Il rimborso delle spese legali nei giudizi per responsabilità erariale, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n.189/2020

Premessa

Una recente sentenza della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune norme della Provincia autonoma di Trento in materia di rimborso spese legali ai dipendenti, sembra  avere una portata molto più ampia, arrivando a fare  chiarezza su una giurisprudenza non uniforme delle massime Corti su questa materia. L’effetto sarebbe quello di ripristinare il principio del diritto al rimborso delle spese legali conseguenti alla chiamata in responsabilità erariale avanti alla Corte dei Conti, che sembrava ingiustificatamente superato da alcuni anni. Potrebbe essere la chiave di volta per contribuire a ridurre la c.d. burocrazia difensiva, ossia quell’atteggiamento che porta i gestori della cosa pubblica a restare fermi, anziché’ assumere iniziative che potrebbero esser rischiose, di aspettare che le novità diventino obbligatorie e/o chiarite da una circolare, e altro ancora, a scapito della celerità e del buon andamento degli uffici pubblici.        

 

Lo spettro della Corte dei Conti nell’attività dei dipendenti pubblici

In tempi recenti, è stato portato alla discussione pubblica, non molto intensa in verità, il tema della chiamata in responsabilità erariale dei dipendenti pubblici, la paura della quale costituirebbe uno dei motivi delle lungaggini burocratiche di cui è afflitta l’attività della nostra pubblica amministrazione.

Il Decreto-legge 76 del 16 luglio 2020, con l’art. 21,  si  è fatto carico di un tentativo di mitigazione di questo effetto, chiarendo,  come si legge nella relazione illustrativa che accompagna il Decreto stesso,  che nei giudizi di responsabilità avanti la Corte dei Conti il dolo va riferito all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica, e inoltre stabilendo,  ma solo sino al 21 luglio 2021, che l’azione di responsabilità in materia di contabilità pubblica viene limitata al solo profilo del dolo per le azioni,  in modo che si rischi maggiormente di incorrere in responsabilità in caso di omissioni.

Il rischio di essere chiamati in responsabilità erariale, soprattutto per coloro che ricoprono un incarico dirigenziale, incombe sulla quotidiana applicazione delle leggi che regolano l’attività pubblica,  sia che si tratti di gestione interna del personale, o la gestione delle procedure dei concorsi pubblici, della decisione di fare qualche assunzione in supero ai limiti posti dalle disposizioni nazionali o regionali per far fronte ad esigenze di erogazione dei servizi, nel decidere se sussistono o meno i presupposti per l’accoglimento o il rifiuto di qualche provvidenza, ecc.

Si tratta di un tema molto delicato, in quanto effettivamente, anche per i dirigenti più virtuosi, lo spettro della responsabilità erariale aleggia costantemente, ed è diventato un incubo da quando si è affermata una lettura delle norme in materia volta a limitare fortemente il rimborso delle spese legali in caso di assoluzione.

Appare chiaro a tutti infatti che rimane poco da gioire nel caso in cui sia stata esclusa la responsabilità, se comunque la parte più rilevante delle spese sostenute rimane a carico dell’interessato.

Per quanto il dirigente sia diligente, attento, scrupoloso, è sufficiente una chiamata in giudizio ingiustificata, per produrgli  un danno economico, consistente nella differenza tra le spese sostenute per la propria difesa e quelle che gli verranno riconosciute dalla Corte dei Conti, oltre alla esclusione degli  oneri per le fasi precedenti la chiamata in giudizio,  laddove è notorio che l’assistenza legale è necessaria, e non meramente opportuna, già da questa fase, per evitare ogni involontaria compromissione della successiva difesa in fase procedimentale.

 

Il Codice di Giustizia Contabile

La situazione così descritta si è determinata con il decreto legislativo 26.8.2016, n. 174, codice di giustizia contabile, adottato in base all’art. 20 della legge delega 7.8.15, n. 124, che con le disposizioni dell’art. 31 ha introdotta una pesante deroga al principio del diritto al rimborso delle spese legali spettante al pubblico impiegato ingiustamente chiamato in giudizio.

