Nonostante l’attenzione posta negli ultimi tempi a questo argomento, non è stata ancora coniata una definizione univoca del rischio reputazionale. Da taluni viene inteso come il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale prodotto da una percezione negativa dell’immagine della banca da parte di clienti, controparti, azionisti della banca, investitori o Autorità di Vigilanza, per altri più semplicemente viene inteso come lo scostamento da un comportamento ideale, che produce un perdita per l’impresa in termini di reputazione, ovvero banalizzando come la conseguenze negativa ad una determinata azione.
Comunque si definisca, la cosa indiscussa è che nell’attuale panorama economico il rischio reputazionale toglie il sonno ai manager di mezzo mondo, in quanto rappresenta una grave minaccia per le banche che per loro stessa natura presuppongono il mantenimento della fiducia del mercato.
Fallimenti, truffe, licenziamenti nelle più importanti istituzioni bancarie mondiali, fatti di cronaca ed evoluzioni normative hanno dato al rischio di reputazione delle banche un maggior rilievo rispetto al passato e ne hanno ampliato i contenuti, trovando spesso le suddette aziende impreparate nei confronti di un fattore di rischio che da sempre rappresenta uno dei pilastri strategici fondamentali per il successo, e che consente di garantire la continuità aziendale, intesa come “licenza di operare”. Del resto che le Banche debbano impegnarsi nell’affinamento della gestione dei rischi è stato sottolineato dallo stesso Governatore Draghi il quale ha affermato: “…I nuovi gruppi devono prontamente assicurare una gestione centralizzata dei rischi, specialmente per le attività più esposte. Particolare attenzione richiedono i rischi di reputazione…”, elevando di fatto la reputazione e la fiducia, tra gli asset principali su cui si fonda lo sviluppo dell’attività finanziaria.
L’incertezza economico-finanziaria attuale, congiunta all’evoluzione dei mercati finanziari in termini di innovazione dei prodotti, di trasferimento del rischio e di proiezione internazionale, rende più complessa l’identificazione e il controllo dei comportamenti che possono dar luogo a violazioni di norme e di conseguenza a rischi reputazionali e, ad appesantire la situazione contribuiscono quelle che sono le caratteristiche proprie del rischio in questione, vale a dire le difficoltà di previsione, misurazione e catalogazione. Quest’ultima proprietà consiste nel fatto che il rischio reputazionale non trova la sua collocazione in una ben precisa voce del bilancio – non avendo natura economica – né tanto meno in un delimitato livello gerarchico o processo o funzione, ma può riguardare i più svariati livelli/processi/funzioni. La reputazione può infatti trovare eventi corrosivi non soltanto nelle sedi di front-office ma anche in sede di selezione delle risorse umane o in sede di comunicazione e pubblicità solo per fare alcuni esempi. Riguardo, invece, le difficoltà che si incontrano nell’individuazione e misurazione, più che altro bisogna tener presente che la traduzione del rischio reputazionale in un’entità ben precisa è totalmente diversa rispetto ad altri rischi, esso non è rilevabile sotto forma di percentuale di una più ampia entità, né esprimibile in valori monetari, e non si può dire che si manifesterà con una certa probabilità, né che è possibile attendersi la perdita di una certa quota dell’immagine aziendale; l’immagine aziendale, infatti, non si può perdere per una quota definita e delimitata essa si svaluta con conseguenze anch’esse non identificabili, oppure non si svaluta. Conseguenza ovvia è che l’analista del rischio di reputazione, non potendosi basare su calcoli matematico-statistici o tecnico-contabili precisi, dovrebbe svolgere una analisi di tipo qualitativo individuando, tra varie possibili alternative, la devianza che genera il rischio temuto, ed eliminarla a priori, perchè il rischio reputazionale è il rischio non da ridurre o efficacemente ponderare, ma da evitare in assoluto.
Le esperienze di questi ultimi tempi hanno mostrato, appunto, come la mancata considerazione delle Banche, miscelata al carattere sfuggente del rischio reputazionale abbia fatto vittime eccellenti, e per questo oggi sono tutti concordi nell’affermare che questo fattore di rischio deve essere affrontato senza possibilità di ulteriori ritardi, considerata pure la mutazione che sta capitando alla composizione dei rischi bancari, in cui si riducono proporzionalmente quelli derivanti dalla detenzione di un portafoglio di crediti, mentre aumentano quelli operativi, legali e di reputazione, legati alla partecipazione delle banche a vari segmenti dell’attività di intermediazione (es. strutturazione di strumenti finanziari complessi, organizzazione di veicoli di investimento collettivo, servizi di negoziazione, collocamento e consulenza).
Per tentare il contenimento del rischio di reputazione, quindi, bisogna porre l’attenzione sui requisiti organizzativi e di conformità alle norme, che agiscono introducendo comportamenti considerati idonei a minimizzare le condotte rischiose, mirando direttamente ad eliminare comportamenti/atteggiamenti potenzialmente creatori di conflitti. Più specificamente rivolte ai rischi di reputazione sono le regole della compliance che richiedono la costituzione, nell’ambito del sistema dei controlli interni, di una funzione incaricata di verificare che in tutti i settori operativi della banca esistano meccanismi che assicurino il rispetto delle norme, riducendo in tal modo l’incertezza su diritti e doveri, sui comportamenti richiesti a ciascuno, e ciò a tutti livelli dell’organizzazione aziendale, soprattutto nell’ambito delle linee operative. Più complicato, ovviamente, risulta l’applicazione di questo modello nei grandi gruppi bancari dove il rischio è amplificato dall’appartenenza al gruppo, infatti in questo caso si aggiunge il pericolo di «contagio», inteso come la possibilità che, per effetto della percezione della Banca come entità del gruppo e della naturale commistione tra gruppo bancario e singola entità/Banca, situazioni di difficoltà che insorgono in un’entità possano propagarsi con effetti negativi sulla reputazione dell’intero gruppo e ricadere nuovamente a cascata su ogni singola Banca del gruppo medesimo.
In ogni caso il concetto guida è e deve essere la prevenzione, attività che deve svolgersi innanzitutto nel luogo in cui il rischio viene generato, attuando un’adeguata responsabilizzazione di tutto il personale che riduca al minimo lo scostamento da un comportamento ideale, per poi raggiungere attraverso il sistema dei controlli interni il risultato di eccellenza dell’eliminazione totale dei comportamenti non in linea con le norme (interne ed esterne).
In definitiva nel mutato contesto attuale, la salvaguardia della percezione dell’immagine della Banca passa da un lato per la diffusione di una cultura aziendale improntata a principi di onestà, correttezza e rispetto non solo della lettera, ma anche dello spirito, delle norme imperative (di legge o di regolamenti); dall’altro, attraverso precisi presidi organizzativi, volti ad assicurare il rigoroso rispetto delle prescrizioni normative e di autoregolamentazione (es. statuti, codici di condotta, codici di autodisciplina), con la compliance o funzione di conformità oramai elemento chiave di assoluto rilievo nella creazione di valore aziendale.
Fabrizio Falasconi
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