 624 e 625 c.p., n. 7 (così riqualificata l’originaria incolpazione di cui all’art. 99 c.p., comma 2, art. 56 c.p., art. 628 c.p., commi 2 e 3, n. 1) disponendo nei confronti dell’arrestato la misura cautelare dell’obbligo di dimora.
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso detta ordinanza, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecco proponeva ricorso per cassazione lamentando: 1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale; 2) manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorso proposto, però, veniva qualificato come appello e veniva quindi disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di Milano.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Le ragioni di questa diversa qualificazione dell’impugnazione proposta dalla pubblica accusa venivano enunciati nel seguente modo.
Si osservava prima di tutto a tal proposito, una volta fatto presente che, in sede di convalida dell’arresto, al giudice è consentito attribuire al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dal pubblico ministero, ai limitati effetti del giudizio di convalida, in quanto rientra tra i suoi poteri di controllo quello di individuare in concreto l’ipotesi di reato al fine di stabilire se sia consentito l’arresto in flagranza (Sez. 5, n. 14314 del 29/01/2010, in fattispecie relativa a convalida dell’arresto e contestuale giudizio direttissimo), come il ricorrente avesse inteso impugnare in sede di legittimità non la convalida dell’arresto bensì la misura cautelare disposta con riferimento al reato ritenuto (furto aggravato) in presenza dello specifico dichiarato interesse, concreto ed attuale, del pubblico ministero a veder applicata altra misura per il diverso reato originariamente contestato (tentata rapina impropria aggravata) in ragione del diverso – e maggiore termine di scadenza della relativa efficacia e della possibile differente valutazione sull’adeguatezza della disposta misura (cfr., Sez. 6, n. 33473 del 06/06/2018).
Orbene, a fronte di ciò, in applicazione della consolidata giurisprudenza formatasi in materia, gli Ermellini riaffermavano il principio di diritto secondo cui il ricorso per cassazione – esperibile contro il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di mancata convalida dell’arresto o del fermo – non è consentito avverso il diniego di applicazione della misura cautelare richiesta che è impugnabile dal pubblico ministero con l’appello al tribunale del riesame ai sensi dell’art. 310 c.p.p., comma 1, (cfr., Sez. 1, n. 9524 del 12/06/2019) così come, allorquando il pubblico ministero, impugnando la misura cautelare emessa dal giudice, estenda il suo gravame anche il titolo di reato ritenuto in sede di convalida dell’arresto o del fermo (impugnazione – si evidenzia – del solo titolo di reato e non del provvedimento di convalida ritualmente intervenuto), l’impugnazione si propone allo stesso modo, ossia con l’appello al tribunale del riesame.
Tal che i giudici di piazza Cavour addivenivano a formulare il seguente principio di diritto: Da qui, in conclusione, l’affermazione del seguente principio di diritto: “Il ricorso per cassazione – esperibile contro il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di mancata convalida dell’arresto o del fermo – non è consentito avverso il diniego di applicazione della misura cautelare richiesta, che è impugnabile dal pubblico ministero con l’appello al tribunale del riesame, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., comma 1; parimenti, allorquando il pubblico ministero, impugnando la misura cautelare emessa dal giudice, estenda il suo gravame anche il titolo di reato ritenuto in sede di convalida dell’arresto o del fermo, l’impugnazione si propone anch’essa con l’appello al tribunale del riesame, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., comma 1; sia nel primo che nel secondo caso, l’eventuale ricorso per cassazione proposto va qualificato come gravame di appello e comporta la trasmissione degli atti al giudice competente ex art. 310 c.p.p.“.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante in quanto è ivi affermato il principio di diritto appena enunciato ossia che il ricorso per cassazione – esperibile contro il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di mancata convalida dell’arresto o del fermo – non è consentito avverso il diniego di applicazione della misura cautelare richiesta, che è impugnabile dal pubblico ministero con l’appello al tribunale del riesame, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., comma 1; parimenti, allorquando il pubblico ministero, impugnando la misura cautelare emessa dal giudice, estenda il suo gravame anche il titolo di reato ritenuto in sede di convalida dell’arresto o del fermo, l’impugnazione si propone anch’essa con l’appello al tribunale del riesame, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., comma 1.
Dunque, in questa pronuncia, non solo si afferma categoricamente che il ricorso per Cassazione non è consentito avverso il diniego di applicazione della misura cautelare richiesta, ma si chiarisce anche qual è il mezzo di impugnazione correttamente esperibile, ossia l’appello al tribunale del riesame a norma dell’art. 310, c. 1, c.p.p..
Allo stesso modo gli Ermellini giungono alla medesima conclusione allorchè la pubblica accusa, impugnando la misura cautelare emessa dal giudice, estenda il suo gravame anche il titolo di reato ritenuto in sede di convalida dell’arresto o del fermo dovendosi anche in tale ipotesi procedere a norma dell’art. 310, c. 1, c.p.p..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché chiarisce quale mezzo di impugnazione deve essere adottato in siffatti casi, dunque, non può che essere positivo.
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