L’esistenza di questo diritto è stata indirettamente confermata  dalla Corte di Cassazione ancora nel 13.3.2009, sentenza n. 6227, ove ha affermato che si deve escludere che nel settore del lavoro pubblico costituisca principio generale il diritto incondizionato ed assoluto al rimborso delle spese legali, dovendo essere di volta in volta verificata anche la ricorrenza delle ulteriori condizioni alle quali è stato subordinato dal legislatore o dalle parti collettive il diritto all’assistenza legale o al rimborso delle spese sostenute. Quindi, laddove sussistano le condizioni per il diritto all’assistenza legale o al rimborso delle spese sostenute, il diritto al rimborso sussiste.

La deroga introdotta dal nuovo Codice di Giustizia Contabile è ancora più ingiustificata per il fatto che riguarda, unicamente ed esclusivamente, il rimborso delle spese legali sostenute in procedimenti avanti alla Corte dei Conti.

La norma in questione, come detto sopra, è l’art. 31, – Regolazione delle spese processuali – ove, al secondo comma, si precisa che in caso di assoluzione del dipendente per accertata insussistenza del danno o della violazione degli obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave, il giudice liquida, a carico dell’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa.

Va rilevato che la legge delega n.124/15, art. 20, sopracitata, non contiene alcuna indicazione circa la revisione della disciplina del rimborso delle spese legali al dipendente prosciolto.

La norma in questione, nella lettura che ne viene data, dovrebbe limitare l’onere ingente derivante dalla liquidazione di parcelle legali a favore dei convenuti prosciolti, di importo molto superiore agli importi liquidati dal giudice contabile; come dire che anziché indagare  se necessiti di essere rivista la disciplina che porta a formulare un accusa di danno a carico di un pubblico funzionario, si cerca di far cadere su questo  munus, come un danno collaterale da mettere in conto, la possibilità di un giudizio di responsabilità erariale.

 

Le disposizioni dei Contatti Collettivi di lavoro in materia di patrocinio legale.

Il CCNL della dirigenza sanitaria, sottoscritto in data 19.12.19, all’art. 67, comma 2, sembra confermare l’adeguamento a questa “lettura”, posto che si precisa che per” …  i procedimenti amministrativo-contabili…  il rimborso avverrà nei limiti di quanto liquidato dal giudice”, introducendo così una disciplina differenziata dei rimborsi per i giudizi avanti la Corte dei Conti, rispetto a quelli di chiamata in responsabilità civile e o penale.  Infatti  la  fonte contrattuale continua a prevedere che l’Azienda deve garantire la tutela giudiziaria al dipendente chiamato in giudizio purché’ non sussista conflitto di interesse; in tale ultimo caso, in caso di proscioglimento al dipendente spetta il rimborso di quanto avrebbe speso la PA se avesse assunto la difesa diretta,  comunque in misura non inferiore ai parametri minimi ministeriali forensi salvo  precisare poi, come sopra detto, che se la richiesta di rimborso concerne la difesa avanti la Corte dei Conti il rimborso è limitato all’importo liquidato dal giudice nella sentenza.

Anche la più recente ipotesi di CCNL per la dirigenza Funzioni locali, sottoscritta in data 16.7.20, nella sezione Dirigenza Professionale, Tecnica ed Amministrativa del Servizio sanitario nazionale, all’art. 82 riporta la medesima precisazione di cui sopra, con l’aggiunta “secondo le previsioni dell’art. 31 del D.lgs. 174/2016.”

Nei CCCCNNLL della Dirigenza del Servizio Sanitario Nazionale previgenti la materia dei rimborsi non conosceva questa limitazione del rimborso per i giudizi avanti la Corte dei Conti (si cita, ad es. l’art 25, comma 2, CCNL dirigenza sanitaria e P.T.A., 1998/2001).

Il Ccnl personale area funzioni centrali, biennio 2016-2018, sottoscritto il 9.3.20, contiene invece una disciplina diversa posto che, all’art. 31 “copertura assicurativa e patrocinio legale”, dopo aver dettato la disciplina per i giudizi civile e penali, al comma 7 stabilisce che “Resta fermo quanto previsto dall’art. 18 del D.L. n. 67 del 1997 convertito dalla legge 135/1997.”

La norma richiamata, che ha per oggetto “    Rimborso delle spese di patrocinio legale”, stabilisce che le spese legali per responsabilità amministrativa   di dipendenti  delle amministrazioni statali in conseguenza di  fatti ed atti connessi con l’espletamento  del   servizio  o  con  l’assolvimento   di  obblighi istituzionali e conclusi con sentenza  o provvedimento che escluda la loro  responsabilità,  sono   rimborsate  dalle amministrazioni  di appartenenza  nei limiti  riconosciuti congrui  dall’Avvocatura dello Stato.

Va rilevato che detta norma, che riguarda solo i dipendenti delle amministrazioni statali, non è stata abrogata espressamente dal nuovo codice di giustizia, come d’altronde neanche la disciplina dell’art. 3, comma 2 bis del decreto legge 543/96 sopracitata e nemmeno l’art. 1 della legge 20/94) Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti) su cui va a incidere.

 

Le diverse posizioni della Giurisprudenza Amministrativa

La Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 14.3.2011, n. 5918, ha precisato che occorre distinguere, in quanto “…il rapporto, che si instaura fra l’incolpato, poi assolto, e l’amministrazione di appartenenza, nulla ha a che vedere con quello che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile. Il primo, infatti, si riferisce al rimborso delle spese sopportate dall’incolpato, poi, assolto e si costituisce tra l’interessato e l’amministrazione di appartenenza. A questo rapporto è estraneo quello relativo al giudizio di responsabilità contabile. Tra i due rapporti non vi sono elementi di connessione, in ragione della diversità del loro oggetto (così S.U. 12.11.2003 n. 17014). Ora, mentre sul giudizio contabile la regolamentazione delle spese spetta appunto al giudice contabile, la statuizione sulle spese relative al rapporto sostanziale che intercorre fra amministrazione di appartenenza e dipendente – e sulla base del quale l’amministrazione è onerata ex lege del suo rimborso in favore del dipendente prosciolto – esula dalla giurisdizione contabile e appartiene a quella del giudice del rapporto di lavoro – da cui il diritto al rimborso promana -, con la conseguenza che essa deve ritenersi attribuita, di norma, al giudice ordinario (v. in questo senso anche S.U. 24.3.2010 n. 69969).”

Di contrario avviso la sentenza della Corte di Cassazione, sez. lavoro, 19.8.13, n. 19195, per la quale, invece, dopo l’entrata in vigore dell’art. 10 bis, del Decreto legge 203/2005, introdotta in sede di conversione avvenuta con la legge 248/05, in caso di proscioglimento nel merito del convenuto nel giudizio avanti  alla Corte dei Conti, spetta esclusivamente a detto Giudice  liquidare, con la sentenza che definisce il giudizio, l’ammontare delle spese di difesa spettanti al prosciolto senza successiva possibilità  di chiedere all’amministrazione di appartenenza la integrazione della liquidazione operata dal giudice.

La norma sopracitata, con il comma 10, a  valenza interpretativa, aveva stabilito che “Le disposizioni dell’articolo 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell’articolo 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio… liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza.»

Questa posizione è stata seguita dalla giurisprudenza della Corte dei Conti (v. tra le più recenti la sentenza della Corte dei Conti sez. giurisdizionale per la Regione Lazione, del 5.9.19, n. 461).

Il Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 3779/2017, pubblicata il 28.7.2017, ha disatteso l’assunto della P.A. appellante che sosteneva la riserva esclusiva in capo al Giudice contabile del potere di determinare le spese legali da rimborsare sostenendo che la questione andava risolta in base al principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 14.3.2011 n. 5918 e, pertanto, ;distinguendo il rapporto tra incolpato assolto e amministrazione di appartenenza e il rapporto che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile.

 

La Sentenza della Corte Costituzionale n. 189/2020

Ora è intervenuta la Corte Costituzionale, con la sentenza 6-31 luglio 2020, n. 189,  pubblicata in data 5.8.20 sulla Gazzetta Ufficiale, 1^ serie speciale Corte Costituzionale, n. 32, in materia di rimborso delle spese legali sostenute da dipendenti pubblici in relazioni a fatti o cause di servizio, avvalorando la posizione espressa dalla Corte di Cassazione nel 2011 e dal Consiglio di Stato, con le sentenze sopra citate.

In detta sentenza la Corte Costituzionale esamina la prospettazione di illegittimità costituzionale di alcune norme della Provincia autonoma di Trento, l’art. 92 della legge 12/83 che disciplina il rimborso delle spese legali, e l’art. 18 della legge 3/99, che ne costituisce interpretazione autentica, avanzata dalla Corte dei Conti, sezioni riunite per la regione Autonoma Trentino Alto Adige-Sudtirol.

In base alle suddette disposizioni, la Provincia di Trento riconosce il rimborso delle spese legali, peritali e di giustizia sostenute dai propri dipendenti per la difesa nei giudizi civili, penali e contabili nei quali siano stati coinvolti per fatti o cause di servizio, salvo rivalsa nei casi di condanna per azioni od omissioni commesse con dolo o colpa grave dell’imputato o convenuto in giudizio; il rimborso è riconosciuto  anche  per le spese sostenute nelle fasi preliminari dei giudizi civili, penali e contabili e, inoltre, si ammette il rimborso anche delle spese legali in caso di archiviazione del procedimento penale o del procedimento volto all’accertamento della responsabilità amministrativa o contabile.

Per il Giudice remittente dette norme contrasterebbero, per quanto qui rileva, con l’art. 3 della Costituzione, in quanto regolerebbero un aspetto del rapporto di lavoro del dipendente pubblico, che dovrebbe ricevere una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale e su cui il legislatore statale avrebbe provveduto con una serie di interventi normativi, da ultimo con il decreto legislativo 174/16, Codice di Giustizia contabile, artt. 31, c.2 e 110, c.7.

A giudizio del remittente, nell’ampliare le ipotesi di rimborso si introdurrebbe una disciplina più permissiva   rispetto a quanto previsto dal legislatore statale e un aggravio della spesa, tale da incidere negativamente sugli equilibri di bilancio, in violazione degli artt. 81, 97, e 119, primo comma, Cost.  Inoltre, si inciderebbe sulla competenza della Corte dei conti in ordine all’accertamento dell’an della liquidazione delle spese nell’ambito del giudizio contabile, con conseguente violazione dell’art. 103, secondo comma, della Costituzione.

Pur avendo la Corte Costituzionale limitato il thema decidendum alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della legge prov. Trento n. 3/99, nella parte in cui si riferisce ai dipendenti provinciali e al procedimento contabile, essa ha riconosciuto che la disposizione censurata introduce una specifica disciplina del rimborso degli oneri della difesa, che attiene ai profili organizzativi dell’ente territoriale.

Per la Corte Costituzionale, la disciplina del trattamento giuridico e economico dei dipendenti pubblici, anche delle Regioni e delle Province autonome, va ricondotta, per i profili privatizzati del rapporto, alla materia dell’ordinamento civile e quindi alla competenza legislativa statale esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Costituzione.  Per quanto concerne invece I profili “pubblicistico-organizzativi” ad esso afferenti, gli stessi vanno ricondotti all’ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi nella competenza legislativa residuale delle Regioni prevista dall’art. 117, quarto comma, Cost. Infine, la disciplina della responsabilità amministrativa, nella quale i profili sostanziali della stessa sono strettamente intrecciati con i poteri del giudice chiamato ad accertarla, è materia di competenza dello Stato e non rientra tra le attribuzioni regionali.

La disposizione dell’art. 18, ha detto la Corte Costituzionale, “… attiene non al rapporto di impiego – e quindi alla competenza statale in materia di «ordinamento civile» – bensì al rapporto di servizio e si inserisce nel quadro di un complessivo apparato normativo volto a evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, anche laddove esso si concluda senza l’accertamento di responsabilità… finalità coerenti con la ratio della disciplina statale…”, richiamando al riguardo l’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti),  l’art. 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, l’art. 10-bis, comma 10, del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito in legge 2 dicembre 2005, n. 248, e, in tempi più recenti  con l’art.  31, comma 2, del decreto legislativo 174/2016.

Si tratta di un apparato normativo, fa presente la Corte Costituzionale, “… che anche la giurisprudenza della Corte di cassazione ha riconosciuto che… risponde a un interesse generale, quello di sollevare i funzionari pubblici che abbiano agito in nome, per conto e nell’interesse dell’amministrazione dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento delle loro attività istituzionali (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 6 luglio 2015, n. 13861). Analogamente, il Consiglio di Stato ha affermato che il fine avuto di mira dal legislatore è volto a evitare «che il dipendente […] tema di fare il proprio dovere» (Consiglio Stato, sezione quarta, sentenze 13 gennaio 2020, n. 280, e 28 novembre 2019, n. 8137).”

Queste finalità, sostiene la Corte Costituzionale, possono comportare il riconoscimento del rimborso delle spese sostenute nell’ambito del giudizio di accertamento della responsabilità, e altresì il rimborso delle spese affrontate in fasi procedimentali distinte dal giudizio, ovvero in giudizi definiti per questioni preliminari o pregiudiziali.

Nell’esaminare la questione di  legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 103, secondo comma, Cost., la Corte Costituzionale precisa che non viene in discussione la competenza della  Corte dei conti in ordine all’accertamento dell’an della liquidazione delle spese nell’ambito del giudizio contabile e del successivo rimborso al dipendente, in quanto deve essere distinto il rapporto che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile da quello che si instaura fra l’incolpato, poi assolto o prosciolto, e l’amministrazione di appartenenza, relativamente al rimborso delle spese per la difesa. Sia la giurisprudenza ordinaria, sia quella amministrativa, infatti, hanno riconosciuto che tra i due rapporti non vi sono elementi di connessione, in ragione della diversità del loro oggetto (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 28 luglio 2017, n. 3779; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 14 marzo 2011, n. 5918, 24 marzo 2010, n. 6996, e 12 novembre 2003, n. 17014).

 

Conclusioni

La sentenza della Corte Costituzionale sopra brevemente esaminata limitatamente all’argomento qui di interesse, appare senz’altro in grado di apportare un contributo incisivo al rasserenamento di molti dipendenti pubblici, con conseguenti effetti positivi sulla loro azione quotidiana a favore della collettività, certamente più degli effetti che potranno scaturire dall’applicazione dell’art. 21 del Decreto legge 76/20, sopra citato, anche con riferimento alla temporaneità di una parte delle sue disposizioni.

Alla luce della posizione espressa dalla Corte Costituzionale, le disposizioni di alcuni  CCNNL, in particolare della dirigenza del Servizio Sanitario Nazionale, appaiono ancora più deprecabili e fortemente lesive della posizione dei soggetti che dovrebbero essere tutelati dalla fonte contrattuale, e,  se non verranno ritenute non applicabili dalle Amministrazioni cui si riferiscono, in quanto lesive di un principio generale del nostro  ordinamento giuridico, costringeranno gli interessati a instaurare un giudizio avanti al  Giudice del lavoro, con ulteriori oneri e disagi.

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